Alain Finkielkraut in una foto di Renaud Camus (Flickr)

“Siamo impegnati nella decivilizzazione”. Il nuovo libro di Finkielkraut

Giulio Meotti

“À la  première personne” contro le accuse di essere reazionario

Roma. E’ ovunque ti giri, dai giornali alle tv, e ha preso il posto di Bernard-Henri Lévy come philosophe più philosophe di tutti. Era naturale quindi che Alain Finkielkraut volesse rispondere alle accuse di essere un reazionario con un libro che uscirà a settembre per Gallimard, “À la première personne”. “Reazionario, dicono; mi sembrava che fosse giunto il momento, per il mio percorso senza falsa evasione o compiacimento”, scrive l’accademico e polemista francese. L’obiettivo del libro è “misurare i miei debiti con un’eredità senza tempo che svanisce ogni giorno davanti ai nostri occhi”. 

 

La sua “Sconfitta del pensiero”, che nel 1987 segnò la svolta anti-moderna nella cultura francese, conteneva già tutti i temi conduttori di questo libro, dalla barbarie che contamina la cultura all’antirazzismo militante, dall’odio di sé alla critica alla cultura dominante, “prigioniera della dittatura dell’opinione pubblica”. Da allora, Finkielkraut risuona con le ansie dei tempi. L’accusa che gli fa la sinistra è di accarezzare quest’ansia, coltivandola, irrorandola di idee e predilezioni. Così Libération lo chiama “l’imprecatore”, Nouvel Obs gli dà del “moralista”, Marianne del “fustigatore”, Mediapart del “maudit”, maledetto. “E’ come se la nostra società fosse impegnata in un processo di decivilizzazione”, dice Finkielkraut alla Dépêche du Midi, anticipando il libro. “I politici hanno sempre meno potere, questo genera frustrazione, ma ho difficoltà a capire perché questa frustrazione si intensifichi in brutalità. E’ chiaro che oggi le regole minime di civiltà e conversazione civica non sono più rispettate”.

 

Ritorna a quella mattina di febbraio, quando durante una manifestazione di gilet gialli – che Finkielkraut aveva inizialmente difeso o compreso – viene aggredito e apostrofato come “sporco sionista di merda”. “Sono stato consolato dalle testimonianze di simpatia che ho ricevuto da ogni parte. Ho trovato la conferma che la Francia non è un paese antisemita, anche se l’antisemitismo si esprime di nuovo nelle strade”. 

 

Attacca l’antirazzismo, dice che “è il primo principio di tutta la morale. Siamo chiamati razzisti per un sì o un no. E’ razzista o islamofobico rifiutare il burkini, è da razzisti chiedersi quali siano i benefici dell’immigrazione, è da razzisti criticare il patto di Marrakech, è da razzisti difendere il diritto alla continuità storica per la Francia e per l’Europa. Mi vedo esposto a una mostruosa repressione non appena apro bocca”. Se la prende con Mediapart, il mega sito di Edwy Plenel. Il riferimento è all’affaire François de Rugy, l’ex presidente della Camera bassa francese ed ex ministro dell’Ecologia costretto alle dimissioni per gli articoli di Mediapart su accuse poi rivelatesi infondate. “Quando è iniziata la vicenda di Rugy, ho subito pensato alle ‘Vite degli altri’, un film ammirevole che mette il dito sull’orrore totalitario. Oggi in Francia il potere politico è debole, ma un altro lo ha sostituito: il potere dei media. E’ questo che spia, che denuncia e che diffama. E poiché i politici sono le sue prime vittime, alcuni lo accolgono, sostenendo che si tratta di un progresso della democrazia. Hanno torto. Edwy Plenel e Mediapart si ubriacano con il loro potere. Non ci fanno vivere in una società di trasparenza ma in una società di sorveglianza”. Alla domanda, infine, su quale sia la questione essenziale oggi, Finkelkraut risponde: “Per me oggi la cosa principale è la civiltà europea, la componente francese di questa civiltà, la trasmissione della cultura”. Più che un reazionario, è un diffidente di ogni decostruzione che si affligge di pessimismi. Il mese scorso, su Causeur, aveva scritto: “L’inarrestabile progressismo di questo sistema mi fa pensare a un tè a bordo del Titanic”.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.