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Gorbaciov e noi

Francesco Cundari

L’89, le nuove egemonie e i pericoli di oggi. Il libro di Giuseppe Vacca, quasi una biografia intellettuale

Il mondo potrebbe essere sull’orlo di una guerra nucleare, o perlomeno di una nuova crisi dei missili. Ne è convinto Giuseppe Vacca e lo scrive senza giri di parole nel suo nuovo libro: La sfida di Gorbaciov (Salerno). Un libro pensato originariamente per celebrare il trentesimo anniversario dalla caduta del Muro di Berlino, partendo dall’ascesa di Michail Gorbaciov e dall’affermazione del suo “nuovo modo di pensare”, ma che ha subito allargato l’obiettivo alla più stringente attualità, nella convinzione che la recente ripresa della “corsa agli armamenti” abbia reso “nuovamente attuale e molto più terrificante l’immagine del dottor Stranamore”. E se espressioni come “guerra nucleare” e “corsa agli armamenti” – per non parlare di “Gorbaciov” – suscitano in voi la sensazione di trovarvi di fronte a qualche reperto di un lontano passato, se considerate quei concetti e l’insieme di problemi cui alludono l’equivalente storiografico di un grammofono o di un telefono a gettoni, ebbene, può darsi che abbiate ragione (e io, sinceramente, me lo auguro). Ma può anche darsi che la vostra reazione al titolo e alle primissime righe del libro di Vacca sia l’indizio del fatto che, invece, ha ragione lui: specialmente quando osserva che nel mondo di oggi, anche tra i giovani maggiormente attivi e impegnati, c’è “molta più consapevolezza dei rischi di infarto ecologico che del pericolo di guerra nucleare”. Quanto al nesso tra simili pericoli e “la sfida di Gorbaciov”, vale a dire le vicende che hanno segnato la crisi del comunismo e il crollo dell’Unione sovietica, spesso riassunte nella formula (criticamente dissezionata da Vacca) della “guerra fredda vinta dall’occidente”, sono almeno tre anni che il tema è tornato sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo, direttamente o indirettamente. Come dimostrano tanto le incredibili cronache americane dell’impeachment, con il loro impasto di disinformatija e interferenze in puro stile Kgb, quanto le preoccupanti notizie che vengono dalla Siria e dal medio oriente in generale, con un apparente ritorno alla vecchia politica delle sfere di influenza.

 

Prima di proseguire occorre però qualche precisazione sull’autore. Filosofo della politica, già dirigente del Pci e in diverso modo attivo anche nelle sue successive trasmutazioni (Pds, Ds, Pd), Vacca è anzitutto un infaticabile organizzatore e agitatore politico-culturale, capace di fare della Fondazione Gramsci, da lui a lungo presieduta, un centro studi di livello internazionale, ma anche di buttarsi a capofitto nella sfortunata battaglia per il referendum costituzionale del 2016, nonostante – o forse proprio perché – tanta parte di quell’intelligencija di sinistra in cui qualunque classificazione giornalistica non potrebbe mancare di incasellarlo fosse schierata sul fronte opposto, massicciamente e rumorosamente. Precisazione necessaria perché simili preventivi incasellamenti, come si è appena visto, possono facilmente rivelarsi fuorvianti, e perché, a suo modo, il libro di cui stiamo parlando è anche la ricostruzione di una biografia intellettuale e politica. Un libro, dunque, che non si capirebbe, nel suo mescolare storia, analisi politica e ideologia, senza intendere il peculiare punto di vista dell’autore, che da diversi decenni riflette sul concetto gramsciano di egemonia e in questa chiave interpreta la politica internazionale come sfida, prima di tutto, tra diverse e contrapposte “narrazioni egemoniche”. A cominciare, per l’appunto, dalla “vittoria dell’occidente nella guerra fredda”, che per essere tale avrebbe dovuto portare a un nuovo equilibrio e a un nuovo assetto globale, e dunque, a giudizio di Vacca, mal si concilia con l’altro stereotipo, perfettamente speculare, del “disordine mondiale”.

 

La presunta “fine della storia”

Critiche e ironie sull’ingenuità e la rozzezza della visione unipolare affermatasi in America dopo l’89, e in particolare sulla famosissima formula della “fine della storia”, sono ormai talmente diffuse (e spesso non meno ingenue) da venire a noia al solo citarle. Ma dopo avere convenuto sui molti errori compiuti dagli Stati Uniti e sulla solita sfilza di “occasioni” mancate dall’Europa, più difficile è intravedere alternative realistiche.

 

In proposito, per quanto riguarda il futuro, merita di essere segnalato il contributo di Gianluca Fiocco, cui è affidato, a mo’ di postilla, l’ultimo capitolo del volume, dove si chiude il cerchio tra passato e presente, e in modo niente affatto rassicurante, con il rischio di assistere a un “rovesciamento” della sfida lanciata a suo tempo da Gorbaciov. “Questi – scrive Fiocco – partiva dalla messa al bando della prospettiva di una grande guerra tra potenze per poi mirare alla tendenziale soppressione anche dei tanti conflitti e guerriglie locali (…). Oggi, invece, il rischio è quello di un passaggio inverso, dalla accettazione delle guerre locali e limitate allo sdoganamento concettuale degli scenari da grande guerra…”. Ancora meno rassicurante è sapere che quando queste pagine andavano in stampa l’aggressione turca ai curdi siriani, propiziata dalla ritirata americana, non era nemmeno iniziata.

 

Quanto al passato, le puntuali ricostruzioni delle complesse vicende russe e del loro intreccio con la politica americana, cui Vacca dedica i primi capitoli del libro, offrono senz’altro un terreno di confronto stimolante e a tratti persino inquietante, anche quando non se ne condivida l’interpretazione, proprio per i loro impliciti riflessi sul mondo di oggi. Ma al lettore non specialista, e non particolarmente versato nell’analisi dei rapporti di forza internazionali e delle sfide egemoniche combattute a livello globale, resta pur sempre qualche dubbio in più sulla praticabilità di quell’ambizioso progetto di ricostruzione di un nuovo ordine mondiale post-guerra fredda fondato su interdipendenza e cooperazione, che avrebbe dovuto avere il suo primo artefice in Michail Gorbaciov. Ultimo e sfortunato segretario del Pcus che molti di noi, giovani degli anni Novanta, ricordano soprattutto come sponsor di una catena americana di pizzerie e come impacciata spalla di Fabio Fazio in una lontana edizione di Sanremo.

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