“Sono tempi interessanti, ma l'arte deve rischiare e tornare al saper fare”
Ugo Nespolo, un libro e una retrospettiva a Milano
Milano. “Negli ultimi anni mi sono messo a studiare, per ripensare alla mia storia e alla storia, per dare senso a quello che faccio e quel che che si fa. Io cerco di non rassegnarmi all’idea di essere soltanto un venditore di cose inutili. E’ questo che, oggi, mi dà tranquillità: ragionare in luce di ragione e non in luce di stomaco”. Ugo Nespolo a 77 anni vive ancora con il piede sull’acceleratore. Guarda indietro per andare avanti, che dovrebbe essere, per tutti, l’occupazione del presente. E questo suo arrovellarsi, riflettere, osservare è confluito negli scorsi mesi nei contributi apparsi su queste colonne. Mostre, Biennali, aste e fiere sono è raccontate da Nespolo da una posizione privilegiata che, rubando un’espressione all’evangelista, potremmo definire “nel” mondo dell’arte, ma non “del” mondo dell’arte. Ora quegli scritti vengono raccolti da Skira in un libro dal titolo Maledette belle arti, pagine che andrebbero lette, magari, prima di andarsi a vedere la retrospettiva di prossima apertura a Palazzo Reale di Milano: “Nespolo fuori dal coro” (dal 5 luglio).
A differenza dei fustigatori del mondo dell’arte contemporanea (da Tom Wolfe a Jean Clair), oltre a gettar luce sui tanti vizi di un ambiente sempre più lontano dalla gente, Nespolo prova a suggerire una via d’uscita. “Io sento compagni gli artisti che riflettono su quello che fanno”, spiega: “Penso a Giulio Paolini o a Peter Halley, che hanno cercato di ricostruirsi in un panorama di una certa profondità. Non immagino un movimento artistico che trascini le masse. Ma un uomo che cerchi di essere a contatto con il mondo. Oggi l’artista deve essere eclettico: non può limitarsi a fare una sola cosa, sempre quella. E non può nemmeno accontentarsi di suscitare lo scandalo. Maurizio Cattelan è un bravo artista, ma quando non si reclude nel recinto della sola provocazione”. Nespolo pensa alla necessaria relazione tra eclettismo e umanesimo, che sarebbe la chiave giusta per ricordare Leonardo Da Vinci nell’anno del suo cinquecentenario: “E’ l’artista eclettico per eccellenza, che ha dedicato il suo lavoro ai diversi aspetti della vita. Il punto è andare nella direzione di un nuovo umanesimo”. Sono parole che si capiscono meglio se ascoltate nello studio che l’artista si è costruito in via Susa a Torino, ispirato alle Case d’arte dei futuristi (un po’ atelier, un po’ officine), in particolare quella di Fortunato Depero, di cui Nespolo è avido collezionista (possiede una bellissima scrivania che l’artista di Rovereto disegnò per sé).
Per Nespolo, in un’epoca in cui “ciò che costa vale”, occorre percorrere la via di una nuova oggettività, come ha proposto il filosofo Maurizio Ferraris: “Sono posizione rischiose e pericolose, perché contraddicono il pensiero mainstream. Non tutto è interpretazione. La bottiglia è lì, ed è una bottiglia. La realtà c’è. Ma questo modo di pensare farebbe piazza pulita di tanta pratica che oggi si dice concettuale. L’arte deve ritornare al saper fare, al produrre. Essere disponibile a operazioni trasversali. Che sono pericolose, perché il mercato dell’arte ha bisogno di incasellarti: ‘Tu sei quello che fa i buchi…’. Ma su questo mi sento ottimista, perché noto che non solo l’unico a sentire questa esigenza”.
Effettivamente Nespolo è difficilmente catalogabile: arte, cinema sperimentale, design, illustrazione. Il suo lavoro è tutto questo, ma non solo. Disorienta, ad esempio, che negli ultimi mesi Nespolo sia impegnato nella produzione della serie di cartoni animati per la Rai Yo Yo e, contemporaneamente, abbia realizzato “Zattera e naufraghi”, una mostra di pittura, dedicata al capolavoro tragico di Théodore Géricault, tema su cui riflette già dagli anni Sessanta. Infine: viviamo in “tempi interessanti”, come li chiamerebbe Ralph Rugoff, curatore della Biennale di Venezia 2019? “Direi di sì, nella misura in cui usciamo da un’epoca, quella della postmodernità, che non lo è stata poi così tanto”, conclude Nespolo: “Oggi ci tocca ripensare in modo radicale alla figura dell’artista. Riportarla più vicina alla vita. E sfatare i luoghi comuni sull’arte che l’hanno resa un fenomeno superficiale e di poco conto”.