Perché istituire il “reato di Gioconda”? Anche chi compra libri spesso non li legge
Chi ha paura della Madonna Lisa e della sua troppa esposizione? Anche se aveva “il c*** caldo”, vederla ci fa felici e migliori
Nel 1919 Marcel Duchamp, in un impeto di dadaismo iconoclasta, realizza un ready-made rettificando con baffi e pizzetto una cartolina della Monna Lisa. Il titolo, che da Duchamp in poi servirà anche a ultimare l’opera e non più solo a descriverla, è un gioco di parole, L.H.O.O.Q. che pronunciate in francese sostanzialmente ci vuole dire che Monna Lisa è eccitata.
La desacralizzazione di quella che era considerata l’icona indiscussa, l’opera universalmente nota e ammirata da tutti, è un attacco contro il conformismo di chi si allinea al gusto dominante, che dimentica ogni inclinazione personale e ignora le specifiche qualità dell’opera. Nel modo in cui sceglie di dissacrare, Duchamp affronta con ampio anticipo, buona dose di spirito e un certo stile questioni di genere e di identità, giocando sull’ambiguità sessuale e su di un uso delle parole proprio dei dadaisti. Ma i giochi sono spesso più efficaci quando celano un’intenzione di verità. La forma scompone, il loro contenuto allude a una ricomposizione diversa: L.H.O.O.Q. ci porta in modo implicito e malizioso a Freud che studiò, interpretò e si pronunciò su Leonardo, rivelandoci, con un semplice gesto, ciò che il dipinto nasconde. Duchamp scopre un’ambiguità di genere nel cuore dell’estetica di Leonardo, che vede la forma maschile in quella femminile. Questo tipo di autoritratto nascosto è proprio ciò che Duchamp svela nel suo rettificato ready-made. Il suo intervento dadaista riscatta il capolavoro di Leonardo dall’ordinarietà della riproduzione, restituendolo alla sfera della confessione occulta. Esattamente un secolo più tardi, sembra di ritrovarci di fronte alla questione Monna Lisa molto seri, più impauriti, meno alleggeriti come se il peso della storia gravasse su responsabilità ora ritenute insopportabili.
Il critico del New York Times Jason Farago scrive che è giunto il momento che il Louvre si liberi del suo dipinto più famoso. “Il Louvre è tenuto in ostaggio dalla Kim Kardashian della ritrattistica italiana del XVI secolo”, dice Farago. Nel più recente tentativo di gestire una folla sempre più crescente (l’80 per cento dei 10 milioni dei visitatori annuali dichiarano di recarsi al Louvre per vedere la Monna Lisa), il museo francese ha introdotto un sistema a fila indiana limitando i visitatori alla visione del dipinto per un minuto. Farago afferma che questi si rivelano inutili palliativi, paragonando l’esperienza a quella del processo di imbarco di un volo low-cost, “simile in efficienza e in piacere visivo” scrive. L’unica soluzione, secondo Farago, è quella di togliere il dipinto dalla circolazione, costruire fuori sede un padiglione dedicato che sarebbe in grado di accogliere migliori selfie e folle maggiori e consentendo al Louvre di tornare alla sua consueta attività di museo. Che male c’è se ci si vuole ubriacare di bellezza, anche senza per forza doverla capire fino in fondo? Nel desiderio stesso di avvicinarcisi, nell’emulazione di andare in pellegrinaggio verso il simbolo di un canone che è quello di bellezza greca, è qualcosa che educa alla gioia di attingere a una forma terrena di fede. Monna è la forma ridotta di Madonna, chi ha allora paura della Madonna Lisa?
Un’opera che da sempre, ma soprattutto in epoca moderna, è stata soggetto mitico da infrangere. Nel 1883 per l’esposizione delle Arti Incoerenti, l’illustratore, caricaturista Eugène Bataille realizzò La Joconde fumant la pipe (La Gioconda che fuma la pipa). Nel 1911 Vincenzo Perugia, un ex impiegato del museo, convinto che il dipinto appartenesse all’Italia perché riteneva erroneamente che fosse sottratto da Napoleone, in un gesto patriottico rubò la Monna Lisa per cercare di rivenderla a Firenze e vederla esposta agli Uffizi. Del furto, il primo mai avvenuto in un museo come il Louvre, furono anche sospettati Apollinaire e Picasso. Il clamore non fece che accrescere la fama di un’opera già nota, i cui falsi circolavano per tutta Europa. Se Duchamp pone con il suo sbeffeggio una questione artistico-identitaria, la richiesta ora di rimuovere il dipinto dalle gallerie del museo per il troppo clamore, assomiglia più ad una soluzione di ordine architettonico-urbanistica. Già all’inizio degli anni 90, quando gli spazi del Louvre furono riconfigurati e ampliati da Ieoh Ming Pei, si parlò di ricollocazione della Monna Lisa, il cui mito diventa man mano sempre più ingombrante. Ora ci si preoccupa di creare il modo per una somministrazione corretta, togliendola dalla sua sede perché rappresenta un’esperienza di massa negativa. Le masse che presenziano per Madonna o Lady Gaga non vengono biasimate, al netto della loro cultura musicale, nessuno se ne preoccupa o identifica nel successo un problema. Così gli acquirenti di bestseller, milioni di copie vendute per pochissimi che alla fine leggono e leggono male. Quando i libri si dovevano “aprire’’ non tutti lo facevano, ancora si trovano volumi untrimmed (intonsi) o in cui sono tagliate le prime dieci pagine, ma tutti apprezzano e lodano la vendita di copie come un fenomeno culturale. Questo “reato” di ‘troppa esposizione’ è difficilmente comprensibile. Nell’America jeffersoniana c’era il diritto alla felicità, e che cos’è una folla che si alza e si mette in coda per la Gioconda, se non la ricerca di essere più felici scoprendo cos’è e com’è la bellezza? Certamente rischia di essere tutto molto superficiale per emulazione, esserci stati, aver scattato, etc., ma i miti sono prodotti dell’umanità e sono inevitabili, anzi diventano necessari, nutrono l’umanità come i sogni e non devono fare paura.
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