La redazione del Kommersant vittima della triade: denaro, oligarchi, Cremlino
Le dimissioni dei giornalisti del quotidiano russo colpevoli di avere pubblicato una notizia scomoda
Roma. Il Kommersant è uno dei quotidiani più conosciuti in Russia. Misurato, impiccione con gentilezza, d’opposizione con morbida ostinazione. Lunedì il giornale, che si occupa prevalentemente di economia e di politica, si è ritrovato senza il suo settore politico. Uno a uno, un giornalista dopo l’altro, una firma di fila all’altra se ne sono andati, lasciando il quotidiano con pagine da riempire e argomenti da trovare. La spiegazione è arrivata in fretta e ha a che vedere con il solido rapporto tra stampa e Cremlino, la prima legata dal secondo. In aprile il Kommersant aveva pubblicato una notizia: Valentina Matviyenko, presidente del Consiglio federale, sarebbe stata sostituita da Sergei Naryshkin, capo del Servizio di intelligence Svr.
I giornalisti citavano fonti governative rimaste anonime. Il Consiglio federale è la Camera alta dell’Assemblea federale, e la Matviyenko è in carica dal 2011, la notizia aveva causato mormorii e rimostranze e la smentita del Cremlino, che ha protestato dicendo di non sapere nulla dell’ipotesi di un rimpasto, e dello stesso Consiglio. I giornalisti che avevano lavorato alla notizia sono stati costretti a dimettersi dal proprietario del Kommersant, un oligarca vicino al Cremlino. I due giornalisti sono Ivan Safronov e Maxim Ivanov, due colonne del quotidiano che avevano iniziato a lavorare nella redazione dieci anni fa. I due hanno deciso di annunciare la loro separazione forzata dal giornale su Facebook, la notizia è diventata incontenibile e così meno di un’ora più tardi tutta la redazione ha deciso di dimettersi.
Il proprietario del Kommersant è Alisher Usmanov che oltre a possedere il quotidiano, possiede anche Mail.ru, il servizio nato come posta elettronica e poi diventato uno degli attori più importanti dell’internet che parla russo, possiede anche Vkontakte e Odnoklassniki, due piattaforme social diffuse in tutti i paesi dell’ex Unione sovietica. Usmanov fa anche parte del Comitato olimpico, a lui è stata affidata la Commissione antidoping istituita nel 2016 dopo gli scandali che hanno coinvolto la maggior parte degli sportivi russi e quella carica gli è stata affidata da Vladimir Putin. Tra il miliardario e il presidente c’è un legame stretto, di fiducia, nulla di diverso rispetto agli altri oligarchi vicini al Cremlino, ma dentro al Kommersant era riuscito a mantenere finora un comportamento felpato, il quotidiano è rimasto una voce di opposizione, autorevole e movimentata.
Il proprietario del Kommersant, Alisher Usmanov, mentre vota alle elezioni presidenziali russe (Foto LaPresse)
Dopo le dimissioni dei giornalisti, il Kommersant non ha commentato, un portavoce di Usmanov ha soltanto sottolineato che il proprietario non ha mai interferito nella linea editoriale e non ha mai preso decisioni su assunzioni o licenziamenti e che anzi, il miliardario era venuto a sapere dei licenziamenti proprio dai media, non ne sapeva nulla tanto cerca di mantenersi lontano dalle dinamiche interne del quotidiano. I giornalisti non gli hanno creduto. “Il proprietario ha il diritto di prendere delle decisioni che riguardano il personale come i dipendenti hanno tutto il diritto non essere d’accordo con lui e di decidere di cambiare lavoro”, ha scritto su Facebook Gleb Cherkasov, caporedattore della politica del Kommersant.
Anche chi è rimasto nel giornale ha protestato e forse le parole più accurate – che ben raccontano che questa non è soltanto la storia di un difficile rapporto tra stampa e potere, ma è la fine della cultura, del pensiero e dell’eccellenza – sono di Renata Yambaeva, vice caporedattrice della redazione economica che sempre su Facebook in un lungo post ha scritto: “Forse tra i nostri lettori c’è qualcuno che potrebbe spiegare a Usmanov che in questo modo stanno distruggendo uno dei migliori media in Russia”.
La distruzione è iniziata da tempo. È quel sistema che Viktor Orbán sta cercando ora – riuscendoci – di sperimentare in Ungheria, perché la democrazia illiberale, per quando il primo ministro ungherese si presenti come il suo creatore, è iniziata in Russia. Quella controrivoluzione, il paradosso fatto di elezioni ma di assopimento dell’opinione pubblica è stato inventato a Mosca. Funziona così: la cultura e l’informazione hanno bisogno di denaro per andare avanti, come ogni cosa; il denaro è nelle mani degli oligarchi che sono vicini al Cremlino; per poter rimanere in vita la cultura e i media accettano le regole degli oligarchi e quindi del Cremlino. Si impoveriscono i contenuti e con loro anche l’opinione pubblica. È questo il motivo che ha condotto Ekaterina Vinokurova e Maria Baronova, ex attiviste e dissidenti, a lavorare per Rt: avevano bisogno di denaro per sopravvivere e hanno detto alle offerte dell’emittente russa fondata proprio per volontà del Cremlino.