Il taglio del Vitruviano
Finalmente è chiaro che cosa misura l’Uomo di Leonardo: quanti disastri può fare il Tar
Ci siamo chiesti per secoli che cosa misurasse l’Uomo vitruviano: misurava quanto può rompere i coglioni il Tar. Soprattutto se caricato a molla come un automa meccanico da una associazione passatista tipo Italia nostra che decide di poter decidere sui beni culturali italiani. Ma sarebbero fatti di Italia nostra, una congrega privata, se fossimo in un dalemiano paese normale e non esistesse, appunto, il Tar. O, quantomeno, se non si occupasse di storia dell’arte. Invece nel paese anormale accade che lo stato italiano e quello francese, nelle persone dei ministri della Cultura Dario Franceschini e Franck Riester, hanno firmato un memorandum d’intesa per il reciproco scambio in prestito di prestigiosi manufatti: al Louvre andrà il celeberrimo disegno di Leonardo per la grande mostra del cinquecentenario e da Parigi arriveranno dipinti di Raffaello, che i cinque secoli li festeggia l’anno prossimo. A fermare lo scambio ci aveva già provato l’ex viceministra Lucia Borgonzoni, in un impeto di sovranismo artistico. Grazie a Dio in futuro si occuperà, al massimo, di sovranismo dei tortellini a Bologna. Rientrato al Collegio Romano, una delle prime iniziative di Franceschini è stata riprendere i fili della trattativa con la Francia in cui rientrano ovviamente molte cose, tra cui il prestigio internazionale e i buoni rapporti diplomatici. E, persino, la possibilità di celebrare in grande stile Raffaello a Roma nel 2020.
I trentaquattro centimetri d’altezza per ventiquattro di larghezza del disegno leonardesco sono molto delicati, questo si sa. Secondo gli esperti molto più degli altri numerosi fogli del Genio che a turno vanno avanti e indietro per i musei del mondo. Le opinioni tecniche possono divergere, sono tutte valide, all’Uomo era stato dato il permesso di espatriare. Di poco o punto valore è invece la storiella a cui si sono appesi in tanti, secondo cui, dopo tanto strapazzo, l’Uomo dovrà rimanere chiuso al buio per almeno dieci anni. Diventando dunque invisibile, tutto quel tempo, a noi: gli italiani. Peccato che il foglio di Leonardo giace già regolarmente, al buio e climatizzato, nel Gabinetto dei disegni e stampe delle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Invisibile al pubblico, è uscito per una breve mostra in sede la scorsa primavera, un’altra alcuni anni fa. Per il resto, dorme il sonno del giusto, e se sia stanco per un viaggio a Parigi, non fa differenza. Ma fosse questo, il punto. Il fatto è che il ricorso di Italia nostra riguarda la presunta “violazione dell’art. 66, comma 2, lett. b) del D.Lgs. n. 42/2004 (Codice dei Beni culturali e del paesaggio) che stabilisce che non possano uscire dal territorio della Repubblica i beni che costituiscono il fondo principale di una determinata e organica sezione di un museo, pinacoteca, galleria, archivio o biblioteca o di una collezione artistica o bibliografica”. Tradotto per i non iniziati al linguaggio esoterico: il famigerato Codice (in molti punti, e questo in particolare, disastroso come un codice sovietico) impone che un’opera non possa andare all’estero non per tutela ma per un principio di stato, a prescindere che in Italia sia visibile o no. E la cosa peggiore è che il Tar ha confermato il pregiudizio di chi come Italia Nostra, che è una costola anchilosata ma pur sempre potente del conservatorismo italiano, considera la parola valorizzazione una bestemmia. E siamo giunti, nel giorno del taglio dei parlamentari, a mozzare mani e piedi anche all’Uomo vitruviano. Così non si muoverà mai. Lo screanzato.