Graphic novel d'avanguardia per la scuderia ratigher
Il frate che levitava, da Carmelo Bene al sorprendente Miguel Angel Valdivia
Quando Francesco d’Erminio, per tutti Ratigher, ha ereditato la direzione di Coconino Press da Igort (al secolo Igor Tuveri), lo aspettava un compito non facile: mantenere lo standard qualitativo elevatissimo fin lì espresso dalla casa editrice, nel frattempo esportato dallo stesso Igort, forse con un piglio ancor più raffinato, nella sua Oblomov, e darle allo stesso tempo un’impronta personale altrettanto unica e riconoscibile.
A poco più di due anni dalla sua nomina, non solo la missione può dirsi compiuta, ma addirittura superata: chi seguiva le imprese di Ratigher fin dai tempi delle riviste e dei Superamici, gruppetto di buontemponi diventati tutti figure di spicco della scena fumettistica italiana (oltre a Ratigher il gruppo contava il dr. Pira, Lorenzo Ceccotti aka LRNZ, Tuono Pettinato e Maicol & Mirco), non aveva dubbi sul fatto che avrebbe saputo dare un impulso di originalità né sulla sua capacità di andare a scovare talenti inusuali dall’underground, ma il suo lavoro è andato molto oltre tutto questo, con un mirabile scavo – sia in orizzontale, verso inattese scoperte contemporanee, sia in verticale, verso pezzi di storia sepolti ma ancora oltremodo scintillanti – nel manga, e una cascata di scoperte e riscoperte sia italiane sia europee tale da far almeno ritoccare la storia del fumetto che ciascuno di noi crede di conoscere.
Oggi arriva un tassello così inusuale da elevare ancora una volta la pur elevata asticella: dal Messico, ma anche dall’Europa, nelle cui città ha vissuto a lungo, giunge Miguel Angel Valdivia, classe 1979, col Divino inciampare, graphic novel che fin dall’aspetto esteriore – Coconimo lo presenta in “full black”, con una fascetta disegnata che occupa tre quarti della copertina – si impone come un oggetto narrativo di ardua identificazione. Interamente muta, fatti salvi alcuni inserti testuali curati dagli artisti napoletani Cyop & Kaf, in un bianco e nero graffiato che viene dall’uso, al posto del pennello, di una piuma di beccaccia, scelta dall’autore per la capacità di conferire una lieve incertezza al segno, l’opera fa capire subito di non aver intenzione di scendere a compromessi.
La storia è quella già raccontata da Carmelo Bene nel suo A boccaperta: i voli di Giuseppe Desa da Copertino (presso Lecce), frate prima osteggiato e poi canonizzato dalla chiesa, che secondo la leggenda popolare aveva il vizio del volo – levitava, che lo volesse o no, ogni volta che vedeva una certa immagine della Madonna. Ma il luogo in cui ci porta Miguel Angel Valdivia – per quanto prenda le mosse, nel suo lavoro, proprio dall’esegesi beniana – è molto lontano dalla campagna di Lecce nel Seicento: ciò che proiettano i suoi bianchi sparati e sgomenti, e i suoi neri sgraffiati e torturati, è un universo altamente simbolico, tra Francis Bacon e Max Ernst (ma s’intravvede anche Roland Topor), che quando cerca un maggior realismo dopo gli afflati della visione finisce in un campo psicotico, nudo e retro-tecnologico a un tempo, degno di un Ballard in k-hole, in cui le suggestioni della religiosità popolare si danno battaglia con le strutture del controllo e della repressione, e in cui un ignaro ispiratore di devozione viene sottomesso da un papa implacabile solo per tornare a infestarne i sogni e incrinarne l’autorità.
Sorge un dubbio, di fronte a sittante, continue, iconofanie: siamo “solo” di fronte a un fumetto sperimentale, o i dettami dell’arte sequenziale qua saltano al punto di portarci più vicini a una serie di tavole – a un’interpretazione letterale dell’espressione, ormai ridotta a luogo comune, “romanzo per immagini”, se non proprio a un retablo? Difficile dire, non esistendo ancora altre opere a fumetti dell’autore; di certo questo lavoro, che può esistere solo laddove si abbia un direttore editoriale senza nessuna paura di raccogliere sfide, getta nello stagno un sasso di peso tale da non poter essere ignorato.