I 60 anni di Starship Troopers, che immaginò l'egemonia del politicamente corretto
Il mondo creato da Robert Heinlein per qualcuno è il trionfo di un militarismo velatamente nazi. In realtà è una storia profetica del nostro tempo
Qualcuno lo accusò di sognare un “fascismo amichevole”, strizzando l'occhio a una distopica visione del futuro, totalitarista e militarista; ma al contrario, la società utopica immaginata in Starship Troopers dallo scrittore americano Robert Heinlein sembra molto vicina a quella che in tanti immaginano per il nostro futuro. Un pianeta finalmente pacificato sotto un’unica bandiera, governato da una società meritocratica e paritaria, dove ognuno fa la sua parte senza distinzione di sesso o razza. Aracnidi giganti, meteoriti nucleari e alieni permettendo.
Questo ottobre il romanzo di fantascienza che valse a Heinlein il prestigioso premio Hugo compie sessanta anni. A rileggere il libro, pubblicato per la prima volta nel 1959, e nel soffermarsi su alcuni passaggi del film realizzato da Paul Verhoeven nel 1998, ci si può dedicare a riflessioni interessanti circa il nostro presente ancora pieno di divisioni e profonde fratture sociali. Un presente dove qualcuno ventila l’idea di abbassare l’età per il voto a sedici anni (senza conoscere i sedicenni forse) e dove qualcun altro rimpiange ancora l’abolizione della naja. Dove le lotta per le minoranze di tutti di tipi è diventata una priorità nella metà dei programmi politici planetari, ma dove i nazionalismi autoritari rimangono uno spauracchio largamente diffuso e dove le donne sono ancora discriminate nei diritti e negli stipendi.
Nel libro di Heinlein - una sorta di Hemingway dei circuiti letterari di fantascienza - un futuro non troppo lontano dal nostro vede un mondo finalmente in pace dopo una devastante guerra mondiale che ha visto il collasso di tutti gli stati governati da una classe politica “pseudo professionale e pre-scientifica” (una realtà quasi profetica, verrebbe da dire). Al posto dei vecchi governi nazionali ne è stato instaurato uno solo, aristocratico e multiculturale che controlla quella che viene chiamata “Federazione terrestre”. Gli esponenti di questa aristocrazia politica sono eletti democraticamente dai cittadini di tutto il pianeta: ma solo chi ha prestato il servizio federale - una sorta di servizio di leva - può esercitare il diritto di voto, poiché ha ottenuto lo status di cittadino. Il resto degli abitanti della Terra sono considerati semplicemente dei “civili”. Essi vantano gli stessi privilegi e un’indiscussa libertà individuale, ma non avendo prestato servizio nella Federazione non possono votare, né avere accesso a professioni di grande responsabilità come il poliziotto o il pompiere. E ovviamente non possono avere accesso alla carriera politica dove chi sbaglia rassegna immediatamente le proprie dimissioni. Il servizio federale viene inoltre considerato come un modo per i meno abbienti di ottenere i diversi generi di sussidi offerti dalla Federazione Terrestre.
Questo futuro utopico, raccontato attraverso l’esperienza di vita del giovane Juan Rico — rampollo di una ricca famiglia delle Filippine che si arruola nella fanteria mobile contro il volere di suo padre — passa a tratti in secondo piano nella dettagliata narrazione degli scontri senza tregua che si consumano nei più remoti angoli dell’universo tra aracnidi civiltà aliene e la nostra cara specie umana. Ma la storia offre anche spunti di riflessione circa la nostra epoca di fermento culturale e politico, fatta di lotte per il diritto di cittadinanza, per la meritocrazia, per l’inclusione e la parità di genere ed etnica. Nel romanzo, la “ferma” di due anni prevista dal servizio federale è aperta sia agli uomini sia alle donne e può essere intrapresa dai diciotto anni di età in poi. Il giuramento che decreta l’adesione all’impegno recita: “Giuro di espletare tutti i doveri e gli obblighi, consapevole di godere di tutti i diritti e i privilegi della cittadinanza federale, tra cui il dovere, l'obbligo e il privilegio di esercitare il diritto sovrano di voto per il resto della mia vita, a meno di non venire giudicato indegno dell'onore dal verdetto finale emesso da una corte di miei pari”. Secondo la fantasia dell’autore, il servizio federale contempla anche impegni sociali di pari rilievo ma di tipo non militare: come la ricerca scientifica o il lavoro manuale in opere pubbliche su altri pianeti. Compiti non meno pericolosi o ardui.
La nobilitazione del “diritto di voto” è centrale nel mondo sognato da Heinlein, che nel suo romanzo cerca di articolare un governo altamente rappresentativo a capo di una società regolata da una meritocrazia che annichilisce ogni genere di nepotismo e clientelismo. Una società dove tutti gli individui sin dalla nascita godono indistintamente di eguale libertà economica, sessuale, d’opinione, ma dove per ottenere il diritto di far valere la propria idea politica bisogna necessariamente portare a termine il servizio federale: dimostrando di possedere i requisiti per essere dei veri cittadini disposti a porre i bisogni della comunità prima del proprio benessere individuale.
All’interno del libro la natura di questa società del futuro incontra spesso riflessioni di carattere filosofico e di paragoni con il passato, regolarmente espresse del mentore del protagonista, il professor Dubois. Si tratta di un veterano e mutilato di guerra, che da civile - ma sarebbe meglio dire da “cittadino” - insegna Storia e Filosofia morale. Attraverso questo personaggio, Heinlein criticava esplicitamente le vecchie democrazie del XX secolo, rifacendosi tra gli altri a un celebre discorso di Winston Churchill “La gente è stata illusa di poter semplicemente votare per qualsiasi cosa volesse, e di poterlo ottenere senza fatica, né sudore, né lacrime”.
Nella discussa trasposizione cinematografica di Verhoeven del 1998, si possono notare sequenze significative, e per certi versi antesignane di quella parità sessuale ed etnica oggi reclamata dall’onnipresente scuola politicamente corretta al comando dell’industria holliwoodiana, dove gli esseri umani del futuro discutono i motivi per cui hanno deciso di diventare dei “cittadini”: intraprendere la carriera politica, avere sussidi per avere figli, ripagare la retta universitaria di Harvard e, naturalmente, mettere alla prova loro stessi. In una scena chiave che proietta il pubblico in quel distante futuro, uomini e donne fanno la doccia nello stesso spazio - altro che bagni “gender free” - e sono già presenti personaggi di tutte le etnie con una naturalezza quasi ammaliante. Il film, per certi versi anticipatore delle odierne tendenze, già prevedeva eroiche figure femminili che si riveleranno risolutive nella trama.
In passato qualcuno guardò a Starship Troopers come un maldestro inno al militarismo, anche un pelo nazi. Oggi, al contrario, concentrandosi sulle sfumature più sottili del futuro utopico, potrebbe esserci qualcuno pronto a rivalutarlo in tutto e per tutto. Anche se la società pseudo-ideale profetizzata da Heinlein, pur venata di “politicamente corretto”, con la sua “meritocrazia” e una certa idea di “diritti” e “doveri” forse non piacerà moltissimo ai teorici dell'uno vale uno.