Contro Heidegger
Vi piace la sua scomunica della modernità? Accomodatevi. Ma non dimenticate l’adesione al nazismo
Ho letto con grande interesse l’intervento di Giorgio Tettamanti e Paolo Galli, pubblicato sul Foglio del 24 ottobre col titolo “Heidegger è complicato, ma non per questo il suo pensiero è da buttare”. L’articolo di Tettamanti e Galli è assai significativo, perché mostra una delle ragioni (non certo la sola) del fatto che per lunghi anni (ma, temo, anche oggi) la filosofia heideggeriana ha dilagato nelle nostre università. “Se è un fatto indubitabile – scrivono i nostri due autori – che l’uomo Martin Heidegger il 10 maggio del 1933 abbia richiesto la tessera del Partito nazista, è altrettanto vero come gli assi fondamentali del suo pensiero ci consegnino alcuni strumenti utili alla critica di ogni forma di totalitarismo, soprattutto del totalitarismo tecnologico che si è negli ultimi decenni pienamente dispiegato a livello planetario”.
Ecco, dunque, il grande imputato: il “totalitarismo tecnologico”, cioè poi la scienza e le sue applicazioni all’industria. Tralasciamo il fatto che il “totalitarismo tecnologico” ha permesso a milioni e milioni di persone di vivere una vita più degna rispetto al passato, di nutrirsi meglio, di studiare, di vivere più a lungo ecc. (si pensi al miracolo della Cina dopo Mao), e soffermiamoci sulle motivazioni profonde della critica heideggeriana al “totalitarismo tecnologico”.
Nel 1947, polemizzando con la concezione filosofica di Sartre, Heidegger affermò che l’uomo moderno si trova in una condizione di completa “spaesatezza” (Heimatlosigkeit), nel senso che egli è del tutto privo di dimora spirituale. Questa “spaesatezza” è il segno e la conseguenza dell’oblio dell’Essere, ovvero essa significa che l’uomo moderno si trova ormai completamente immerso in una tenebra metafisica. “E’ metafisica, secondo Heidegger, ogni determinazione dell’essenza dell’uomo che già presuppone, sapendolo o non sapendolo, l’interpretazione dell’ente, senza porre il problema della verità dell’ Essere”. In altre parole, l’uomo metafisico è l’uomo che non pensa più alla verità dell’Essere, che non sente più di appartenere all’Essere, che non è più all’ascolto dell’Essere. Egli si muove in un mondo di enti, vede e considera solo gli enti, mobilita tutte le proprie energie per manipolarli e utilizzarli. Sotto questo profilo metafisica e tecnica sono tutt’uno. Dice infatti Heidegger: “In quanto forma della verità, la tecnica ha il suo fondamento nella storia della metafisica”; ma “la metafisica si chiude di fronte al semplice fatto essenziale che l’uomo si dispiega nella sua essenza solo in quanto è chiamato dall’Essere”. Di qui, anche, il completo materialismo dell’uomo moderno. L’essenza del materialismo, infatti, non sta nell’affermazione che tutto è solo materia, ma piuttosto nell’orizzonte entro il quale tutto l’ente appare come materiale da lavoro. Perciò, aggiunge il filosofo, “l’essenza del materialismo si nasconde nell’essenza della tecnica”. Infatti il pensiero è inteso come una tèchne allorché esso è concepito “come il procedimento del riflettere al servizio del fare e del produrre”.
Ecco, per Heidegger, l’origine di tutti i mali: la scienza-tecnica, la manipolazione degli enti, l’oblio dell’Essere, sicché l’uomo perde la sua dimensione più vera e profonda: quella di essere il “Pastore dell’Essere”.
Chi voglia seguire Heidegger in questa scomunica della modernità, si accomodi pure. Ma si faccia attenzione a un punto: l’adesione al nazismo del filosofo di Messkirch non fu un semplice incidente, come sembrano credere Tettamanti e Galli (i quali parlano di un “legame inessenziale”). Già uno studioso del calibro di Ernst Nolte (che si considerava allievo di Heidegger) ha fornito una documentata e convincente dimostrazione di come tra la filosofia del Maestro e le sue opinioni politiche ci sia stata un’indiscutibile, forte, profonda e radicata connessione. Del resto Karl Löwith (che di Heidegger fu discepolo) commentò così la famosa prolusione del filosofo divenuto rettore (nazista) dell’Università di Freiburg: in essa “il vincolo con il Führer e con il popolo, col suo onore e col suo destino, fa tutt’uno con il servizio del sapere. (…) Secondo Heidegger la comunità dei docenti e degli studenti è una comunità di lotta, e solo nella lotta il sapere si innalza e si conserva”.