L'ultima imperatrice
Dagli involtini al Premio Strega. Con un ristorante è diventata l’influencer più famosa dell’Esquilino. La Cina secondo Sonia Hang
Il locale: tappezzato di articoli fotografie interviste anticipazioni: di lei, Sonia, la più celebrata cuoca cinese di Roma e non solo, finita pure in una campagna Gucci e oggi strano mistone tra una chef, un’oste, un’influencer globale ma di quartiere. Sulla vetrina, annunci. “Sonia sarà a Popolo Sovrano, Rai due, alle ventuno; Sonia al Teatro Argentina il 9/10 settembre, Sonia su Sky con Maurizio Battista” (il Louis Ck romano). I cartelli sono disegnati, con anche i loghi delle relativi show, a pennarello. E poi centinaia, migliaia di foto di lei, Sonia, con: Nanni Moretti, Walter Veltroni, Carla Fracci, la Venier, presidenti di camere e senati, Heather Parisi, la Fedeli, Ammaniti (Sonia sembra una canzone di Rino Gaetano). Qualunque attore anche di seconda e terza categoria. Una paretina votiva dedicata a Vissani. Copertina di Visto (“ho conquistato Roma con gli involtini primavera”).
Il locale di Sonia si chiama Hang Zou, è uno sterminato ristorante con interno giallino spugnato e pareti di finta pietra, un enorme autogrill spiaggiato all’Esquilino, quartiere romano di immigrazione cinese e di intellettuali-cinematografari che resistono tra liquami e homeless e architetture umbertine. Lei li sfama dal 1991, quando è arrivata a Roma a lavorare presso uno zio in un piccolo ristorante leggendario poi diventato questo enorme e un po’ industriale. “Posti a sedere, centocinquanta”, dice ora lei, cinquantun anni, ma ne potrebbe avere trenta; caschetto da Anna Wintour esquilina, abitino a pois, potrebbe essere una modella o un’influencer di quelle asiatiche con mostruosi seguiti che dilagano alle sfilate milanesi. Nei lunghi corridoi verso i bagni, reparto stampa cinese, centinaia di articoli incorniciati col suo faccione in questa rassegna stampa muraria.
Uno sterminato ristorante con interno giallino spugnato e pareti di finta pietra, un enorme autogrill spiaggiato all’Esquilino
Come tutte le star ha un nome d’arte. Lei sarebbe Sonia Hang, il ristorante si chiama Hang Zhou, tu alla fine come ti chiami? “Zhou Fenxia”, dice lei. E Zhou è il cognome, giusto? “Sì”. Quindi il nome è Fenxia. “Sì”. E Sonia che c’entra? Alza le spalle. “Me lo sono scelto. Ho pensato: se vivo in Italia devo avere un nome che capiscono. Per esempio tu, Michele, è originale?”. Beh, sì. “Ah”. Pare un po’ delusa. Avverte che alle 17 ha un impegno, deve andare a una cerimonia Italia-Cina, con Bocelli.
Ma ’ste foto quante sono? Non lo sa, troppe. Ci sono anche attori praticamente ignoti. Come fate? Avete degli esperti riconoscitori? “I nomi me li segnalano i clienti. E le macchine, una volta ne avevamo tre, dietro la cassa, sempre pronte per scattare. Ma una sera ce le hanno rubate tutte! E’ venuto un gruppo, una mi ha distratto, dicendo che aveva prenotazione, l’altro dice: chi è questo attore in foto? Il terzo ha preso le macchine. Tutte rubate”. “Adesso comunque non ne mettiamo più di foto, perché metto su Instagram”.
