Venti libri per le vacanze
Inventario estivo a cura di Annalena Benini
Il Gruppo
E’ tornato “Il gruppo”, di Mary McCarthy. Con la traduzione riveduta e corretta dalla sua stessa traduttrice, Elena Dal Pra. In una nuova edizione rossa minimum fax. Non è un libro che si può perdere. Non è una scrittrice che si può dimenticare. “Il gruppo”, pubblicato in America nel 1963, è la base di tutto l’immaginario letterario femminile che è arrivato dopo. Otto amiche upper class, compagne di studi al prestigioso Vassar College, laureate nel 1933, e le loro grandi speranze. Il sesso, l’innamoramento, la delusione, gli uomini a volte squallidi, l’ambizione, la maternità, l’omosessualità. La parola orgasmo nel primo capitolo, e il racconto preciso della prima volta di Dottie, con un uomo che le dice: malgrado le apparenze, probabilmente hai una forte carica sessuale. E le chiede di usare un contraccettivo, e aggiu nge: non innamorarti di me, non illuderti che più andiamo a letto insieme, più mi piacerai: non succede mai. Nonostante questa brutalità, il cuore di Dottie è in festa. E’ il Ventesimo secolo, è un’idea nuova di libertà, di trasformazione, e di fatica per affermare qualcosa di diverso, se sei una ragazza. La psicanalisi, la politica, la spesa, lavare i piatti, le lacrime di solitudine, l’amicizia che si spacca, la perfidia, l’infelicità del matrimonio, la speranza incrollabile e il fallimento delle aspettative. La storia dolorosa, entusiasmante e sp i etata, di tutta la fatica fatta per cambiare le regole dell’esistenza.
IL GRUPPO
Mary McCarthy
minimum fax, 522 pp., 16 euro
Classics, 2019. Traduzione di Elena Dal Pra
Vite che non sono la mia
E’ il libro più straziante di Emmanuel Carrère, e anche il più intimo, per uno scrittore che ha creato l’intimità dell’autobiografia, il patto con il lettore: questo sono io, quindi fidati di me, vieni con me. E noi allora andiamo in Sri Lanka dove c’è stato lo tsunami che l’ha solo sfiorato ma gli ha gettato addosso il dolore immenso di due genitori che hanno perso la figlia di quattro anni, Juliette, e a quel dolore Carrère dà voce, lo trasforma nel dolore di tutti. E poi il cancro di un’altra Juliette, la sorella della sua compagna Hèlene, e il suo lavoro di giudice di provincia, e i sentimenti che accompagnano Carrère in questo viaggio nella vita degli altri: anche dentro l’ombelico meno luminoso c’è la scintilla del mondo intero, tutti i volti dell’esistenza, e quelle esistenze tornano sempre a specchiarsi in un’unica esistenza, la sua. “Fino a pochi mesi fa, se avessi scoperto di avere il cancro, di dover presto morire, e mi fossi fatto la domanda che si è fatta Juliette – la mia è una vita riuscita? – , non avrei saputo rispondere come lei. Avrei detto di no, che la mia non era una vita riuscita. Avrei detto che mi erano riuscite alcune cose, che avevo avuto due figli belli e vivaci, scritto tre o quattro libri in cui aveva preso forma quello che ero. Ho fatto quello che ho potuto, con le mie capacità e le mie inadeguatezze, ho lottato per farlo, il bilancio non è del tutto negativo. Ma mi è mancata la cosa più importante, l’amore. Sono stato amato, sì, ma non ho saputo amare, o potuto, è lo stesso. Nessuno ha potuto abbandonarsi con fiducia al mio amore, e io, alla fine, non mi abbandonerò all’amore di nessuno”. Poi è arrivato lo tsunami, e ha cambiato tutto, almeno dentro questo libro, e allora ogni pagina ci spinge a chiederci ossessivamente: e io?
