La Francia è passata dal “vietato vietare” del '68 a “vietato parlare”
Gli studenti di estrema sinistra impediscono a Hollande di aprire bocca, prolifera la censura universitaria
Roma. Il Sessantotto del Maggio parigino divenne famoso per lo slogan “vietato vietare” di Jean Yanne. In Francia adesso ne risuona un altro nelle aule universitarie: “Vietato parlare”.
Dopo l’Università di Lille, dove gli studenti di estrema sinistra si sono precipitati nell’anfiteatro in cui François Hollande doveva tenere una conferenza impedendogli di aprire bocca, l’ex presidente francese ha preferito annullare un altro incontro accademico programmato all’Università Sciences Po di Tolosa. La conferenza in programma presso l’Istituto di studi politici è stata cancellata dopo l’annuncio di una violenta manifestazione studentesca, riferisce la Depeche. “Le condizioni per un dialogo sereno non sono soddisfatte”, fanno sapere dall’entourage di Hollande. “Il presidente ha preferito non parlare”.
Spiega sul Monde la scrittrice Belinda Cannone che “buona parte delle richieste di censura non provengono più dai reazionari tradizionali, ma da attiviste femministe e antirazziste. Gli eredi dei cantori della libertà stanno diventando i peggiori nemici del la libertà”. Ci sono le Suppliantes di Eschilo censurate alla Sorbona; ci sono le tante proiezioni di “J’accuse”, il film di Roman Polanski, deprogrammate in molti cinema (ieri un happening femminista ha impedito la proiezione in una sala di Poitiers); c’è la conferenza della filosofa Sylviane Agacinski all’Università di Bordeaux, cancellata in quanto la femminista è contraria all’utero in affitto. E questo soltanto per restare all’ultimo mese di cronaca. “Le vociferazioni del procuratore Pinard contro le opere di Baudelaire e Flaubert hanno lasciato il posto a quelle dei neoantirazzisti, neofemministe e difensori dell’Lgbt”, scrive Cannone. “Si tratta ancora di impedire con la forza l’esistenza di opere o riflessioni che non rispondono a una certa idea di moralità e di bene”.
È l’americanizzazione dei campus francesi sotto la campana del “politicamente corretto”, spiega il filosofo e professore della Cornell University Laurent Dubreuil in un libro appena pubblicato, “Dictature des identités” (Gallimard), la dittatura delle identità. Nel Regno Unito è nata persino un’espressione, il “no-platforming”, una pratica di boicottaggio molto attiva, a volte radicale, organizzata dagli studenti allo scopo di proibire un corso o una conferenza che potrebbero esporre idee in totale contraddizione con il mainstream.
Alla Sorbona, uno degli epicentri delle contestazioni studentesche del Sessantotto parigino, sono stati annullati nell’ultimo mese due eventi accademici sul radicalismo islamico. Prima il ciclo di incontri del giornalista franco-algerino Mohamed Sifaoui. Poi un convegno internazionale organizzato dal Centro di analisi del terrorismo. Sotto la pressione dei sindacati, la presidenza dell’università ha deciso di non ospitare l’incontro, che alla fine ha avuto luogo presso la scuola militare. Il senatore dei Repubblicani, Bruno Retailleau, coinvolto nel convegno, si domanda: “I governi continuano a ripetere che stiamo combattendo una guerra contro l’‘idra islamista’. Ma quale guerra possiamo condurre se non siamo in grado di imporre una simile conferenza e garantirne la sicurezza?”.
Esattamente come il 1789, fondato sull’ideale emancipatore dell’uguaglianza, aveva visto i propri princìpi fagocitati nel terrore giacobino del 1793, così il Maggio ’68 che esaltava l’ideale altrettanto emancipatore della libertà ha finito per sprofondare in un nuovo terrore intellettuale.