Sonia al premio Strega con l'ex sindaco di Roma, Francesco Rutelli
Le foto, ossessive, spalmate su tutte le pareti, sembrano un’opera di quei fotografi che ritraggono anno per anno gli stessi soggetti, dall’infanzia alla vecchiaia. Faceapp applicato alla trattoria romana. Il primo a essere fotografato “è stato Nanni Moretti”, che è una specie di mascotte qui, ripreso in decine di scatti, con barba, senza, sorridente, felice, depresso; e poi anche sull’Instagram di Sonia, che controlla tutto dal tavolo, manda occhiatacce a una cameriera (maglietta Givenchy, occhiali da nerd, è sua figlia). “Stai facendo video? Allora sposta, che luce viene meglio”, Sonia si alza, sposta tutto, piatti, bicchieri, in un balzo salta di là dal tavolo. Adesso è diventata digitale, è un’influencer. “Ma no, io no conosce niente, ma dopo Gucci tutti mi guardano, ho capito che devo pubblicare qualcosa”. Gucci è stata la famosa campagna dell’anno scorso dedicata a romani ganzi. “Un sacco di mi piace!”. Ride. “Mi ha tirato molto su ristorante!”. Ma hai qualcuno che segui? La Ferragni? “No, mica sono ragazzina”. Sai chi è? “Ah, Ferragni conosco perché l’amica mia che ha fatto documentario su di me, Elisa Amoruso, adesso lo fa anche su di lei”. Su Sonia si fanno film e documentari, adesso.
Lei si gode la nuova celebrità, stava pure al premio Strega. Con una specie di amico-assistente che la fotografava. Che ci facevi allo Strega? “Ah, ma noi abbiamo fatto una pubblicità dello Strega”, tira fuori il telefono e dal suo Instagram ecco uno spot per il premio Strega con Pino Strabioli, girato qui. “Eh, ma Pino lo conosco da più di vent’anni”.
Sonia ha ibridato il ristorante cinese sulla trattoria romana dove un piatto caldo c’è sempre, per l’amico giornalista o attore o scrittore squattrinato, par di capire. E’ la Campana 2.0 aggiornata ai tempi di Instagram. E lei una Sora Lella 2019. Star mediatica ma che rimane di quartiere. In tv ci va “dal 2002, mi pare. Mi hanno invitato a un programma che si chiamava ‘Mondo a Colori’, cercavano una cinese che parlasse italiano, poi dopo sono andata a diversi programmi”. Da Sonia tutti ci vanno non per il cibo che pure è molto buono, ma perché lei è soprattutto un personaggio. Ma i disegni delle trasmissioni, chi te li fa? “Ah, quelli li fa mio figlio, gli piace molto disegnare”. E ’sto caschetto da Anna Wintour? Roberto D’Antonio, il parrucchiere delle dive? “Ma no, faccio qui, Esquilino, via dello Statuto, cinesi. Perché italiani non sa fare. Capelli cinesi diversi. Provato tanti anni fa, son dovuta tornare tre volte per aggiustarlo”. “Aspetta! Devi mettere salsa!”. Sonia ora mi sta insegnando come si mangia correttamente l’involtino primavera (è la risposta romana a Dolce e Gabbana). Hai detto in una delle diecimila interviste che gli italiani chiedono sempre l’involtino primavera, che in Cina non esiste. Salta su. “No no, assolutamente, ho detto che noi non li mangiamo come antipasto. Ma non c’è errore! Assolutamente! Italiani bravissimi!”.
Rimpiange Mao, adora Xi Jinping: “I cinesi due miliardi. Se ognuno si mette a dire la sua è finita. Decide lui che sa meglio”
E l’altro errore fondamentale, il riso alla cantonese? “No, no, non è errore, assolutamente” – Sonia è molto diplomatica, “solo che da noi si chiama riso con uovo e prosciutto”. Nel frattempo tiene d’occhio la sala. “Altri biscotti!” intima a una cameriera. I biscottini della fortuna. “Migliaia. Non puoi capì. Sono stata prima ad averli, a Roma. Erano turisti americani che chiedevano. Ora migliaia. Gente non è che uno basta. Chiedono sempre. Migliaia”. E chiedono ancora il sushi gli italiani al cinese? “Non più, un tempo sì”.