VITE CHE NON SOLO LA MIA
Emmanuel Carrère
Adelphi, 261 pp., 19 euro
Fabula, 2019. Traduzione di Federica Di Lella, Maria Laura Vanorio
Persone normali
Io e Annie. E adesso Connell e Marianne, e l’amore quando non si è capaci di riconoscerlo, ma lo si vive, lo si spreca, e ci si costruisce sopra la propria identità, con molti sbagli e una sconfinata, dolente giovinezza. E’ il libro di cui parlano tutti, scritto da una ventottenne irlandese molto premiata e ammirata già con il primo libro, “Parlarne tra amici” (sem - pre Einaudi). Ma questa volta è di più, Sally Rooney vola più in alto e quindi spinge molto in profondità questa scrittura dura, minuta e forte, che indaga l’interiorità di due ragazzi che crescono insieme, salvandosi e ferendosi, lasciandosi e proteggendosi, senza riuscire mai a tenere stretta la felicità. “Adesso possiamo andare a casa tua? Lui ha annuito. Per un attimo sono rimasti lì, in silenzio, lui con le braccia intorno a lei, a respirarle sull’orecchio. La maggior parte della gente, ha pensato Marianne, vive un’intera vita senza mai sentirsi così vicina a qualcuno”. Marianne per ora è debole, socialmente impresentabile, e lui a scuola finge di non conoscerla. La madre di lui fa le pulizie nella villa della madre di lei. Così comincia lo squilibrio, e prosegue sempre. I ruoli si invertono e adesso, all’università a Dublino, è Marianne quella corteggiata, popolare, amata. Sono entrambi disorientati, e usano l’ironia e la sensualità per restarsi accanto. Anche la disperazione. Sono brillanti, intelligenti, disadattati e feriti, e Sally Rooney sa raccontare il movimento interiore delle loro esistenze, la ricerca di consenso, l’improvvisa nebbia nel cervello e nel cuore, la commozione dei corpi che si avvicinano. Questo non è un romanzo sui millennial, ma è un grande romanzo su tutto ciò che abbiamo: gli esseri umani che si cercano, e si perdono.
PERSONE NORMALI
Sally Rooney
Einaudi, 248 pp., 19,50 euro
Supercoralli, 2019. Traduzione di Maurizia Balmelli
La donna della domenica
Anna Carla decise: perdonava anche a Massimo. E per oggi non si sarebbe fatta altri problemi. Ecco il suo fioretto per la giornata. Con un gesto secco, chiuse la lampo del vestito corto e leggerissimo, a righine, e si sedette alla coiffeuse per guardarsi i capelli. Un po’ mossi, ma ancora decenti. Dal parrucchiere ci sarebbe andata domani”. Per i fortunati che non hanno letto “La donna della domenica”, di Fruttero&Lucentini, e che devono ancora innamorarsi di Anna Carla Dosio e del suo voltegg i are malizioso per Torino, ma anche per tutti gli altri che vogliono ritrovare il fascino, l’ironia, le chiacchiere leggere, la complessità quasi nascosta, i personaggi pieni di vita e di spirito. Per chi vuole divertirsi, e anche per chi non ha mai amato i gialli e le trame complicate. Per chi ha nostalgia dell’“americanista Bonetto”, e di questo modo fresco, elegante, irresistibile di prendersi gioco degli altri e di costruire una storia avvincente. Jane Austen, l’artista perfetta, scriveva: “A che scopo dobbiamo vivere, se non per essere presi in giro dai nostri vicini e ridere di loro a nostra volta?”. Pubblicato per la prima volta nel 1972, “La donna della domenica” ha fatto il giro del mondo e adesso è in una nuova edizione per i novant’anni dei Gialli Mondadori. Frase da ricordare: “Voialtre incensurate siete le più pericolose”.
LA DONNA DELLA DOMENICA
Carlo Fruttero, Franco Lucentini
Mondadori, 544 pp., 16 euro
Il Giallo Mondadori, 2019
Paranoia
“Il novanta per cento della mia vita l’ho vissuta dentro la mia testa”, ha scritto Shirley Jackson di se stessa, e leggerla è un tale piacere, stupore, inquietudine, riconoscimento, che vorrei che sapesse che ne è valsa la pena. Cronache brillanti di vita domestica, che cercano solo in apparenza di rassicurare, ma in realtà fanno sentire un mondo segreto che si muove un centimetro più sotto. Le frasi dei bambini, le loro paure, la foto di un cadavere in decomposizione, una forchetta, l’aria arcigna di una vicina di casa, una padella da lavare, la recensione di un libro, la vita interiore degli utensili della cucina, le rimostranze e le ribellioni delle tovaglie. E gli appunti scritti accanto alla lista della spesa, accanto alle frasi dei bambini, accanto alla tristezza per il marito (era lui quello importante della famiglia, era lei quella geniale): “Shirley, fai cadere il vecchio dalle scale”. L’inferno è così vicino, sempre, passa accanto a un pranzo della domenica, si acquatta in un angolo, esplode nella lotteria annuale di un paesino, in cui chi estrae il numero giusto vince la propria lapidazione. E il divertimento, e la fatica, sta nel mostrarlo, questo inferno, e poi con una frase soltanto buttarlo giù dalle scale.
