Checkpoint Charlie, popolare luogo turistico di Berlino, nell’anno del trentesimo anniversario dalla caduta del Muro (foto Il Foglio)

La nuova Rosa bianca

Giulio Meotti

Ispirato dai fratelli Scholl, il “gruppo Belter” si schierò contro la Ddr. Tutti gli studenti pagarono un prezzo altissimo. Una storia sconosciuta

Scuole e strade di tutta la Germania portano oggi i nomi dei fratelli Scholl, che il 22 febbraio 1943 furono giustiziati e il loro movimento, la “Rosa bianca”, annientato. Nel carcere di Stadelheim a Monaco, Hans School, sua sorella Sophie e Christoph Probst furono condannati a morte e decapitati per “alto tradimento”. Gli altri tre responsabili del gruppo, Willl Oraf, Alexander Schmorell e Kurt Huber, professore di Filosofia, vennero arrestati qualche mese dopo e giustiziati. Avevano distribuito volantini che incitavano alla resistenza contro il nazismo. Finita la guerra, in metà della Germania sorse un’altra dittatura e un’altra Rosa bianca si formò per protestare e pagò un prezzo altrettanto alto. Ma questa azione nella Ddr è pressoché sconosciuta.

  

“E’ stata la schiavitù intellettuale dei due regimi totalitari a motivare la resistenza politica”, ha scritto il rettore dell’Università di Lipsia, Franz Häuser. “Durante l’èra nazionalsocialista, fu il gruppo Scholl a opporsi al sistema. I loro membri avrebbero pagato con la vita. Nella zona di occupazione sovietica e nella Ddr, molti studenti videro i fratelli Scholl come un modello di riferimento e si opposero attivamente al totalitarismo del Partito di Unità Socialista di Germania”. Il terrore stalinista e l’influenza delle associazioni politiche marxiste nelle università aumentò sistematicamente a partire dal 1948 per distruggere il “privilegio educativo borghese sulla classe sfruttatrice”. Tra il 1945 e il 1955, 377 studenti verranno arrestati. La pressione ideologica crebbe mano a mano che i migliori docenti lasciavano lo “stato dei lavoratori e dei contadini”. Come i filosofi Hans-Georg Gadamer, Theodor Litt o gli storici Johannes Kühn e Otto Vossler.

 


Il leader del gruppo studentesco fu giustiziato e gettato in una fossa comune. Gli altri condannati al Gulag della Vorkuta. A ispirare la rivolta intellettuale nella Ddr fu un comunista, il professor Havemann, eroe della resistenza antinazi


 

A uno studente, Herbert Belter, venne l’idea di distribuire volantini anticomunisti all’Università di Lipsia nell’autunno del 1950 assieme a Siegfried Jenkner. Si incontrarono nella caffetteria, dopo che la Rias, la radio americana di Berlino ovest, aveva dato loro libri e riviste contrarie al marxismo. Belter iniziò a distribuirle ad altri studenti. Si formò una piccola rete di undici studenti. Nella notte tra il 4 e il 5 ottobre, Belter e gli altri erano per le strade di Lipsia ad affiggere volantini e a gettarne nelle cassette delle lettere. Gli studenti furono fermati dalla polizia per un controllo di routine. Dovevano solo mostrare la carta d’identità. Ma se l’erano dimenticata. Così furono portati alla stazione di polizia, dove vennero anche perquisiti. La brutalità con cui fu stroncata quella piccola resistenza intellettuale avrebbe avuto un effetto immediato. Nelle università della Ddr ogni dissenso venne distrutto.

 

Il “Gruppo Belter” fu trascinato di fronte al tribunale militare di Dresda e accusato di essere “controrivoluzionario”. Sul confine polacco-russo, Herbert Belter vide i compagni per l’ultima volta quando fu condotto su un altro treno e bendato. Il suo viaggio si concluse alla Lubyanka di Mosca, dove fu ucciso con un colpo di pistola il 28 aprile 1951. Per aver distribuito volantini contro la dittatura socialista e a favore della democrazia. Le sue ceneri furono disperse in una fossa comune nel cimitero moscovita di Donskoi, assieme a quelle dello scrittore Isaak Babel.

