Di quale anniversario moriremo oggi? Chi, proprio oggi, compirebbe anni che non compirà? Chi, in data odierna, se n’è andato per sempre e va importunato con la nostra sensibilità e un bel ricordo calendarizzato collettivo? La domanda sorge spontanea: gli anniversari aiutano a vivere o a morire meglio? Sfogliando i social e cliccando sui giornali, si direbbero entrambe le cose. Aiutano noi che viviamo a vivere nell’illusione che non si muoia mai per davvero, gratificando la nostra magnanimità di celebranti perpetui. E aiutano loro che muoiono (ovviamente muoiono sempre gli altri, perché noi siamo e saremo sempre lì, ritti sul bordo della fossa altrui a commemorare e a far contegnosamente di conto), aiutano loro che muoiono, si diceva, a morire in maniera squisita, in un modo sempre migliore e perfetto, anzi, perfezionato, cioè più allusivo, più struggente e travalicante, carico di significati metaforici che sta a noi svelare. Che bellezza gli anniversari costruiti ad arte, quelli singhiozzati con specchio e calcolatrice in mano e Wikiquotes in tasca… Ah, la metafora e la morte! Ah, la morte e la numerologia! Ah, la numerologia e il paragrafetto da far colare per rendere doppio servizio ai vivi e ai morti, come in cielo e così in terra – dacci oggi, oh arringatore di folle digitali con la lacrima in tasca, un’abile acrobazia ucronica, una storiella fatta con i se, un funerale rifatto con i ma, un anniversario che ci inventiamo, questa tenera follia, questa goccia di rugiada sulla cara salma, dopotutto è solo un peccato veniale, un castello in aria fritta.
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