PARANOIA
Shirley Jackson
Adelphi, 205 pp., 18 euro
Collana Fabula, 2018. Traduzione di Silvia Pareschi
A cura di Laurence Jackson Hyman, Sarah Hyman DeWitt
Maternità
Il problema più femminile di tutti è quello di non concedersi abbastanza spazio o tempo, o vederseli negare. Ci strizziamo dentro i momenti che ci concediamo, o che altri ci hanno concesso. Non ci espandiamo languidamente nel tempo, ma destiniamo a noi stesse delle minuscole porzioni di tempo in cui esistere, avaramente. Ci lasciamo pressare da tutti. Io invece voglio prendermi tutto lo spazio che posso”. Sheila Heti ha scritto un libro (una confessione, il diario di un tormento o di una ribellione) che finalmente complica le cose, rivelandole, rispetto al desiderio e al dovere di maternità, rispetto all’ambizione, al sesso, al mondo intero delle aspettative e delle frustrazioni. Le decisioni avvengono nell’intimo della mente, e quindi un figlio (l’idea, la voglia, il rifiuto, l’ostinazione) nasce lì, si muove lì dentro, se si ha il coraggio di indagare quella domanda, quella richiesta, e anche l’eterno desiderio di lasciare la famiglia d’origine e non far mai parte di un’altra. La voce narrante è riconducibile all’autrice per età e per condizioni, e la risposta alla domanda è: non voglio un figlio. Ma non è così semplice. Speculazioni filosofiche, ironia, ciclo mestruale e conseguente sentirsi uno schifo, sogni e lancio delle monete per rispondere a quesiti spesso cruciali, “Stasera devo chiedergli scusa? Sì”, per non nascondere niente delle contraddizioni e delle profondità anche pazze dell’anima e del corpo di una donna al centro di sé. Non risolve – non si può risolvere! – ma appassiona, arricchisce e elimina la vergogna e il pudore di sé.
MATERNITÀ
Sheila Heti
Sellerio, 300 pp., 16 euro
Il contesto, 2019. Traduzione di Martina Testa
Mrs Bridge
Mrs Bridge non sapeva bene quello che voleva dalla vita, né che cosa aspettarsene, ma aveva grande fiducia nel matrimonio e in Mr Bridge (Mr Bridge è anche il titolo di un altro romanzo di Evan S. Connell, ma il capolavoro è questo, sulla vita e lo straniamento della signora Bridge, che ha sempre indossato i collant anche d’estate, a Kansas City). Mrs Bridge pensa alla casa, ai figli, alla domestica, all’igiene, alle buone maniere, alle vicine di casa, qualche volta con fatica legge qualche pagina di un libro su come ampliare il proprio lessico. Si fida delle persone perbene, e si stupisce, mese dopo mese, anno dopo anno, di non sapere niente dei suoi figli, di non conoscere le loro vite, di suscitare il loro fastidio, ma cerca per tutta la vita di proteggersi dalla verità. Vuole essere una moglie devota che non si lamenta mai e che si ricorda di far cambiare il lubrificante dell’automobile, e che tiene in bagno piccole salviette per gli ospiti color pastello. Ma Mrs Bridge sa che qualcosa è andato storto, e che il tempo le è scivolato addosso dentro un vuoto che non sa raccontare, e che non può ammettere (“Ma allora com’è possibile che non siamo stati… che niente è stato… che tutto quello che…?”). Viene voglia di scuoterla, abbracciarla, distruggerle la casa, oppure dirle: Mrs Bridge, io ti capisco, e consolarla. Il finale è grandioso.
