È morto Franco Zeffirelli, a lungo straniero in Italia
Agli esordi da scenografo teatrale a fianco di Luchino Visconti seguirono le esperienze da assistente di registi come Antonioni, De Sica, Rossellini e lo stesso Visconti. Artista di anima cattolica, nel 1994 divenne senatore per Forza Italia
Zeffirelli? "È un bravo ragazzo, sicuramente, che ha avuto la fortuna di avere molti talenti". I giornalisti? “Sono dei dolci buoni, ma bisogna fare molta attenzione perché qualcuno di amaro c’è sempre”. Un segreto per vivere bene? “Cercare di non annoiarsi mai”. La bellezza? “è una vittoria sulla bruttezza”. Firenze? “Detiene ancora un primato: è la città più colta del mondo, ma tanti italiani non lo sanno”. Ci vengono in mente queste risposte oggi che Franco Zeffirelli è scomparso all’età di 96 anni. Lo abbiamo incontrato diverse volte nella sua splendida villa immersa nel verde dell’Appia Antica, dove ha vissuto sempre con i suoi due figli adottivi, Luciano e Pippo, e i suoi amati cani, alcuni dei quali sepolti in giardino, un po’ come fece Peggy Guggenheim nella sua villa a Venezia affacciata sul Canal Grande, oggi museo. La prima volta che vi mettemmo piede, ci parlò della mostra a lui dedicata a Villa D’Este - “Zeffirelli. L’arte dello spettacolo” – e di molte altre cose, soprattutto del sogno artistico.
“Per viverlo al meglio – spiegò al Foglio 'Sir' Zeffirelli (titolo insignitogli dalla regina Elisabetta nel 2004) – bisogna cominciare dai piccoli dettagli, secondo ragioni che non sempre passano per la mente, ma partono dalla propria sensibilità, dal proprio cuore”. Lui iniziò la sua carriera da giovanissimo, nel secondo dopoguerra, subito dopo aver completato gli studi all’Accademia delle Belle Arti di Firenze. Agli esordi da scenografo teatrale a fianco di Luchino Visconti seguirono le esperienze da assistente di registi come Antonioni, De Sica, Rossellini e lo stesso Visconti. Senza di lui, probabilmente il giovane orfano (il padre lo aveva riconosciuto solo quando aveva 19 anni, la madre morì quando era bambino) non avrebbe calcato i palcoscenici più famosi, non sarebbe diventato amico e confidente di stelle come Anna Magnani, Maria Callas o Richard Burton, non avrebbe potuto debuttare dietro la cinepresa già nel ’57 (con ‘Camping’) dopo un tirocinio che lo aveva affiancato a Francesco Rosi sul set di ‘Senso’ (1954). La sua attività ha poi spaziato negli anni, lavorando per i maggiori teatri italiani e stranieri, il cinema e la televisione (il suo sceneggiato tv, ‘Gesù di Nazareth’, del 1977, è stato visto da oltre un miliardo di spettatori nel mondo).
“Se mi guardo indietro – precisò fissandoci sempre con in suoi occhi color ghiaccio - vedo una vita bellissima, piena di soddisfazioni. Ho sempre sognato a occhi aperti e la mia passione per il teatro è cominciata da ragazzino, quando vedevo l’opera al Comunale, dove si esibiva Ines Alfani-Tellini”. Dopo Villa d’Este, seguirono grandi celebrazioni a Firenze e alla sua città natale – quella dove ha deciso di riposare per sempre (al cimitero di San Miniato e non in quello di Monte Pertuso, a Positano, dove passò molti anni della sua vita a Villa Tre Ville prima di venderla) dedicò anche il suo breve impegno politico a metà degli anni Novanta. “Volevo aiutarla a recuperare i valori perduti, ma non è stato possibile trasmettere alla classe politica l’importanza del bello e della cultura”. Il suo desiderio? “Fare in modo che Firenze torni a dominare l'intelligenza, il buon gusto e la creatività. Insomma, rendere possibile l'impossibile”. In parte lui ci è riuscito e di recente, anche la sua Fondazione per le Arti e lo Spettacolo che porta il suo nome, ha trovato casa nell’ex Tribunale di Piazza Firenze, dietro Palazzo Vecchio, per ospitare i tesori della sua vita artistica.
Polemico, feroce nei giudizi, scoperto nelle fragilità personali, interessato alla politica come allo sport, Zeffirelli si ritenne a lungo uno straniero in Italia. L’altra sua anima era quella cattolica, che trovava radici nel magistero di Giorgio La Pira, carismatica figura della fede in politica e che fu suo istitutore al convento di San Marco. Non era certo uno sperimentatore, eppure proprio nel ’74 si cimentò con la tv filmando la cerimonia dell’Anno Santo e poi, due anni dopo, dirigendo per la Rai, il kolossal ‘Gesù’ con Robert Powell nei panni del Cristo. Non abbandonò mai il cinema, ma sono rari i titoli capaci di fare storia nella sua maturità, da Il giovane Toscanini (contestato a Venezia nel 1988) a un modernissimo Amleto (1990) con Mel Gibson. Proprio dagli anni ’90 la sua firma si fece però più rada, nonostante un elegante Jane Eyre (1996) o l’autobiografico Un tè con Mussolini (1999). Nel ’94 entrava in Parlamento, eletto senatore a Catania per Forza Italia. All’ingresso della casa romana, c’è un altarino con la foto di Papa Wojtyla e diverse con Berlusconi, il cui volto lo abbiamo ritrovato anche in cucina – quando ci siamo stati lo scorso novembre – su una matrioska russa.
