Lo scorso agosto il New York Times ha lanciato il 1619 Project, un articolato progetto giornalistico che aveva come scopo dichiarato quello di “ripensare la storia del paese mettendo le conseguenze della schiavitù e il contributo dei neri americani al centro della nostra narrazione nazionale”. Non si trattava soltanto di ripercorrere e documentare la storia della schiavitù in America, iniziata nell’agosto del 1619 con lo sbarco in Virginia di una nave carica di schiavi africani, ma di smantellare e rifondare i presupposti su cui si basa il racconto tradizionale dell’esperimento americano. Un racconto scritto dai bianchi, che lo hanno modellato omettendo o edulcorandone l’origine peccaminosa, promuovendo pregiudizi e storture che si sono cristallizzati nell’immaginario collettivo, fino a creare un impianto narrativo fondamentalmente falso. Nella versione falsificata, la dichiarazione d’indipendenza, che proclama la verità “autoevidente” secondo cui tutti gli uomini sono stati creati uguali, e gli altri documenti che presentano gli ideali fondativi dell’America, sono le foglie di fico che hanno malamente coperto e giustificato l’oppressione razziale e la supremazia bianca, i veri pilastri su cui è nato il paese.
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