MRS BRIDGE
Evan S. Connell
Einaudi, 232 pp., 12 euro
Super ET, 2017. Traduzione di Giulia Boringhieri
Scrivi sempre a mezzanotte
Ma senti, supponi che Orlando si riveli essere Vita e che sia tutto su di te e la lussuria della tua carne e la seduzione della tua mente (il cuore non ce l’hai, tu che t’intrat - tieni nei vialetti con la Campbell) – supponi che ci sia quel luccichio della realtà che talvolta emana dai miei personaggi, come la lucentezza dell’ostrica – ti secca? Di’ sì o no”. Vita risponde a Virginia, l’11 ottobre del 1927, quando la loro storia ha esplorato tutta l’intimità possibile ma è molto lontana dall’intiepidirsi e dal mostrare la quiete che porta con sé il tempo, e anzi la gelosia per lei “che va con qualsiasi donnetta” fa ancora fremere Virginia: “Mio Dio, Virginia, non mi sono mai sentita così elettrizzata e atterrita come davanti alla prospettiva di essere proiettata nelle sembianze di Orlando. Che divertimento per te, e per me anche. Ebbene, qualunque vendetta tu vorrai mai esercitare, ce l’avrai tra le mani. Sì, va’ avanti, rigira la frittella, che sia ben dorata su entrambi i lati, mettici il brandy, e servila calda. Hai la mia completa approvazione”. L’amore, il sesso, i libri, la vita insieme: queste lettere imperdibili, e i preziosi saggi che le accompagnano, rivelano un mondo eccitante, vivo, pettegolo e profondo, e una storia d’amore fondamentale, per vivere e per scrivere.
SCRIVI SEMPRE A MEZZANOTTE
Virginia Woolf, Vita Sackville-West
Donzelli, 304 pp., 24 euro
Meledonzelli, 2019. A cura di Elena Munafò.
Traduzioni di Sara De Simone e Nadia Fusini. Con un saggio di Nadia Fusini
Transiti
Una donna che si affida a un’astrologa online, attraverso una mail spazzatura che le dice: so che stai andando in pezzi, ho notizie importanti per te. La sua amica che scoppia a piangere a letto con un uomo quasi sconosciuto, e lui le prepara un tè, una fetta biscottata e le consiglia lo psicanalista. Pavel, il muratore polacco che si tiene tutto dentro. L’ex fidanzato che non ha mai lasciato la vecchia casa in cui aveva vissuto con Faye, ma ha abbattuto con furia tutti i muri divisori. Amanda che vive nelle macerie del suo appartamento da due anni perché nel frattempo ha iniziato una storia con chi le ristruttura la casa, ma da come cammina, da come si sforza di non piangere, da come le trema la mano che cerca il cellulare nella borsa, quelle macerie fanno profondamente parte della sua vita. La vicina di casa che le grida: bastarda di merda. Ogni storia contiene macerie e solitudine. E Faye, che sta ricostruendo il suo equilibrio, si mette in ascolto attento delle solitudini di tutti. Magnifica e terribile la telefonata con i figli e il ricordo del momento in cui è finito il suo matrimonio, “una buia serata in cucina quando lui neppure c’era”.
TRANSITI
Rachel Cusk
Einaudi, 200 pp., 17 euro
Stile Libero Big, 2019. Traduzione di Anna Nadotti
Finché morte non sopraggiunga
“Ho ancora due o tre cosette da dire. Il tempo passa. La questione sta tutta qui: quali parole usare”. E’ l’incipit dell’ultimo libro di Amos Oz tradotto in Italia (il titolo originale, “Ad Mawet”, significa: fino alla morte), in realtà pubblicato in ebraico nel 1971, quando Oz aveva trentadue anni: ma racconta di un uomo in declino. “Personal - mente, faccio fatica a crederlo, ma sta di fatto che di colpo mi scuote il desiderio. Dentro il mio corpo, intendo. E mi scuote con una violenza prepotente, urgente, disperata. Io che da molti anni ho smesso per principio di guardare le donne. Io che non sono proprio capace di scambiare due parole con una donna. Non c’è niente da fare. Come si fa a discutere con questa forza. Mi vengono i tormenti, di colpo mi colgono da ogni parte, con volgarità, mi scuotono il corpo, mi umiliano tremendamente, mi umiliano totalmente”. Spasmi e malinconia per qualcosa che non ha posto nel mondo, gli scrisse un’amica di sua madre dopo avere letto il libro, e aggiunse: mi ha così turbato. Amos Oz turba, ma allo stesso tempo avvolge, consola con questa smaniosa ricerca di un senso all’esistenza, e con la pietà verso gli infiniti sbagli degli esseri umani. Se non avete letto ancora la sua autobiografia, “Storia d’amore e di tenebra” (sempre Feltrinelli), questo è il momento di farlo.
