Notte fonda
Pregiudizio e rassegnazione. Nel nuovo libro di Salvo Sottile c’è il dramma contemporaneo
Per una volta che Salvo Sottile si scosta dal lavoro, e decide per una passeggiata all’aria aperta in via del Babuino, a Roma, una scena di imbarazzante normalità lo scuote: sono le undici di sera, un ragazzo che procede a passo lesto, le mani in tasca e gli occhi semichiusi; davanti a lui una signora ben agghindata, sui 60 anni, borsetta e un filo di perle al collo. L’uno e l’altra, quanto di più lontano. Le loro traiettorie s’incrociano, ed esse con lo sguardo di Sottile, che abituato com’è alle storie bizzarre, fiuta il pericolo: uno scippo? E’ quello che crede la donna, la quale, a mo’ di difesa, impenna vorticosamente la borsetta e si presta a un fare scurrile. Colpa di ciò che non vede, ma è comunque portata a vedere: un’insidia. Crede che il giovane, un rom dall’aspetto trascurato, sia pronto al colpo del secolo. Invece no.
Comincia da qui, da quella passeggiata anonima in via del Babuino, il racconto di “Notte Fonda”, il romanzo di Salvo Sottile che si congiunge a più riprese con “Prima dell’alba”, la fortunata trasmissione di RaiTre, che il prossimo 17 giugno, reduce da un’ottima seconda stagione, varcherà le porte della prima serata. Corre o va in bici Sottile quando non lavora. Quella volta no, passeggia liberamente. Si prende una borsettata sul naso e poi conosce Manuel, gli offre un caffè, ci parla. Perché la notte è la straordinaria capacità di rendere tutti uguali e un filino penetrabili. E’ così che il giornalista riesce a entrargli sotto pelle, a cogliere il valore del suo racconto, e la preoccupazione del suo destino. E’ nel percorso della notte – dirà Sottile che “quando la notte ti tende una mano è sempre meglio stringerla che lasciarla cadere” – che si annidano le storie della costumista Flaminia e del “suo” Cristiano, disoccupato e abbastanza corpulento da non piacerle più dopo vent’anni di matrimonio. E’ lì che scorrazzano le emozioni e le delusioni, le drag queen e le partite al bingo, i vizi (tanti) e le virtù (poche, ma su tutti l’amore). E’ lì che la storia prende forma. Inizialmente, “le” storie. Da un lato Manuel, un ragazzo senza speranza, la vita in un campo nomadi, da cui è impossibile tirarsi fuori; dall’altra Maria, la giovane che se ne innamora, e pian piano riemerge dal cono d’ombra (narrativo) della madre Flaminia, che a cinquant’anni è finita a lavorare in un bizzarro night club. Il racconto di Sottile, fluido, snello, pieno di particolari descrittivi che conciliano con la curiosità e affezione per la lingua, avvita le storie l’una sull’altra. Poi, dopo la bellezza di una settantina di pagine vissute ad alta tensione, ti accorgi che c’è margine per farle riunire. E si riuniscono. La forma cavalca la sostanza. Nella notte il mondo si mette a nudo. C’è l’amore, ma anche la violenza. C’è il pregiudizio e la rassegnazione. C’è il dramma di oggi, della diversità, dell’intolleranza. Ma poi ti accorgi che sì, ci sono due protagonisti, più comprimari, e uno che cuce tutto.
Sottile non si limita ad ascoltare e a far parlare. Per una volta partecipa, anche se non c’è avvezzo. Viene coinvolto e non può esimersi, al netto di altre rinunce, di altri sacrifici. Di nuove ore scippate al sonno, che non per questo gli fanno perdere l’orientamento. Il narratore conosce i posti della notte, sa come muoversi e dove andare. Sa darsi una direzione e indirizzare gli altri. Poco importa se in luoghi specifici, già perlustrati per la tv, o nelle decisioni da assumere. Il merito è anche suo – gli costerebbe fatica ammetterlo, ma è così – se una famiglia torna a parlarsi. Se ricompone i pezzi a un anno da una separazione, da un deragliamento di vita. Da un vuoto incolmabile che, complici Sottile e il destino, diventa nuovo punto di partenza. Come il racconto di una violenza insopportabile, drammatica, che prevede rinuncia e pentimento.
Sottile, da narratore vigile e mai invadente, ci mostra le incertezze e le diversità caratteriali. Ci sprona al ragionamento. Ci stimola alla reazione, a non dare mai nulla per scontato. E’ un bel direttore d’orchestra: a tratti infastidito per i pedinamenti, ma questa storia lo insegue più di quanto non faccia lui con lei. Non se la sente d’abbandonarla e la notorietà non è affatto un peso. Altrimenti non andrebbe in giro per Roma, correndo, madido di sudore, con la camicia indosso a far da schermo con l’esterno. Esplora a fondo, ma lascia spazio per un finale che solo i protagonisti sceglieranno come scrivere. Da Torpignattara a Tiburtina, periferia dimenticata da Dio. Dove la vita non è mai stata facile, ma per una volta può ingranare. Al Dubai Palace, dove una volta s’affogava nei vizi e dove oggi ci si concede un’opportunità. A noi non resta che affezionarci al racconto, magari fare il tifo. Per la giustizia, per la scrittura che scorre vivida e senza fronzoli, per l’esperienza di un giornalista, che può sempre decidere d’appassionarsi. Non solo a chi gli sta di fronte (magari, perché no), ma al dono della parola. Al significato delle parole.