La verità in politica, solo un'arma da impugnare contro l'avversario del momento
Non solo fake news. È la democrazia stessa, come la nostra Costituzione, ad avere un conto in sospeso con la verità
Leggo La verità al potere, un testo filosofico scritto da Franca D’Agostini (studiosa di logica) e Maurizio Ferrera (docente di Scienza politica) appena uscito da Einaudi (127 pp., 12 euro) e contemporaneamente un articolo di Roberto Righetto uscito su Avvenire il 15 giugno, intitolato “Intellettuali cattolici uniti nella fede e divisi in tutto”. L’accostamento dei due diversi discorsi ha un duplice effetto: da un lato aiuta la riflessione e dall’altro la complica.
Quando D’Agostini e Ferrera parlano di verità si muovono su un piano che vuole essere sia logico che politologico, mentre la verità su cui fondano il loro accordo gli scrittori francesi di cui parla Righetto è una verità cristiana, cioè la verità non come scienza ma come fede. Nel libro di D’Agostini-Ferrera il problema sia concettuale che etico e politico della verità è affrontato direttamente; nell’articolo di Righetto la verità religiosa è invece un presupposto morale e metafisico stabile che rende tuttavia più sorprendente, e in un certo senso istruttiva, la diversità delle opinioni e delle scelte politiche di intellettuali della prima metà del Novecento come il filosofo Jacques Maritain, il poeta Paul Claudel, i narratori François Mauriac e Georges Bernanos.
La verità al potere si divide in due parti. Nella prima D’Agostini introduce così il tema: “Dal 2016 a oggi, le pagine dei quotidiani, il web, l’editoria sono stati invasi da un’ondata di teorie, ipotesi, programmi provenienti dalle più diverse discipline e prospettive, tutte mirate a difendere la verità e i valori e le virtù che vi si collegano: a denunciare menzogne e inganni, a lamentare la disinformazione degli elettori, a ipotizzare nuove forme di democrazia, in cui siano salvaguardati i valori delle ‘competenze’ (è l’ipotesi che contrappone all’universalismo democratico il governo dei competenti, selezionati da elettori a loro volta selezionati, in quanto adeguatamente informati)”.
Il problema della verità e di come si stabilisce o si rivela diventa così un problema, anzi il problema fondamentale della democrazia, una forma di governo che non può tollerare la menzogna, l’inganno, la diffusione sociale del falso, e quindi non può sopravvivere senza il primato e il potere della verità. Dunque è la verità che deve “andare al potere”, non l’immaginazione, come voleva lo spavaldo e disinvolto slogan del Sessantotto parigino (ma non escluderei che in linea di principio, nonché empiricamente, per capire che cos’è vero e che cos’è falso serva in molti casi anche una certa dose di immaginazione cognitiva).
Secondo Franca D’Agostini esiste soprattutto oggi un’“emergenza-verità” che riguarda non solo i cittadini disinformati, riguarda soprattutto “le istituzioni create per correggere questa eventualità: la legge, la scienza, l’editoria, i giornali, l’organizzazione del sapere e della cultura in generale”, coinvolte nelle stesse difficoltà. Si tratterrebbe quindi non semplicemente di cultura o di più cultura, quanto di chiedersi di “quale cultura” la verità ha bisogno.
Problemi enormi, poiché gli apparati culturali non sembrano avere la verità come obiettivo primario. Ma per moderare ampiezza e gravità del problema, D’Agostini aggiunge che “riconoscere di avere un ‘problema-verità’ è già una vittoria per la verità”.
Nonostante le spiccatissime qualità argomentative di D’Agostini, il concetto di verità, benché ineliminabile da qualunque ambito di discorso e di sapere, resta tuttavia poco afferrabile.
Si potrebbe dire che la verità è una prassi conoscitiva e comunicativa ispirata, più che dall’amore per la verità, dalla ripugnanza o fobia per l’inganno, la truffa, l’errore. I tipi di verità, tra l’altro, essendo molti, circostanziali o situazionali, cioè sempre implicati nel tessuto della vita collettiva e dell’esistenza individuale, richiedono, per essere rivelati, attitudini a volte logiche e a volta intuitive, a volte empatiche o morali, a volte razionali, o percettive, ipotetiche, immaginative. Esistono, per esempio, persone e voci “false” anche quando dicono cose vere. Cosa ci fa capire che sono false?
Trovo sempre straordinariamente suggestiva la risposta (genialmente inventata nel Medioevo e non attestata dai Vangeli canonici) che Gesù avrebbe dato alla domanda di Pilato “che cos’è la verità?”, e cioè: “E’ l’uomo che ti sta davanti (Est vir qui adest)”. Almeno in due interpretazioni possibili: la verità sono io, il figlio di Dio, il Dio incarnato. Ma anche, se si vuole: è l’uomo, è l’essere umano che ogni volta hai di fronte e in rapporto al quale hai il dovere della verità: di vederla, capirla, pensarla e dirla.
Gli intellettuali cattolici i cui rapporti di fraternità religiosa e disaccordo politico o culturale esamina Righetto nel suo articolo, mostrano che la verità vissuta grazie alla fede, non libera preliminarmente i singoli credenti da ogni dubbio e incertezza umana e politica in circostanze date e su problemi specifici. In materia di estetica e arte Maritain, filosofo neotomista, aveva nostalgia per il Medioevo; Claudel invece, poeta moderno, esaltava la carnalità della pittura rinascimentale affermando che “dove c’è la bellezza, Dio non può essere assente”. Sulla guerra civile spagnola del 1936-39 Maritain condanna la falange franchista e il bombardamento nazista di Guernica, mentre Claudel vede solo le stragi dei cristiani compiute dalla sinistra repubblicana.
Esiste un problema delle mezze verità e delle verità isolate o parziali messe l’una contro l’altra. E’ l’uso di una verità allo scopo di farne dimenticare un’altra. La lotta, la divergenza, i conflitti politici si nutrono essenzialmente di mezze verità usate come strumenti bellici per sconfiggere l’avversario diffamandolo. Ma non è affatto escluso che “tutta la verità” sia poco adatta alla mente e alla vita umana (“Human kind cannot bear very much reality”, scrive Eliot nei Quartetti). La realtà vera e intera è sempre al limite dell’umana capacità di concepirla, sopportarla e conviverci.
Oggi, osserva Ferrera nelle ultime pagine della Verità al potere, “la componente democratica rischia di giocare contro la componente liberale”: come dire che il popolo contrapposto democraticamente alle élite può generare oligarchie autoritarie di tipo “populistico” non meno pericolose, di quelle dovute all’élitismo liberale.
La lotta per la verità è dura e incessante, ma anche problematica. E’ cosa, io credo, più da intellettuali che da politici, due categorie molto difficilmente conciliabili. In politica servono e vengono usate solo verità utili a conseguire maggior potere. Se non è un’arma da impugnare contro l’avversario del momento, la verità viene evitata da chi fa politica perché risulta inutile o dannosa. Ma infine la stessa vita sociale e perfino la cultura non amano molto la verità. Perfino gli intellettuali la temono se nuoce alla loro identità pubblica e al loro prestigio. Per questo mi sembra che il libro di D’Agostini e Ferrera abbia il merito di porre il problema verità-democrazia, senza avere quello di dire che la stessa democrazia, con tutti i suoi meriti, è a tutt’oggi più falsa che vera, a cominciare dai primi articoli della nostra Costituzione.