Il ritorno della Polonia nel nostro orizzonte
A ottant’anni dall'inizio della Seconda guerra mondiale, la mostra “Polonia. Lotta e sacrificio” alla Biblioteca della Camera (fino al 28 settembre) fa luce sul prezzo pagato dal paese per la libertà di tutti
Che la storia d’Europa nel Ventesimo secolo, e in particolare della Polonia, sia assente dal nostro orizzonte è un’evidenza. Ma a ottant’anni dalla Seconda guerra mondiale, che iniziò con l’invasione nazista seguita dall’occupazione sovietica, i segni di cambiamento non mancano. La scorsa settimana a inaugurare la mostra “Polonia. Lotta e sacrificio”, aperta alla Biblioteca della Camera fino al 28 settembre, è stata la figlia del generale Wladislaw Anders, il leggendario eroe del Secondo corpo di armata polacca, che sconfisse i tedeschi nella battaglia di Montecassino del 18 maggio 1944 aprendo agli alleati la strada per Roma.
Anna Maria Anders, neoambasciatore della Repubblica di Polonia in Italia, ha voluto ricordare così l’amicizia tra Italia e Polonia. Ma a rievocare luci e ombre di quell’antico legame, sullo sfondo della Guerra fredda, è stato Marco Patricelli, che ha studiato a lungo l’invasione della Polonia, autore di saggi sulla Brigata Maiella, sulla storia dell’Italia occupata, e della biografia del capitano Witold Pilecki, che nel 1940 si fece arrestare dalla Gestapo e fu il primo a denunciare i crimini nazisti compiuti a Auschwitz. “La Polonia ha pagato un prezzo altissimo in termini di vite umane, un abitante ogni sei, compresi gli ebrei polacchi”, ha detto Patricelli. Eppure, finita la guerra, il giorno in cui a Londra si celebrò la vittoria delle nazioni contro il nazifascismo, c’era il Nepal, c’era la Transgiordania, ma non c’era la Polonia, per effetto di una rimozione staliniana proseguita poi per decenni. Lo dimostra la verità sul massacro di Katyn, compiuto dai bolscevichi ma imputato ai nazisti fino all’apertura degli archivi sovietici voluta da Elstin e poi bloccata da Putin. Eppure la Repubblica indipendente di Polonia, tornata sovrana dopo oltre un secolo di smembramento, aveva combattuto il nazismo dal primo all’ultimo giorno, e fu la prima vittima del patto nazi-bolscevico di non aggressione, firmato il 23 agosto 1939 dai ministri degli Esteri Ribbentrop e Molotov, che innescò il conflitto col famoso protocollo segreto in quattro paragrafi, che prevedevano la spartizione del territorio polacco, e la suddivisione dell’intera Europa tra due sfere di influenza. Quel patto spiazzò la diplomazia europea, che fu colta di sorpresa dall’attacco tedesco.
L’inizio dell’attacco, ha ricordato Patricelli, slittò ben tre volte rispetto al piano originario, finché prima di lanciare le prime cannonate su Danzica i nazisti non crearono il casus belli del finto assalto di insorti polacchi contro la stazione radio tedesca di Gleiwitz, con alcuni cadaveri di prigionieri dei campi di concentramento lasciati sul campo come prova. La Polonia si accorse, di colpo, di essere finita nella morsa di due nemici storici, che perseguivano il comune obiettivo di vendicare l’umiliazione di Versailles e del trattato di Riga, dopo la sconfitta dell’Armata rossa nella guerra russo-polacco del 1920-21.
Grazie a questa mostra in via del Seminario, troverete esposti vari documenti, molti oggetti appartenuti ai soldati del Secondo corpo polacco e ritrovati sul campo di battaglia. E soprattutto la riproduzione di una serie di fotografie che testimoniano la distruzione del territorio e il saccheggio del patrimonio da parte dei tedeschi e russi, come quelli provenienti dal Museo della seconda guerra mondiale di Danzica, che illustrano la processione di donne nella foresta di Palmiry, dove i tedeschi uccisero più di 1.700 cittadini polacchi, quella dei corpi delle vittime del massacro di Piaśnica, migliaia di persone trucidate nei boschi della Pomerania e riesumati nel dopoguerra, quelli dei prigionieri polacchi uccisi a Zlocwow dai funzionari del Nkvd nel luglio 1941, quando Hitler aveva mosso guerra a Stalin. Troverete le immagini della persecuzione ebraica, che iniziò con gli eccidi, le deportazioni, e, dopo l’attacco del Reich all’Urss, portò allo sterminio diretto provocando la morte di circa tre milioni di ebrei polacchi. Ma le immagini della mostra romana raccontano anche altro: l’arrivo dei volontari polacchi al campo di Coëtquidan, per proseguire la lotta antinazista in Francia con il governo in esilio presieduto dal generale Sikorski; l’eroismo dei cento piloti polacchi, come quelli dello Squadrone 303 che alla guida di aerei da caccia e bombardieri presero parte con gli inglesi alla battaglia d’Inghilterra, scongiurando lo sbarco tedesco. E offre una testimonianza del sistema di sfruttamento e segregazione razziale sotto l’occupazione, coi reparti del Sonderdienst, la polizia locale istituita da Hans Frank a Cracovia reclutando i locali tedeschi, coi tram di Poznan riservati ai soli civili tedeschi, coi lavoratori polacchi del Baudienst, il servizio per i lavori di pubblica utilità nel Governatorato generale, mentre a Bialystok l’occupazione russa trasformava il teatro cittadino nella sede dell’Assemblea popolare della Bielorussia occidentale, e a Leopoli fomentava con la “milizia rossa” formata da civili armati il rancore del popolo verso le élite.