Lei invece mangia solo riso in bianco con fettine di zenzero e dei gelsi, che bolle in una speciale tisana deliziosa che poi mi offre. Deve stare in forma. E’ una star. “Prendi riso cantonese!”, mi ordina. Ma se hai detto che non esiste. Io voglio la cucina vera cinese. Dicono che tu fai cucina cinese italianizzata. “Io prima devo pensare a commercio. Prima dev’essere prodotto che piace. Involtino ordinano tutti. Io pazza a non tenerlo”, protesta. “Ah, ecco, arriva pesce speciale per te”. “Pesce cinese!”. Arriva un pescione buono. Sonia spiega come si mangia il pesce cinese. Molto buono. Come si chiama codesto pesce cinese? “Spi-go-la”, scandisce. Ah, ecco, un vero pesce cinese. All’acqua pazza, parrebbe. “E’ che ti devi integrare bene dove vai. Devi capire gusti. Se vieni qui non sai cosa vogliono romani, cosa apri a fare”. Ma parliamo dei cinesi a Roma. Leggende. Non morite mai. “Eh, non moriamo, mò. Siamo immortali”. “Moriamo, moriamo. Un po’ siamo giovani per morire. Io che sono un po’ la prima generazione, son qui da vent’anni, è un po’ presto per morire. Poi tanti quando muoiono si fanno portare in Cina. Oppure quando diventano vecchi tornano. Qua se vai in ospedale intanto non capiscono la lingua. Tornano a casa. C’è un detto cinese, la radice quando invecchia torna a casa”. E i nuovi cinesi che arrivano oggi a Roma come sono? “Ma quali. Non ci stanno. Cinesi non vengono più. Vedi che quartiere è pieno di annunci, tutto vendesi e affittasi e chiuso. Economia qua va male, non c’è più lavoro”. “Anche io adesso per assumere cuochi non trovo più cinesi, devo prendere filippini”. Qui sono “otto in cucina, sette in sala più la famiglia, sorella, zia, genero, figlia, cinque”. Lei li comanda tutti, sfilano davanti al suo sguardo. Lei a mangiar fuori non va mai, “non ho mai tempo, ‘ndo vado. Quel poco di tempo che ho vado in televisione”. Vacanze in agosto, quando chiudono. “Dobbiamo rifare tutta cappa aspirante”. E in Cina non ci va? C’è appena stata, è entusiasta della sua nuova carta di identità elettronica cinese, col cavolo che si fa quella italiana (a Roma servono quattro mesi per averla). “La usi per entrare nella metropolitana, compri col cellulare, e passi dappertutto solo con carta di identità. In l’aereo, al parco, tutto”. Che bello, il grande fratello.
Il primo a essere fotografato “è stato Nanni Moretti”, che è una specie di mascotte qui, ripreso in decine di scatti
Ma lei adora questa nuova Cina inquietante. “Guarda qua”, e mostra una pagina incomprensibile sul suo iPhone X, con un treno cinese che sfreccia. Ma non hai uno Huawei, ma come. “Prossimo sì, prossimo Huawei, certo”, si entusiasma. Ma così ti succhiano tutti i dati. “Ma quali dati. Quello dicono americani. Americani cattivi. Cinesi aiutano mondo e basta!”, salta su. “A crescere insieme”. “Chi ha paura dei cinesi non vuole crescere! Chi ha paura della Cina non vuole migliorare”. Mica come America. America distrugge. Noi aiutiamo. Adesso col 5G mettiamo tutto il 5G a tutti. Bello no? Vi diamo 5G a tutti”. Cresciamo insieme, che bellezza. Così ci spiate tutti. “Non devi pensare così”, dice seria, mentre spalma altra salsa sull’involtino primavera in maniera corretta. “Se non ti conosco ti servo male”, fa, melliflua. “Se non so chi sei, ti faccio ordinazione sbagliata”, dice spalmando. “Meglio se so tutto! Se so chi sei tu mangi meglio! Ti faccio ordinazione migliore! Se sei buono non devi avere paura. Non devi avere segreti”. “Trasparenza! Se sei cattivo, peggio per te!”. Aiuto. Comincio a sospettare che Sonia sia una spia cinese (qui da Sonia hanno fatto anche una serata con tutti i pezzi grossi della China Airlines, per discutere sul progetto della Via della Seta, quello che fa imbestialire Trump). “Seta, seta”, dice lei scuotendo il caschetto. “Ormai attaccano ’sta parola a tutto ciò che è cinese, seta”. E spalma.