Foto di Giuseppe Fantasia
Papa Francesco – ci confidò – gli piaceva molto, “anche se a volte è imbarazzante e parla sciatto come una comare”, ma se la Chiesa ha deciso di eleggere “un personaggio poco conosciuto dai più ma stimato nel mondo cristiano”, “avrà avuto i suoi buoni motivi”. Grazie al lui ritrovò intatto l’amore per quel Santo con cui era cresciuto, “un Santo sicuro che Dio mette sulla nostra strada per soccorrerci”. “Non voglio rivangare certi orrori di un periodo in cui una falsa cultura marxista ha dettato le regole del parlare e dello scrivere, ho rimosso tutto e non ho più la forza di fare polemiche, ne ho fatte davvero tante”, spiegò con quella sua voce inconfondibile, bassa e delicata. “Mi sento ancora un ragazzo e faccio ancora delle cazzate”, ci disse sorridendo e stringendo a sé Dolly, uno dei suoi due cagnetti adorati, bianchi e grassottelli, “i veri padroni di casa”, mentre l‘altro annusava divertito le scarpe degli ospiti. “La mia riuscita artistica la devo anche ai tanti personaggi che ho incontrato e con cui ho avuto la fortuna di lavorare, anche se sopportarli e tenerli a bada richiedeva spesso una certa dose di carattere”.
Molti di loro sono presenti nelle decine e decine di fotografie incorniciate e messe bene in mostra nelle stanze e nei grandi e luminosi saloni di quella villa che ha tanto da raccontare, intrisa di quella magica atmosfera di un’epoca di cui oggi restano solo i ricordi.
Foto di Giuseppe Fantasia
Zeffirelli ha conosciuto i più grandi di ieri e di oggi e molti sono stati suoi ospiti nella casa romana come nella villa a picco sul mare a Positano, Villa Tre Ville, venduta da anni e oggi trasformata in hotel. Mentre ci racconta, siamo circondati e in qualche modo osservati da tutti quei volti celebri del cinema (Mastroianni, la Vitti, la Loren, la Magnani, la Taylor con Burton), del teatro, della lirica (“Callas Forever!”, dice il maestro riferito alla sua cara amica e citando il suo omonimo film), della musica (dai Beatles a Sting fino a Michael Jackson) e della politica, italiana (c’è Pertini, Ciampi e più di una volta, come ricordato, Berlusconi, il suo preferito) e straniera (ci sono i Clinton, la Thatcher, Bush ) e tanti, tanti altri. Di politica non ama parlare (“altrimenti svengo!”) ma ci tenne a precisare che “Grillo non merita neanche di essere pensato”, e che bisognava sostenere Renzi, “l’uomo dell’apertura, un ragazzo che ha una strada luminosa da percorrere” e che fa paura a molti “perché rompe le regole”.
Il cinema italiano? “Una fiera di presuntuosi”, disse senza pensarci più di tanto. Ci confidò persino di non aver visto nemmeno un film di Sorrentino, “La grande bellezza” inclusa. Nella sua vita non ha avuto nessun rimpianto (“sarebbe ingiusto averne”), ma l’unico rammarico è di non aver visto fiorire la cultura come avrebbe voluto”. Vede un nuovo Visconti o un nuovo Zeffirelli in Italia? – gli chiedemmo - “Non mi pare”, rispose. “I giovani hanno tanto da offrire, ma c’è tanta confusione e il dilettantismo profana un po’ ovunque”.
Lo scorso novembre, siamo tornati a trovarlo di nuovo, sempre circondato dai figli adottivi e dai cani, sempre nella sua casa sull’Appia Pignatelli, poco viva, un po’ come lui del resto, abbandonata a sé stessa, con giardino e piscina poco curati, piena di fiori finti tra le foto custodite dalle cornici d’argento. Seduto sulla serie a rotelle ci fece molta tenerezza e anche rabbia: perché sottoporlo per ore e ore a lunghe interviste - fatte di gesti e non di parole - solo per promuovere un suo nuovo progetto del "Rigoletto" verdiano che sarebbe dovuto essere rappresentato alla Royal Opera House di Muscat (ROHM), in Oman, nel settembre del 2020? Di certo non per il suo piacere, e di questo ne abbiamo avuto conferma salutandolo. Ci fissò a lungo, ci salutò con un cenno fino a pronunciare una frase: "Si faccia salvare dalla bellezza" – l'unica che gli sentiremo dire nell'ora e mezza trascorsa insieme. È quello il suo consiglio, il suo ricordo che ci porteremo sempre con noi.
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