Estate con Mariarosa Mancuso

Contro l'odioso pol. corr. applicato alla satira

Mariarosa Mancuso

Meglio tornare alle origini e all’irriverenza furiosa di Jonathan Swift

La satira non si riesce più a fare, è superata dalla realtà. Annuncio mortuario ampiamente condiviso, tra i molti che tocca ascoltare, hanno dato il romanzo per spacciato centinaia di volte, i nemici e gli amici: “Notizia fortemente esagerata”, come disse Mark Twain commentando la notizia della propria dipartita. Vuol dire che siamo personcine attente al ridicolo che succede nel mondo – per esempio, sul New York Times di qualche giorno fa – la notizia che molti vegetariani hanno aperto macellerie. Sperano così di rivoluzionare il sistema degli allevamenti; qualcuno ha anche un ristorante, dove è vietato chiedere cotture al sangue.

 

E vuol dire che abbiamo seguito l’odioso botta e risposta sulla correttezza politica applicata alla comicità: questo non si può dire, quest’altro urta, quest’altro mette fine a una carriera, o magari finisce che mi sparano direttamente sul palco. Insomma, per restare sul pezzo: i vegetariani possono diventare macellai, ma noi non possiamo farci una risata quando lo veniamo a sapere.

 

Una soluzione ci sarebbe: tornare alle origini. Alla satira come la intendeva la buonanima di Jonathan Swift, che così ne stabilisce i contorni: “La Satira è una sorta di Specchio, dove chi guarda in genere vede la faccia di chiunque tranne la propria; donde la benevola accoglienza che di solito essa riceve nel mondo, e il fatto che tanto pochi ne vengano offesi”.

 

Bei tempi, il Settecento dei café e dei libelli. E bravo anche il reverendo, che modestamente suggerì di vendere i bambini poveri irlandesi ai ricchi inglesi, per farne bollito o arrosto. Tenera carne ottima per essere mangiata fredda il giorno dopo (l’insistenza con cui nei romanzi inglesi fanno spuntini di carne fredda deve essere dovuta al fatto che la carne mal conservata, se riscaldata, olezzava più del dovuto anche in una società che in mezzo alle puzze viveva, ditelo ai paladini della decrescita felice).

 

Nel tempo lasciato libero dai “Viaggi di Gulliver” (che satireggia tutto, non è solo una storia di giganti e di nani, siamo noi che quasi mai la leggiamo fino in fondo), Swift fece una visitina nello “Spogliatoio della signora”. Restando orripilato – in rima – per la sporcizia nascosta sotto i vestiti eleganti. Diciamo signora per gentilezza, viene descritta così: “Chiacchierona come una gazza / orgogliosa come una taccola / il diavolo in persona non saprebbe domare il suo carattere / assurdo miscuglio d’invadenza e d’ozio”. E via di stoccata in stoccata: “Una massaia a letto / a tavola una sudiciona”.

 

Donne e bambini, i maschi adulti Jonathan Swift li aveva già fatti a pezzi. Come individui, come regnanti, come funzionari pubblici, come religiosi, come editori, come viaggiatori in terre lontane, come fanatici di qualunque genere (sua è l’astuta constatazione secondo cui chi coltiva una mania facilmente ne coltiva anche un’altra, e i tempi nostri son qui per dargli ragione). E’ feroce con gli scrittori e gli intellettuali, e i critici non si salvano.

 

“La battaglia dei libri” (da lì viene la citazione) immagina una battaglia tra Antichi e Moderni nella biblioteca di St. James, colpa di un bibliotecario distratto che aveva mischiato i volumi e fatto scoppiare la rissa. Il difensore dei Moderni chiede aiuto a una divinità maligna chiamata Critica. La trova “distesa nel suo covo, sulle spoglie di numerosi volumi divorati per metà. Alla sua destra Ignoranza, suo padre e marito. Alla sua sinistra Orgoglio, la madre che con i brandelli di carta appena strappati le fa un vestito”.

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