Il volgare disprezzo degli intellettuali realisti per il profetico Huizinga
Torna in libreria "Nelle ombre del domani" (Aragno)
E’ un vero peccato che sia così difficile, se non impossibile, trovare in libreria i molti volumi di eccellente saggistica pubblicati dall’editore Nino Aragno. Non sono trascurati gli autori di oggi, ma l’idea centrale che orienta l’attività di questo editore è l’urgenza, la necessità di riproporre al lettore di oggi, così svogliato e frastornato, opere classiche della modernità che si rivelano sorprendentemente attuali. Nessuno può dubitare che la cultura sia fatta di memoria storica e che lo sviluppo delle tecnologie e delle scienze esatte non basta e anzi può risultare accecante senza lo spirito critico, la coscienza storica e le scienze sociali. La politica è l’attività attraverso cui decidiamo che cosa fare di noi stessi. La morale è la bussola che dovrebbe orientare la produzione di ricchezza e l’esercizio del potere. Le arti esplorano le nostre realtà quotidiane e il mondo dei sogni e dei desideri. Insomma (e siamo in quell’ovvio che ovviamente si dimentica): l’incremento dei nostri poteri tecnici e politici di manipolazione e di controllo dell’umano e della natura, diventa “diabolico” senza l’esistenza di una cosa chiamata civiltà.
Questo per dire che ricompare ora da Aragno un breve libro che fu famoso e molto discusso alla fine degli anni Trenta, cioè alle soglie della guerra con cui il Novecento concluse la sua “era delle catastrofi” rivelando un potenziale distruttivo e autodistruttivo su cui continuiamo a riflettere, perché avvenne allora ciò che tuttora più o meno confusamente temiamo. La crisi della civiltà dello storico olandese Johan Huizinga (1872-1945) uscito nel 1937 da Einaudi è ora riproposto con il suo titolo originale: Nelle ombre del domani.
Le parole del titolo italiano ossessionano e caratterizzano la coscienza europea (europea, non americana) almeno da un secolo. Necessità e fragilità della democrazia, politiche autoritarie, conflittualità internazionale, crisi economiche e sociali, strumentalizzazione delle masse, populismi al servizio delle élite, svalutazione della critica culturale, svuotamento dell’idea di progresso: il catalogo degli ingredienti, delle ragioni e dei sintomi di una crisi della civiltà sembrano variare ma anche restare uguali attenuandosi o aggravandosi. Perciò non si sbagliavano gli intellettuali che fondarono e guidarono la casa editrice Einaudi negli anni Trenta del secolo scorso scegliendo quel titolo per il pamphlet di uno storico autorevole come Huizinga: tra loro c’erano Luigi Einaudi, grande economista liberale e padre dell’editore, e l’antifascista Leone Ginzburg, ebreo russo che può essere considerato, con Cesare Pavese, l’anima culturale della nuova casa editrice torinese.
Nel 1937 era molto chiaro che l’Europa stava vivendo una crisi profonda che avrebbe trascinato il continente verso esiti drammatici. Del resto quel decennio è stato il decennio del più inevitabile “impegno degli intellettuali”, che coinvolgeva sia uomini della generazione di Huizinga come Thomas Mann, Karl Kraus, André Gide e Paul Valéry, sia i più giovani e nuovi protagonisti degli anni venti e trenta, come Huxley, Breton, Hemingway, Malraux, Brecht e gli allora poco noti Walter Benjamin, Max Horkheimer, César Vallejo, Orwell, Simone Weil.
Le osservazioni diagnostiche di Huizinga nascevano certo dalla sua esperienza del presente, ma il tono generale non poteva che essere suggerito dall’ottica dello storico della civiltà europea, che non può fare a meno di confrontare la crisi presente con quelle dei secoli passati. Basta elencare i titoli di alcuni capitoli del libro per dare un’idea dell’allarme comunicato da Huizinga: “La percezione della decadenza”, “Progresso-un concetto problematico”, “La scienza ai limiti del pensabile”, “Generale indebolimento della ragione”, “Il tramonto dello spirito critico”, “Vita e lotta”, “Decadenza delle norme morali”, “Puerilismo”, “Il venir meno dello stile e la tendenza all’irrazionalità”… Tutte cose ovvie e tuttora più attuali che mai, che mostrano quanto “problematico” e dubbio sia il progresso da allora in poi realmente compiuto e con quanto ritardo si continui a prendere atto dei rischi per la civiltà e dell’incombente inciviltà. Fini e mezzi era anche il titolo di un libro mai tradotto in Italia che Aldous Huxley pubblicò nel 1938: più i mezzi si moltiplicano e si potenziano e più i fini si fanno confusi e invisibili. O meglio, incrementare la produzione di mezzi sta diventando l’unico fine… Mi fermo qui, che altro potrei fare? Ripetere senza effetti le stesse cose può dare la nausea.
Abbastanza sorprendenti e scandalose furono comunque le reazioni negative che suscitò il libro di Huizinga in un eminente storico come Delio Cantimori e in un fervente antifascista come Vittorio Foa. Ne parlano Michele Bonsarto nella sua introduzione e Luisa Mangoni in un saggio accluso del 2005. Scriveva Cantimori: “Lo Huizinga non prende parte che per se stesso e per una cultura indipendente: critica chi crede nelle trasformazioni sociali in senso comunistico, critica gli avversari di queste (…) Nulla lo soddisfa: è il destino dei letterati che si vogliono occupare di politica senza pensare che questa è una cosa seria, che non ammette i begli spiriti e le anime belle”. E Vittorio Foa in una lettera: “Ho letto un libro di un certo Huizinga intitolato La crisi della civiltà: ciò che è penoso non è che certa roba si scriva e si stampi, ma è pensare che certo avrà avuto un grande successo. E’ in sostanza un pamphlet antinazista, ma è così stupido da suscitare quasi, è tutto dire, la simpatia per i nazisti. Secondo quel mangia-formaggio olandese il mondo va a rotoli perché non si accomoda docilmente ai suoi desideri (…) Non riesco a capire come l’editore italiano si sia lasciato fregare a quel modo. Guardatevi dal leggerlo”.
Cantimori aveva allora trentacinque anni, Foa meno di trenta, ma per quei tempi era un’età matura. Avranno davvero letto il libro? Perché hanno fatto tutto il possibile per non capirlo? E’ soprattutto questa la brutta notizia che volevo dare: due tipici intellettuali imbottiti di realismo e attivismo politico si tappano stizzosamente le orecchie con sovrano e volgare disprezzo davanti a un onesto, preoccupato umanista che segnala fenomeni sociali e culturali che erano sotto gli occhi di tutti e senza i quali non si sarebbe spiegato il totalitarismo politico. Un paio di anni dopo, il 1° settembre 1939, Hitler avrebbe invaso la Polonia dando inizio alla più terrificante delle guerre. Quell’“anima bella” olandese di Huizinga vedeva più chiaro e più lontano di chi voleva richiamarlo alla realtà politica. Ma nessuna politica è “seria” se non sa guardare al di là di se stessa.