Oscar Wilde

L'affaire Wilde

Edoardo Rialti

“Essere innocenti è sempre un errore”. Come lo scrittore, in carcere perché gay, incrociò il caso Dreyfus

Alla domanda del celebre Questionario Proust su chi avrebbe voluto essere, oltre a Prometeo, Christopher Hitchens citava Wilde e Zola. E soprattutto riguardo a quest’ultimo non era il solo. L’articolo J’accuse dello scrittore francese – pubblicato nel 1898 a difesa del capitano ebreo ingiustamente condannato come spia e sulla cui vicenda proprio in questi giorni possiamo vedere nelle sale cinematografiche il nuovo film di Roman Polanski – costituisce una data spartiacque nella storia dell’attivismo politico-intellettuale a mezzo stampa. La sua novità, eco ed efficacia segnò una differenza, marcò una capacità d’intervento alla quale ci si ispira ancora oggi e riecheggia in qualunque appello, manifesto, raccolta di firme. La forza di quel processo segnò una generazione (basti pensare ai Guermantes) annunciando tanti nodi che il Novecento avrebbe continuato e continua a fronteggiare.

 

Come scrisse Giuliano Ferrara in una prefazione agli scritti di Zola, “il caso Dreyfus fu ben più di un errore giudiziario e anche molto più di un semplice diniego di giustizia in nome della ragion di stato. Fu un paradigma… un canovaccio per una rappresentazione del grottesco statale, disciplinare, gerarchico. Fu un sintomo di spionite e esterofobia a sfondo antisemita”. Tuttavia non tutti sanno che anche il secondo modello invocato da Hitchens, e che proprio in quegli stessi anni era stato protagonista dell’“altro” grande, scandaloso processo, ebbe un ruolo impensabile e importante nella riapertura del caso Dreyfus. L’ufficiale francese fu infatti rinchiuso all’Isola del Diavolo mentre Oscar Wilde veniva imprigionato a Petonville a scontare due anni per omosessualità. Gli eventi che seguirono sono stati accuratamente documentati da studiosi come Richard Ellmann e recentemente raccontati al cinema da Il principe felice di Rupert Everett: furono gli anni miserabili di un re mendicante che incantava gli avventori dei caffè parigini e napoletani in cambio d’un bicchiere d’assenzio. Con l’eccezione di pochi amici fedeli, molti che un tempo avevano corteggiato e idolatrato l’artista irlandese adesso si rifiutavano di riceverlo e riconoscerlo, ed egli stesso pareva compiacersi nello scandalizzare anche i più benintenzionati accompagnandosi a marchettari, soldati, e spie. Fra le sue frequentazioni c’era infatti anche il colonnello Esterhazy che aveva fatto incarcerare Dreyfus, e Wilde sconcertò conoscenze che lottavano per la riapertura del caso, non tanto nel poter passare per anti-dreyfusardo, ma perché sapeva benissimo che l’altro era il vero colpevole. Era stato lo stesso Esterhazy a dirglielo. Secondo un resoconto, i due godevano nel lanciarsi in duetti da cattivi balzacchiani. “Noi siamo i due grandi dell’umanità, ma sono io che ho sofferto di più”, affermò il colonnello, a cui Wilde ribattè “No, io lo sono” per poi commentare “Ezterhazy è considerevolmente più interessante di Dreyfus, che è innocente. Essere innocenti è sempre un errore. Per essere un criminale occorrono immaginazione e coraggio”.

 

Secondo un’altra versione, a una cena Wilde disse a Esterhazy “gli innocenti soffrono sempre, monsieur le commandant. E’ il loro metier. Inoltre, siamo tutti innocenti finché non veniamo scoperti. E’ una parte scarsa e comune da interpretare e alla portata dei più infimi. La cosa davvero interessante è essere colpevoli e portare la seduzione del peccato come un’aureola”. Al che l’altro non resistette e dichiarò “Perché non dovrei confessarvelo? Lo farò. Sono io, Esterhazy, l’unico colpevole. Ho messo Dreyfus in prigione, e l’intera Francia non riesce a tirarlo fuori!”.

 

I commensali scoppiarono a ridere, ma secondo Eddie Naughton il poeta Chris Healy ne informò lo stesso Zola che tentò di mettersi in contatto con Wilde, ma questi si sottrasse. Forse sapeva che mesi prima il difensore dell’innocente non aveva voluto sporcarsi le mani con un acclarato colpevole: Zola infatti aveva negato la sua firma per un petizione a favore dello stesso Wilde. Ribaltando il Salmo, meglio dunque banchettare con gli empi che associarsi alle vie dei giusti.

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