 

Gli altri studenti furono condannati a pene dai dieci ai 25 anni e portati in Unione Sovietica senza che i loro genitori ne fossero informati. Finirono nella Vorkuta, il famigerato Gulag sull’Oceano artico. Due volte al giorno, zuppa di cavolo e ciotola di porridge. Due anni dopo Stalin muore e Kruscev vuole riallacciare i rapporti con l’occidente. Metà del gruppo Belter viene rilasciata durante una prima amnistia. E i genitori scoprono cosa era successo ai figli. Poi una seconda amnistia.

 

Sorte simile, anche se meno cruenta, fu riservata a un comunista, Robert Havemann. Sotto il nazismo, come gli Scholl, Havemann fu detenuto nel carcere di Brandeburgo assieme a Erich Honecker, futuro plenipotenziario della Ddr. La Gestapo giustiziò due suoi compagni di cella, ma i nazisti lo risparmiarono sperando di poter sfruttare le importanti ricerche scientifiche in cui Havemann era impegnato. Per questo la Ddr non potrà giustiziarlo come aveva fatto con quegli studenti e come il nazismo aveva fatto con il professor Haber della Rosa bianca. Non si uccide un “eroe dell’antifascismo”.

 

Più di duecento spie della Stasi saranno usate ogni giorno per controllare lo scienziato e attivista per i diritti civili. Havemann aveva sempre visto nella Ddr lo stato tedesco “storicamente migliore e più promettente”, la cui esistenza era da lui considerata come un grande passo avanti e che aveva servito come membro del partito e del “parlamento” della Ddr, la Volkskammer. Passerà alla storia come il marxista che contribuì a demolire la Germania dell’Est. Non è stato il chierico che ha tradito, ma il devoto che voleva una fede più intensa, più sincera e più aperta alle esigenze dell’uomo. Lottò per la libertà di parola e l’abolizione della censura. Citava Bertolt Brecht: “Si possono comandare agli uomini molte cose, ma non gli si può prescrivere quello che debbono pensare”.

 

Reagì così agli arresti domiciliari: “Non sto nemmeno pensando di lasciare la Ddr, dove si può osservare come il regime perda tutto il suo credito”. Nei primi anni del regime socialista, Havemann era stato uno dei principali scienziati e il direttore dell’Istituto di Chimica e fisica della Humboldt. Quando il “Gruppo Belter” volantinava, Havemann iniziava a criticare il regime. Godeva tra gli studenti di un grande prestigio. Le sue lezioni erano sempre affollate, arrivava gente per ascoltarlo da Lipsia e da Jena e i suoi discorsi venivano distribuiti sottobanco in altre università. Diceva che lo stalinismo e il dogmatismo “hanno costretto le persone a diventare bugiardi e ipocriti”, che “ogni restrizione nello scambio di informazioni scientifiche serve solo ad ostacolare il progresso sociale” e che i capi della Ddr “stanno creando le condizioni stesse per uno sviluppo disastroso”.

 

Fu bandito dall’insegnamento e si ritirò nella dacia a Grünheide, un centro di attrazione per intellettuali e artisti anti-regime. “La residenza del cittadino Robert Havemann è limitata alla proprietà di Grünheide, Burgwallstraße 4, secondo il regolamento sulle restrizioni del 24 agosto 1961”, recitava la direttiva del regime. Havemann protestò in una lettera aperta all’ex amico Honecker, pubblicata sullo Spiegel, stampato nella parte occidentale. Un affronto imperdonabile. Fu posto agli arresti domiciliari e gli fu proibito di contattare i giornalisti stranieri. I camion della Stasi bloccarono il suo vialetto di casa e anche i vicini venivano rigorosamente controllati. Numerosi ufficiali della Stasi si trasferirono nelle vicinanze con le loro famiglie. Dopo la pubblicazione dei suoi scritti in occidente, Havemann subì altre angherie, tra cui le condanne per “traffico di valuta”. Sopravvisse grazie alla carità degli amici e alla pensione di “combattente antifascista”.

 

Era diventato un ospite molto scomodo, tanto che la Ddr gli propose di fare come il filosofo Ernst Bloch e di andarsene in occidente. Lui rifiutò, dicendo di essere un “avversario accanito del regime capitalista di Bonn” e di sentirsi profondamente “cittadino della Ddr, della quale approvo i principi, ma della quale combatto le deformazioni dispotiche”. Rimase e scrisse, per anni. Questa, bene o male, era “la mia parte”. Ma restando contribuì a buttarla giù.