FINCHÉ MORTE NON SOPRAGGIUNGA
Amos Oz
Feltrinelli, 144 pp., 15 euro
I Narratori, 2018. Traduzione di Elena Loewenthal
Il mio anno di riposo e oblio
Alla mia scuola superiore, privata e femminile, avevo un gruppo adorante di seguaci. Mi imitavano e spettegolavano di me. Ero bionda, magra e carina. Era quello che notava la gente. Era quello che importava alle ragazze. Avevo imparato a galleggiare su affetti superficiali racimolati dalle insicurezze altrui. Non stavo fuori fino a tardi. Facevo i compiti e tenevo la mia camera pulita, nell’attesa di andarmene, crescere e sentirmi normale, o almeno così speravo”. Non conosciamo il nome di questa ragazza upper class laureata alla Columbia, ma sappiamo che nel 2000 ha compiuto ventisette anni, stordendosi di medicine e desiderando solo di dormire fino a scomparire, o rinascere. Il suo progetto è dormire per un anno, e accumulare beatitudine e serenità. La sua ossessione sono gli psicofarmaci, la sua migliore amica Reva e la sciagurata dottoressa Tuttle sono le uniche persone che vede regolarmente, oltre al portiere del palazzo. L’isolamento non funziona come annientamento, e l’ironia esalta la disperazione e la contiene, riuscendo perfino a renderla divertente. In America è stato uno dei romanzi del 2018, ed è perfetto per un giorno d’estate di riposo e oblio.
IL MIO ANNO DI RIPOSO E OBLIO
Ottessa Moshfegh
Feltrinelli, 240 pp., 17 euro
Collana I Narratori, 2019. Traduzione di Gioia Guerzoni
Romanzi - Volume III
E’ come se Roth dicesse a ogni riga: guardami, è così che si fa. Non devi vergognarti di ciò che hai e di ciò che sei! Se vuoi fare questo mestiere al meglio, non lasciarti intimidire dall’imbarazzo, dalla vergogna, dalla pudicizia. Non ci sono consiglieri più loschi e fraudolenti. Lascia il bon ton ai maggiordomi. Sappi che uno degli inconvenienti della scrittura è che non fa sconti, smascherando le ipocrisie e le imposture in cui ti crogioli. Puoi fingere con tua madre, con tua moglie, con i tuoi figli, con il capufficio; puoi mentire al rabbino, frodare il fisco, imbrogliare i conti, nascondere i soldi all’estero, ma al tuo computer non potrai mai fargliela: ci siete solo voi, uno di fronte all’altro ogni maledetta mattina, e lui non è tipo da farsi infinocchiare. Quando scrivi non c’è limite all’impudicizia, alla spudoratezza, all’improntitudine; non c’è verità, per atroce che sia, che possa essere elusa, anzi più è spaventosa più va scandagliata e portata in superficie. Per ottenere simili effetti non devi avere timore di esagerare”. E Philip Roth non si è mai fatto scrupoli, scrive Alessandro Piperno in questa lunga, accurata, appassionata introduzione al terzo e ultimo volume dei Meridiani, che contiene i romanzi di Roth dal 1998 al 2010, cioè fino all’ultimo libro, “Nemesi”. “Ho sposato un comunista”, “La macchia umana”, “L’animale morente”, “Il complotto contro l’America”, e “Everyman”. Un grande scrittore che non si è mai fermato, non ha mai smesso di rischiare, di crescere, di raccontarci chi siamo.
ROMANZI - VOLUME III
Philip Roth
Mondadori, 1.920 pp., 80 euro I Meridiani, 2019.
