Si fa presto a dire prefazione
Sono un piccolo genere bibliografico. Se fosse economia: valore aggiunto. Se fosse sport: riscaldamento. Se fosse cucina: stuzzichini. Il volo di Paolo Condò tra “Fagianate, scatti e scie”
Sono presentazioni, introduzioni, raccomandazioni. Sono omaggi, omaggi all’autore e omaggi all’editore, anche perché di solo scritte a titolo gratuito. Sono preziosismi e arricchimenti, gemme letterarie e diamanti culturali, piccole isole di piccoli tesori linguistici e giochi verbali. Sono voli pindarici su testi terrestri, scavi fantasiosi su opere aeronautiche, studi reali su storie immaginarie.
Le prefazioni sono un piccolo genere bibliografico. Se fosse economia: valore aggiunto. Se fosse sport: riscaldamento. Se fosse cucina: stuzzichini o antipasto. Se fosse osteria: aperitivo. Se fosse amore: innamoramento. Se fosse sesso: preliminari. Ma è, appunto, letteratura: due-tre cartelle in libertà, fra ricami e sviolinate, fra memorie e narcisismi, fra capriole e carpiati, con slalom e dribbling, in leggerezza o in profondità, dipende.
Paolo Condò ha scritto la prefazione a “Fagianate, scatti e scie” (di Riccardo Magrini e Luca Gregorio, Rizzoli), sedicente dizionario sentimentale del ciclismo. “Una sola tappa al Tour de France bastò per capire che… non avrei mai più potuto fare a meno di Riccardo Magrini: quel giorno la corsa stava filando verso Tolosa, e la regia francese – da sempre attenta a valorizzare le bellezze del proprio Paese – a un certo punto inquadrò una splendida costruzione in pietra che la sovrimpressione segnalava come Chateau de Magrin. ‘E’ il castello della tua famiglia, vero?’ disse il coéquipier del nostro amico, che all’epoca era Andrea Berton. E quell’impunito di Magrini, col tono distaccato di chi contempla una proprietà perduta per un tiro di dadi infelice, rispose qualcosa tipo: ‘Purtroppo non è più nostra’, e giuro che in quel momento sembrò davvero un nobile francese decaduto”.
Condò – non solo calcio, ma anche otto Giri d’Italia a bordo di una macchina definita (ma se a volte non si esagera, che gusto c’è?) dei poeti – da giornalista picaresco (“La Gazzetta dello Sport” prima e Sky adesso, e intanto molto altro) usa fioretto e sciabola, da uomo di mondo (è stato anche a Cuneo senza obbligo di servizio militare e conosce almeno una casalinga di Voghera) è capace di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, da triestino boracifero (nel senso della bora, il vento dei duecento all’ora) sembra saper governare i venti del mare e della vita. E, a dispetto del suo fisico imponente, lo fa sempre con assoluta leggerezza, con insospettabile agilità, con definitiva disinvoltura: ‘Prima di addentrarvi nella foresta di Arenberg di questo allegro glossario, qualche istruzione per l’uso: Magrini scherza su tutto, in special modo su se stesso, al punto da chiamare ‘la presa della pastiglia’ l’orario in cui deve inghiottire uno dei farmaci necessari dopo un recente scherzetto del cuore’.
Le prefazioni – viste dall’autore – sono un modo per poter contare almeno su un lettore (a meno che, ma sarebbe gravissimo, il prefatore scrivesse sulla fiducia, senza neppure avere letto le bozze). Le prefazioni – viste dal prefatore – sono un modo per comparire sulla copertina (non sempre) di un libro senza essersi spremuto dal primo all’ultimo capitolo e senza avere spremuto dal primo correttore all’ultimo stampatore. Le prefazioni – viste dall’autore – sono un modo per qualificarsi, elevarsi, referenziarsi. Le prefazioni – viste dal prefatore – sono un regalo, anche a se stesso, nonché un riconoscimento, un esercizio, un cameo, un po’ “special guest” e un po’ partecipazione straordinaria. Dai prologhi (raccolti in un Adelphi) di Jorge Luis Borges ai pezzi pastamatic (la definizione è sua) di Gianni Mura, fino a questo, come dire, condono (spiego per gli agnostici: Condò + dono = condono). Conoscendolo (su quella macchina esageratamente attribuita ai poeti, non solo officiava Claudio Gregori, ma mi agitavo anch’io), Paolo apprezzerà.