 

La sua automobile veniva seguita da otto vetture della Stasi, gli furono tagliati i fili del telefono di casa, che fu circondata da nugoli di agenti. La sicurezza dello stato aveva anche creato un elenco di oltre settanta cittadini della Ddr a cui era negato l’accesso a casa Havemann. Katja Havemann, la vedova dello scienziato ancora in vita, spiegherà di essere rimasta terrorizzata nello scoprire che persino il loro medico di famiglia e il direttore della scuola della figlia erano informatori della Stasi.

  


Il pastore protestante Brüsewitz si diede fuoco dopo aver appeso uno striscione: “Le chiese denunciano il comunismo”. A Havemann tagliarono i fili del telefono, lo costrinsero a vivere della carità degli amici. Anche il suo medico lavorava per la Stasi


 

Havemann morirà, segregato, l’anno in cui l’ufficiale della Stasi Werner Teske veniva giustiziato in gran segreto per aver cercato di fuggire a Ovest. L’archivio Havemann oggi è ospitato, ironia della storia, nell’ex quartier generale della Stasi a Lichtenberg.

 

Mentre Havemann finiva murato vivo dal socialismo reale, nel 1976 il pastore protestante Oskar Brüsewitz parcheggiava la sua auto di fronte alla Michaeliskirche nella città sassone di Zeitz. E’ il 18 agosto, le facciate delle case di Zeitz sono grigie come tutte nella Ddr. La città è tranquilla, i bambini sono in vacanza. Sulla piccola piazza di fronte alla chiesa, Brüsewitz tirò fuori due striscioni: “Le chiese denunciano il comunismo” e “Non guastate questa gioventù”. Quindi prese una tanica di benzina e si diede fuoco. Morirà quattro giorni dopo in ospedale. Lo storico Karsten Krampitz ha raccontato la morte del pastore in un libro, “1976. La Ddr in crisi”. “Non era solo un atto politico dimostrativo”, ha spiegato Krampitz, “per la prima volta una persona si era suicidata pubblicamente a causa della politica. E questo li ha colpiti”.

 

Erich Honecker parlò di “uno dei più grandi atti controrivoluzionari contro la Ddr”. Il regime lo denigra come “psicopatico”. Nella lettera d’addio alla famiglia, Brüsewitz scrisse che sarebbe morto come combattente per il suo “re e feldmaresciallo”, Gesù Cristo. A quel tempo si parlava della “Chiesa nel socialismo” e Brüsewitz voleva protestare contro l’accondiscendenza ecclesiale verso una dittatura. Lo storico Harald Schultze scrive che “poiché Brüsewitz sentiva che la politica della chiesa non portava ad alcun cambiamento nel sistema educativo marxista, si sacrificò per dare un segnale”. Brüsewitz aveva lasciato una lettera d’addio anche alla sua parrocchia, in cui parla di una “potente guerra” tra luce e tenebre: “Verità e buio stanno fianco a fianco”.

 

Come il pastore protestante Dietrich Bonhoeffer, che fu impiccato per la sua opposizione a Hitler nel lager di Flossenburg, in Baviera, il 9 aprile 1945, pochi giorni prima che gli americani liberassero il campo, così Brüsewitz si immolò contro un altro regime diversamente nazionalsocialista. E mentre Brüsewitz si dava fuoco e Havemann veniva rinchiuso in casa, un ragazzo italiano di nome Benito Corghi caricava i suoi quintali di carne nel macello di Cottbus, a Berlino Est, per portarli in Italia. Comunista figlio di partigiani, dipendente di una coop nell’Emilia Rossa, Corghi quel giorno aveva dimenticato un documento di carico nella parte orientale. Scese dal camion per tornare indietro a piedi verso la Ddr al valico di Hirshberg. Incrociò una pattuglia, che gli intimò di alzare le mani. Corghi non capì e decise di tornare verso la parte occidentale. Vene ucciso da una raffica di mitra sparato dalla Volkspolizei, la Polizia popolare della Ddr.

 

Per scusarsi con la famiglia e con l’Italia, Eric Honecker invierà un suo ufficiale a porgere le condoglianze alla moglie di Corghi, Silvana, che rispose: “Non si difende il socialismo ammazzando la gente”. E’ quello che avevano fatto fin dall’inizio. E avevano iniziato con quegli eroici studenti dimenticati.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.