Notizie sui testi a cura di Paolo Simonetti. Saggio introduttivo di Alessandro Piperno
Tutti i racconti
Mi sembra giusto dedicare questa raccolta alla mia amica Sybil Claiborne, collega nel mestiere di scrittrice e di madre. Un giorno del 1957 passai da casa sua, a un quarto piano su Barrow Street, e lì vidi con i miei occhi i suoi due mariti che si lamentavano delle uova. Dopodiché iniziammo a chiacchierare e per quasi quarant’anni non smettemmo più. Poi lei morì. Tre giorni prima mi disse adagio, con il garbo di una persona insoddisfatta a cui restavano forse dieci parole: Grace, la vera domanda è: come va vissuta la nostra vita?”. Grace Paley ha dichiarato attraverso la scrittura l’amore per l’esistenza e per le uova al burro, per la città chiassosa e per le donne capaci di incasinarsi la vita. Ma anche per tutte le altre. Leggere tutti i racconti uno dopo l’altro significa reinnamorarsi degli esseri umani, nella loro mancanza di grazia, nella disgrazia e nel divertimento, e nella ruvida saggezza delle donne che hanno preparato uova al burro per molti figli, e li hanno visti crescere prima in bellezza e poi in rabbia. I personaggi sono reali e sbrindellati, ma la loro voce arriva da più in alto. Grace Paley, ha scritto George Saunders nell’introduzione a questo volume, ha saputo rendere omaggio alla poesia del nostro pensiero.
TUTTI I RACCONTI
Grace Paley
Sur, 516 pp., 24 euro
BigSur, 2018. Traduzione di Isabella Zani
Avviso di chiamata
“Tutti i giorni, quando tornava da scuola, mia madre faceva il cruciverba del New York Times. Eravamo la sola famiglia di mia conoscenza a Los Angeles che comprava il New York Times e lo compravamo perché mia madre sosteneva: ‘E’ l’unico cruciverba che valga la pena fare’”. Un giorno quella madre sul divano con il cruciverba indossa un paio di scarpe nuove, rosse con il cinturino, e le rimira in silenzio. Poi si alza, si guarda allo specchio, si tira indietro i capelli. E’ diversa. “Qualche sera più tardi, invece di andare alla sua partita settimanale di poker, mio padre la seguì in un motel e per poco non sfondò la porta”. E’ il romanzo d’esordio di Delia Ephron, sorella minore di Nora, uscito in America nel 1995 e ora pubblicato da Neri Pozza (è anche un film, “Avviso di chiamata, Hunging Up”, con Diane Keaton e Meg Ryan, scritto da Delia e Nora Ephron). Delia e Nora Ephron hanno lavorato molto insieme per il cinema, e in questo romanzo/memoir sofisticato e divertente c’è anche la storia della loro rivalità, oltre che della malattia del padre che riunisce le sorelle, ma ci sono le risate e il tocco magico di conversazioni dolorose e brillanti insieme. C’è la capacità di tenere a bada il dolore con l’ironia, e il senso della preziosità della vita quotidiana. E dentro il conflitto e l’esasperazione, c’è molto amore.
AVVISO DI CHIAMATA
Delia Ephron
Fazi editore, 334 pp., 17,50 euro
Le strade, 2019. Traduzione di Enrica Budetta
La ridicola idea di non vederti più. La storia di Marie Curie e la mia
Le prime cose che portarono a Marie Curie, quando suo marito morì investito da un carro trainato da cavalli, furono quelle che il marito aveva nelle tasche: una penna, delle chiavi, un portabiglietti da visita, un portamonete, un orologio con il vetro intatto che, ironicamente, funzionava ancora. E poi i vestiti. “Insieme a mia sorella, abbiamo bruciato i tuoi indumenti del giorno dell’incidente. In un falò enorme lancio i brandelli di stoffa sforbiciati con i grumi di sangue e i resti di cervello. Orrore e disgrazia, bacio ciò che rimane di te, nonostante tutto”. Sono le pagine del diario di lutto di Marie Curie, che in mano a Rosa Montero diventano il mezzo per raccontare anche il proprio dolore, di cui finora non è riuscita a parlare. Attraverso la vita complessa di questa grande scienziata, assoluta pioniera, prima donna ad avere il Nobel e ad averlo due volte, sepolta nel Pantheon degli Uomini illustri di Parigi. Una guerriera, la studiosa che non sorride mai perché è concentrata a scoprire il polonio e il radio, la madre di due figlie, la donna che per il matrimonio ha chiesto un vestito “scuro e pratico per poterlo poi usare in laboratorio”. Ma che grande amore e comunione con Pierre, quanta passione, quanta vicinanza. “Tu eri l’incarnazione del fascino e della nobiltà e dei doni più divini. Prima di conoscerti non avevo mai visto un uomo uguale a te e non ho mai visto dopo una persona così perfetta. Ora sopporto la vita, ma non credo che potrò mai più godermela nel tempo che rimane”.
