La diseducazione sentimentale nella società fatherless
Un libro che inchioda la postmodernità abbracciandone i limiti. Stralci come se fossero aforismi
Michael Brendan Dougherty, giornalista del magazine conservatore National Review, è un millennial atipico: in lui la necessità di distruggere convive stranamente con il desiderio di costruire. Nel suo primo libro, pubblicato di recente in America, intitolato My Father Left Me Ireland: An American Son’s Search For Home, racconta, attraverso la sua vicenda personale, le tragiche contraddizioni di un mondo che ha perseguito con furore l’eliminazione del padre, il tiranno che si oppone a quello che chiama il “mito della liberazione”, una promessa di autenticità che conduce nel vicolo cieco di uno sterile narcisismo. Mentre si dedica allo smantellamento della mitologia della società fatherless tenta di capirne le motivazioni, s’immedesima nelle ragioni delle generazioni che lo hanno preceduto; se fa il conto dei danni umani e culturali che hanno provocato è perché mosso dal desiderio di perdonare, e di essere perdonato. Anche a questo, in fondo, servono i padri. La sua è un’epopea a tinte irlandesi, gravida di bruma e nostalgia, di violini e amori lontani, di sogni di indipendenza e di eroismo. Non gli sarebbe difficile far scivolare tutto in un ricordo registrato su una vhs. Invece Dougherty insiste sull’importanza di coniugare al presente. A cosa serve il padre oggi? A cosa serve una nazione per cui dare la vita nel tempo in cui il nazionalismo è un prodotto tossico? A cosa serve la fede? Dougherty accetta di affrontare queste domande. Non è poco.“Tutta la mia formazione è stata dedicata al mio essere libero e allo scegliere consapevolmente come condurre la mia vita. Ero un bambino senza padre. E nella mia assenza di paternità ho trasformato la mia timidezza in furbizia. Ho imparato a riverire le persone e a ottenere dal mondo ciò che volevo, senza dare nulla in cambio”.
Di seguito alcuni stralci dal libro My Father Left Me Ireland: An American Son’s Search For Home di Michael Brendan Dougherty:
“Mi hanno insegnato a essere veloce, e furbo. Non posato e saggio. Ad essere vendibile, non indigesto. Mi hanno insegnato ad andare d’accordo, non a essere intransigente”.
“I fantasmi di una nazione rimproverano i vivi per conto della posterità. Una nazione o una società non è soltanto un contratto fra i viventi, quelli che non sono ancora nati, e i morti, è una ecologia spirituale che esiste fra loro. Abbiamo, forse in modo fatale, inquinato questa ecologia”.
“Affidiamo i nostri figli a un sistema educativo che eutanasizza la loro immaginazione, che letteralmente li droga per farli obbedire. Un individuo senza posterità potrebbe essere una tragedia, oppure un santo. Ma una nazione che è caratterizzata dall’assenza del padre, che ignora il reale futuro che è incarnato davanti a noi, cambia la società in modi spaventosi”.
“Ho rielaborato la tua paternità come una fra le tante comodità che mi capita di non avere in una vita altrimenti definita dal successo e dalle acquisizioni materiali”.
“Chi affronta la vita con lo spirito del curatore scambierà la propria fede per un mero credere nel credere stesso. Metterà il gusto al posto delle convinzioni”.
“A livello spirituale, questo mito della liberazione – una liberazione già conquistata – ha reso la mia una generazione di narcisisti impotenti. Adoravamo l’autenticità – sii davvero te stesso – anche se la maggior parte di noi accusava se stesso di essere, nel profondo del suo cuore, un falso”.
“Ero allo stesso tempo un figlio unico e l’unico uomo di casa. Ora è un fatto comune. Quel senso di essere tagliati fuori dal passato già in giovanissima età. Questo sta diventando il modo di vivere in America”.