E a parte i cinesi, che ne pensa delle altre immigrazoni in Italia? Sonia come una vera matrona romana è per le larghe intese. “Se vieni a fare qualcosa, bene, sennò meglio che stai a casa tua”. Allora ti piace Salvini. “No, Salvino no. Preferivo quello là di prima, come si chiamava, Renzo”. Renzi. “Sì, Renzo. Ma lui prepotente. Per quello l’hanno cacciato”. Salvino viene al ristorante? “Mai. Sennò vedevi foto. Se cliente famoso, io faccio foto”. “Salvino incontrato solo una volta in trasmissione tv. C’era uno cattivo che mi trattava male, che diceva che cinesi mangiano i gatti e i cani. Un cattivo! Per fortuna c’era Vissani che mi ha difeso”. Ma chi è? “Uno cattivissimo, Adinolfo!”.
Ha un iPhone, altro che Huawei. Lo spionaggio solo un complotto: “Americani cattivi. Ma cinesi aiutano il mondo e basta!”
E Ping, come lo chiama Di Maio, altrimenti detto Xi Jimping, il presidente cinese, è passato di qua nella sua visita recente a Roma? “Magari”, sospira. Lei ovviamente lo adora. “Lui bravissimo. Lui parla sempre senza foglio davanti! Altri leggono”. Eh, però non è mica tanto democratico. “Che c’entra. Cinesi due miliardi. Se ognuno si mette a dire la sua è finita. Decide lui che sa meglio”. Rimpiange però Mao, della cui effigie le salette in fondo sono tappezzate (forse erano finiti gli attori). “Nuova Cina senza Mao non esisteva. Senza Mao Cina non vinceva America”. Ma ce l’hai con l’America. “America cattiva! Ma sei americano tu?” (mi guarda con sospetto). Io no, purtroppo. “Mao era uno…” – dice, sognante. “Come si dice?”. Chiama una cameriera. Le intima qualcosa in cinese. Quella fila a consultarsi con un’altra. Torna. “Vi-sio-na-rio!”, dice. “Ecco, visionario”. “E sai Mao di chi è idolo?”. Non me lo dire. “Di Putin!”. Oddio, Putin no. Se lo scoprono i tuoi clienti esquilini. Se lo sa Nanni, che già ci guarda da una foto in cui è molto, molto perplesso.
Ma per tornare a Roma, non potremmo intanto cedergli la città ai cinesi? Cosa farebbe un sindaco cinese a Roma? “Sistema tutto. Sistema prima strade. Poi mette a posto monnezza”. “Sono cose base, per vita di tutti i giorni. Cinese non sopporterebbe città così”. Non possiamo farli venire subito, ’sti cinesi? “Ma romani non vogliono. Romani stanno bene così. Non vogliono manco Olimpiadi. Romani vogliono vivere come seicento anni fa. Uguale uguale. Ma oggi è oggi, no seicento anni fa. Romani non vogliono progresso. Per progresso ti devi impegnare. Mica andare in discoteca la sera. Però questo non lo scrivere, sennò non mi vogliono più bene”. “A’ Soniaaa!”, passa un gruppo di omaccioni in pausa pranzo. Un altro gruppo di ragazze smilze Roma nord o centro. “E’ proprio lei, Sonia!”, mormora una signora. Lei saluta tutti, dice un “ah bello”, generico, e non perde d’occhio la cassa.