LA RIDICOLA IDEA DI NON VEDERTI PIÙ. LA STORIA DI MARIE CURIE E LA MIA
Rosa Montero
Ponte alle Grazie, 224 pp., 16 euro
Scrittori, 2019
A sud e a ovest. Pagine da un diario
Joan Didion è andata al Sud, ha detto vent’anni fa in un’intervista alla Paris Review, per capire qualcosa della California, nel suo modo controintuitivo, immacolato ed elegante, ma ha finito per capire l’America. Queste pagine sono state ricavate da un viaggio durato un mese, nel 1970 con il marito John, in automobile da New Orleans: “A New Orleans, in giugno, l’aria è greve di sesso e morte, morte non violenta ma per decadimento, per eccessiva maturazione, per marciume, morte per annegamento, per una febbre dalla causa sconosciuta”. In ogni luogo Joan Didion porta la chiarezza della sua scrittura, gli appunti personali, le note alla fine di un pezzo, il suo metodo di lavoro. Leggere questo libro (come anche “Verso Betlemme”), significa entrare nel laboratorio di uno scrittore, e incontrare la libertà ordinata dalla disciplina, e la capacità di afferrare e restituire l’atmosfera di un mondo, ma anche la temperatura, la sensualità, e la rabbia. “Il caso vuole che a insegnarmi a cucinare sia stato un uomo della Louisiana. Vivemmo insieme per alcuni anni, e credo che il momento in cui tentai di ammazzarlo con un coltello da cucina sia stato anche quello della nostra massima intesa”.
A SUD E A OVEST. PAGINE DA UN DIARIO
Joan Didion
Il Saggiatore, 96 pp., 19 euro 2019
Prefazione di Nathaniel Rich, traduzione di Sara Sullam
Le furie
Janet Hobhouse è morta a quarantadue anni e questo libro è stato pubblicato postumo: è una resa dei conti, un tormento privo di commiserazione per se stessa, una confessione precisa. La confessione di un furore. Il racconto di una famiglia di donne, dolci e ferocissime, aggrappate con ostinazione alla propria esistenza, alla propria interiorità, all’egoismo e allo slancio. Il conflitto con la madre che sente di perdere la propria forza, gli uomini, il dolore di un matrimonio che va a rotoli, la solitudine e la folla, l’arrivo della malattia, il desiderio di essere dove c’erano “tutti gli altri”, dove il gioco continuava. Philip Roth ha scritto che “questo è un libro duro, crudele e bellissimo, il memoriale di un’autentica eroina, la cui lotta contro le calamità che l’assediavano fu sostenuta con enorme intelligenza e forza d’animo, e perfino con grande stile”. Stile letterario e stile morale. “Ero uscita tutte le sere, perché ero di un umore eccitabile e un po’ folle, e quella era la mia ultima baldoria”. Ogni pagina di questo libro dice quello che sta dicendo, ma dice anche, con furia: non adesso, non ancora.
