Così il Parco Nazionale d'Abruzzo diventa opera d'arte

A Pescasseroli torna ArteParco. Protagonista di quest'anno Matteo Fato e ai suoi “Specchi Angelici”

Giuseppe Fantasia

Pescasseroli (L’Aquila) Le violente tempeste di pioggia e di grandine dei giorni scorsi non hanno fermato l’Abruzzo che ha deciso di ripartire dal suo cuore più verde – il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise - uno dei luoghi naturalistici più antichi e suggestivi d’Italia, puntando tutto sull’arte contemporanea. A Pescasseroli, il paesino tanto amato da Ettore Scola, a cui è dedicato l’unico cinema nel centro storico, poco distante dalla dimora dove nacque Benedetto Croce (Palazzo Sipari), si svolge ogni anno ArteParco, una manifestazione grazie alla quale un artista è chiamato a confrontarsi con le Foreste Vetuste, Patrimonio Mondiale dell’Unesco, con lo scopo di renderle cornici e parti stesse di un’opera realizzata con materiali ecologici e in continuo divenire, predisposta a trasformarsi in base ai ritmi e alle condizioni dettate dall’ambiente circostante.

 

Nella passata edizione, l’artista-designer Marcantonio Raimondi (molti degli oggetti più curiosi e iconici di Seletti, dalla lampada-topo al vaso-cuore, li si deve a lui) ci aveva stupito con “L’Animale Vegetale”, una grande scultura in legno a forma di cuore applicata su un albero morto, ben sapendo, in realtà, che un albero non muore, ma si trasforma, divenendo così il simbolo della vita e della biodiversità all’interno di un bosco incontaminato.

 

 

Quest’anno invece, sempre grazie a Parco 1923 e a Bmw Italia che da quasi cinquant’anni ha avviato oltre cento collaborazioni culturali in tutto il mondo con le istituzioni più rilevanti, è la volta di Matteo Fato e dei suoi “Specchi Angelici”, tre cavalletti antichi da pittore che “catturano” la natura in una cornice, lasciando spazio a quante più immaginazioni possibili. Tre cavalletti vuoti senza quadri, “delle vere e proprie trappole per le visioni degli angeli che vengono così messi davanti alla natura”, spiega l’artista pescarese al Foglio. “La mia è una riflessione sulla pittura del paesaggio che definisco un presentimento per altre possibilità”, aggiunge. “Ho voluto lasciare dei cavalletti in quel luogo che un giorno vorrei tornare dipingere, ma per fare questo occorre del tempo, quei cavalletti dovranno mettere radici”.

 

Il visitatore vedrà dunque l’immagine a seconda di dove si colloca avendo come testo una panchina con sopra inciso come un’epigrafe “La natura non ha immagini”, il testo che accompagna l’opera e a cui si è ispirato l’artista scritto da Gianni Garrera, filosofo e traduttore di Kierkegaard. La pittura ha una destinazione umana, ma a ben vedere c’è anche una destinazione che non conosciamo, un verso e un retro che la fa essere extra-umana. “La pittura – leggiamo - possiede il seme del tutto ed è causa di tutte le cose che dipinge. Ha una presenza angelica che contiene in sé il mondo”. “Come agli uomini non è consentito avere una visione di Dio faccia a faccia (ne hanno la visione attraverso uno specchio che è la scrittura), così le figure angeliche devono far riferimento all’arte per avere una visione del mondo e della natura”. Per il filosofo e per Fato - classe 1979, presto alla galleria Monitor di Roma e Pereto con una personale - “la funzione della pittura umana è quella di mediare la natura attraverso uno specchio e ciò che viene dipinto è quello che quelle figure sanno del mondo”. Scopo della pittura “non è pertanto aggiungere ulteriori nature alla natura”, “ma decrearla attraverso la sua imitazione”. “Il pittore imitando il paesaggio, decrea il paesaggio dimostrando che l’atto del decreare è superiore a quello del creare”. La pittura diventa così una lente d’ingrandimento del reale e della vita stessa, una maniera per farcela vivere e ed assaporare nei modi migliori possibili.

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