La tomba di Karl Marx a Londra (Foto LaPresse)

Di Marx resta ben poco a forza di ripulirlo di mitologie e dottrinarismi

Massimo Adinolfi

Fu eretico o filosofo? Il dibattito (irrisolvibile) nei libri di De Giovanni e Galli 

Marx eretico o Marx filosofo? Col bicentenario della nascita, lo scorso anno, di Marx ne sono usciti diversi, complice anche il fatto che non tanto lo stato di salute del capitalismo, quanto quello dell’alleanza con la democrazia non pare dei migliori. Del resto, dopo la crisi del 2007-2008 pure i giornali che una volta avresti detto borghesi hanno rispolverato le copertine con la barba di Marx. E Time è giunto sino ad ammettere – per la penna di Michael Shuman, nel 2013 – che “la feroce critica di Marx sulla natura intrinsecamente ingiusta e autodistruttiva del capitalismo non può più essere liquidata facilmente”. Una simile critica su quale piano sta, però? È la critica di un economista, oppure quella di un filosofo? Il “Marx eretico” di Carlo Galli (il Mulino, 164 pp., €13 euro) e il “Marx filosofo” di Biagio De Giovanni (Editoriale scientifica, 134 pp., € 12 euro) sciolgono senz’altro il dilemma: parliamo di un classico della filosofia.

 

Marx come pensatore vuol dire: Marx senza i pesanti condizionamenti della politica novecentesca, Marx dopo la fine del comunismo, dopo l’89, senza previsioni morfologiche e infallibili leggi della storia, senza insopportabili dottrinarismi, senza mitologie, senza gravami ideologici. Certo che, a sfrondarlo di questo e di quello, il rischio che di Marx rimanga poco c’è. Anche perché tanto De Giovanni quanto Galli non si accontentano di una riproposizione in chiave moraleggiante, come alfiere della giustizia sociale e paladino degli ultimi. Marx, del resto, era il primo che si faceva beffa dei nobili ideali. E neppure si fanno bastare soluzioni postmoderne, i due studiosi, tipo il Marx spettrale di Jacques Derrida: siccome la sua ontologia di sfondo dispone di certezze di stampo metafisico ormai improponibili, non potendo più nutrire queste, buttiamo via anche quella, così che tutte le chances di emancipazione umana sono affidate a un avvenire che rimane indefinitamente “a venire”. Un po’ poco, per la verità. Con un impianto di questo tipo una rivoluzione non la fai, non ci provi nemmeno.

 

Però, sostiene Galli, il sospetto nei confronti delle contraddizioni del capitalismo deve rimanere. Marx serve a questo. Altrimenti le leggi dell’economia te le spacciano per leggi naturali, e il neoliberismo continuerà a vincere per omnia saecula saeculorum. Ed è lì che la discussione con Galli e De Giovanni si è accesa: il neoliberismo, il male. Per Galli, almeno. Al timido tentativo di De Giovanni di dire che c’è qualcosa, nella libertà di cui si parla, che forse non è da buttar via, Galli ha replicato secco: non è libertà. Se poi De Giovanni aggiungeva che “neoliberismo” non gli viene alla penna, tanto vuota gli appare la parola (e fuori bersaglio la polemica), Galli replicava fermissimamente: io, invece, ho scritto il mio libretto marxiano proprio per andar contro la mala pianta degli economisti neoliberisti (e naturalmente anche contro il pensiero mainstream, l’europeismo di maniera, il politicamente corretto, la sinistra che non fa più la sinistra, eccetera eccetera).

 

Chi ha ragione? Figuriamoci se un dibattito accademico si può concludere come una partita di calcio, contando il numero dei gol. Però il dibattito è finito, fra poco si vota per l’Europa – e a Salerno, dove si è tenuto l’incontro, il Rettore in carica si è prestamente convertito al leghismo per candidarsi con Salvini, alla faccia di qualunque sottigliezza intellettuale – e allora uno si domanda da quale Marx ripartire (posto che si debba). Ebbene, se uno vuole tenere ferma l’idea che un pensiero è davvero critico solo se si colloca nell’orizzonte del superamento del capitalismo, allora il Marx eretico di Galli fa ancora al caso suo: certo, è un Marx incompiuto, ma non tanto perché non ci ha preso, quanto piuttosto perché non ci poteva prendere, perché l’azione politica è in ultimo affidata alla prassi, e dunque aperta alla contingenza.

 

Ma quanto al resto, questo Marx è tutto dalla parte delle "concrete soggettività non sottomesse", qualunque cosa ciò significhi. Se non vi suona desueto, o improbabile, fate pure. Se invece uno legge Marx perché vuole collocarsi nel punto della storia mondiale che Marx ha segnato, con la rottura degli argini fra filosofia e politica, e la scoperta che la verità non è soltanto affare del pensiero, e che però non si tratta tanto di abolire lo stato di cose presente quanto piuttosto di mediare forze e forme, mondi vitali e assetti istituzionali (anche se questo è più Hegel che Marx) allora meglio confidare sul Marx filosofo di De Giovanni. In tal caso, non potrete produrvi in tirate contro il neoliberismo, e quindi sarete sempre in sospetto, a sinistra, di intelligenza col nemico. Di essere una di quelle soggettività sottomesse su cui, evidentemente, non si può far leva. Ma almeno avrete dinanzi un problema un po’ più ravvicinato, che è quello di migliorare la qualità della nostra presente democrazia. E scegliere (bene) un altro Rettore.

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