LE FURIE
Janet Hobhouse
Neri Pozza, 399 pp., 18 euro
Collana Bloom, 2019. Traduzione di Ada Arduin
M. Il figlio del secolo
M. è un romanzo in cui non c’è nulla di inventato, appassionante e ampio non soltanto per numero di pagine, ma per l’ampiezza del tema (la nascita del fascismo in Italia), per l’ampiezza delle ambizioni, come sempre dovrebbe averne la letteratura (raccontare una storia che sia una storia universale, valida sempre, perché racconta l’animo dell’uomo, le paure, i sogni, le cattiverie, il cinismo, l’amore), e appassionante perché rompe il conformismo del minimalismo biografico: prende una lunga serie di personaggi storici (non solo Benito Mussolini, anche Giacomo Matteotti, Nicola Bombacci, Giovanni Giolitti, Margherita Sarfatti) e li racconta giorno per giorno: come si incrociano le loro vicende personali e politiche, come si incontrano i loro orizzonti e le prospettive completamente diverse, e mostra con precisione come tutto questo si incroci con la vita quotidiana del paese dopo la Grande Guerra. E poi gli squadristi, gli indifferenti, i pavidi e i cortigiani, l’umiliazione di Rachele, la tragedia e la farsa. “Questa è l’ultima volta che si fanno le elezioni. La prossima volta voterò io per tutti”, dice Mussolini nel 1924, ai funerali di Nicola Bonservizi. “Mio amore, il mio pensiero, il mio cuore ti accompagnano. Ti abbraccio forte, ti bacio con tenerezza violenta”, scrive a Margherita Sarfatti. Questa è soprattutto una storia dell’umanità, dentro il secolo che sempre ci accompagna e di cui dobbiamo conoscere tutto.
M. IL FIGLIO DEL SECOLO
Antonio Scurati
Bompiani, 848 pp., 24 euro
Letteraria italiana, 2018
Sette poemi
Nel 1923 Marina Cvetaeva, cercando di indurre Boris Pasternak a scrivere qualcosa di lungo, costruisce una teoria: “La lirica è una linea tratteggiata, da lontano è intera, nera, ma prova a guardarla da vicino: è tutta interrotta, e tra i punti c’è uno spazio senza aria: la morte. In un libro (in un romanzo, in un poema, perfino in un saggio!) questo non succede”. Marina Cvetaeva elimina la morte dai suoi poemi, elimina le interruzioni, cerca una grandezza eterna che superi le fonti letterarie: lei aspira alla creazione, e spinge anche Pasternak e Rillke a creare. Sono i Poemi degli anni Venti, dell’amore con Pasternak, dell’esilio a Praga dopo la rivoluzione. Anni dolorosissimi ma anche esaltanti, di pienezza artistica e vitale. Marina non è ancora delusa, non è ancora sconfitta.
Pro-fondo è lo iato:
con l’ultimo sangue ti scaldo.
Pro-rompe, il fianco!
Tanto più veritiero dei
versi… Ti ho scaldato?
Domani chi ingaggi per farlo?
Dimmi che sto delirando,
che mai finisce, questo ponte,
né mai finirà…
FINE
SETTE POEMI
Marina Cvetaeva
Einaudi, 304 pp., 16 euro
Collezione di poesia, 2019.
A cura di Paola Ferretti. Traduzione di Paola Ferretti
Racconti italiani
“Una volta, mentre il treno passava vicino ad Aci-Trezza, voi, affacciandovi allo sportello del vagone, esclamaste: ‘Vorrei starci un mese laggiù!’. Noi vi ritornammo e vi passammo non un mese, ma quarantott’ore; i terrazzani che spalancavano gli occhi vedendo i vostri bauli avranno creduto che ci sareste rimasta un par d’anni”. Per quanto è meravigliosa, indimenticabile, questa novella di Verga, “Fantasticheria”, che anticipa “I Malavoglia”, con la ragazza elegante, inebriata di feste e fiori (un vestitino grigio che sembrava fatto apposta per intonare con i colori dell’alba) che trova tutto molto pittoresco e dice: non capisco come si possa viver qui tutta la vita, così tutti i racconti di questa raccolta sono preziosi e importanti, pensati da Jhumpa Lahiri, premio Pulitzer per la Letteratura e studiosa e appassionata di lingua e letteratura italiana, per i lettori americani, e adesso tornati in Italia per farceli ritrovare nella loro bellezza. Anna Maria Ortese, Elsa Morante, Primo Levi, Carlo Emilio Gadda, Goffredo Parise con “Malinconia”. Quaranta scrittori per quaranta racconti. Fortunati i lettori americani, ma più fortunati noi.
RACCONTI ITALIANI
Scelti e introdotti da Jhumpa Lahiri
Guanda, 540 pp., 25 euro
Narratori della Fenice, 2019