Basta con i manuali!
I compendi per imparare a scrivere sono diventati la moda del momento. Ma basterebbe leggere più romanzi
Qualche giorno fa, in libreria, mi sono trattenuto nella sezione “critica letteraria”, quel luogo in cui finiscono, a volte, certi sfortunati libri di narrativa ispirati alla vita di questo o quell’autore, e in cui i “veri” libri di critica letteraria, nonostante diverse uscite recenti di grande spessore – “Biologia della letteratura” di Alberto Casadei e “La letteratura circostante” di Gianluigi Simonetti, solo per citarne due –, sono sempre meno. Una parte rilevante di quello scaffale è invece occupata dai manuali di scrittura creativa, che non sembrano patire crisi – e, sì, ammetto che mi ero avvicinato perché io stesso sto scrivendo un pamphlet che afferisce al settore, per quanto sia destinato a intitolarsi “La scrittura non si insegna”.
E’ lì che ho notato, esposta di piatto come accade alle nuove uscite, una copertina di scintillante lucidità – ovvero con sovraccoperta trasparente –, marchio di fabbrica di quella Not, costola teoretica della casa editrice Nero, che negli ultimi anni ha portato in Italia i più moderni testi di filosofia radicale – “Iperoggetti” di Timothy Morton, “Realismo capitalista” di Mark Fisher e “Xenofemminismo” di Helen Hester, per citarne invece tre –, e che certo appare ideologicamente poco affine all’idea stessa di “scrittura creativa”.
Il libro si intitolava “CTRL+C, CTRL+V – Scrittura non-creativa”, il che almeno dimostrava una distanza polemica dagli altri 38 libri (contati) del sotto-scaffale “scrittura creativa”, divisi tra manuali firmati da questo o quello scrittore (più un paio da persone che sono scrittori solo in quanto autori di detti manuali) e raccolte di consigli di questo o quel grandissimo scrittore del tempo che fu, realizzate raccogliendo suoi articoli sul tema, quando non singole frasi pescate in giro. Il nome dell’autore di quel libro di scrittura “non-creativa”, Kenneth Goldsmith, mi diceva qualcosa: a naso lo avrei ricollegato al mondo della poesia. Non mi sbagliavo di troppo: poeta concettuale (oltre che insegnante di scrittura, ancorché poco ortodosso, presso l’Università della Pennsylvania), mi era passato sott’occhio sul sito della Poetry Foundation, e quello stesso libro è costruito attorno a una serie di saggi apparsa proprio lì sopra. In effetti, a prima vista “CTRL+C, CTRL+V – Scrittura non creativa” assomiglia più a un manuale di poesia sperimentale che a un contromanuale di scrittura. Leggendo a fondo, però, si capisce come l’esplorazione effettuata da Goldsmith delle soluzioni testuali più strambe emerse dall’avvento del digitale sveli invece gli effetti che Internet, i word processor e le loro possibilità – su tutte il copia-incolla, quel CTRL+C, CTRL+V da cui viene il sovrattitolo italiano, applicato a una riserva testuale sostanzialmente infinita – possono avere sulla scrittura. Anche quella non sperimentale. Anche quella in prosa.
La questione del confine tra citazione e appropriazione, o anche solo del confine tra autorialità e citazione o appropriazione, è annosa – almeno da quando il Romanticismo si è inventato il concetto di autore come lo intendiamo oggi. E se la poesia non è messa malissimo in questo campo, considerando che Pound e Eliot facevano mash-up ben prima dei pionieri dell’hip-hop e della techno, la prosa, al netto di Burroughs, fa ancora molta fatica ad appropriarsi di quella “cultura del remix” che, con l’egemonia del digitale, è divenuta non solo accessibile a tutti, ma addirittura connaturata al nostro modo di rapportarci a ogni tipo di contenuto.
Un libro, dunque, quello di Goldsmith, che sarà più utile – ma potrebbe esserlo molto – a chi scrittore o scrittrice lo è già, e si chiede in che direzione possa aver senso andare, oggi. E per chi vuole imparare a scrivere? Io consiglio sempre di leggere un romanzo in più e un manuale di scrittura in meno, ma volendo scegliere in quello stesso sotto-scaffale, andrei senz’altro sull’“Oracolo manuale per scrittrici e scrittori” di Giulio Mozzi (Sonzogno). Non tanto perché Mozzi è il miglior insegnante italiano di scrittura, quanto perché, in un’arte in cui l’opera riuscita è quella che trova la propria lingua, la propria forma e la propria struttura (e quella lingua, quella forma e quella struttura sono necessariamente sempre diverse), meglio pescare spunti di saggezza come da un I-Ching (l’Oracolo mozziano funziona proprio così: si deve aprire ogni volta a una pagina a caso) che pensare di apprendere le tecniche da qualche manuale invece che dalla lettura di un mezzo migliaio di romanzi.