La Bestia di Salvini dilaga e arriva dritta al cuore, come un cioccolatino. E’ un contagio, un’epidemia, e allora ospedalizziamola, come orrendamente usa dire, e chiamiamola BdS. La BdS ammala ma non uccide, colonizza ma non abbatte, trasmette ma non trasforma. E’ un proselitismo che non bussa ed entra sicuro, anche dove le porte sono chiuse, sbarrate. Perché vale per Salvini e la sua bestia ciò che valeva per Berlusconi, e cioè quel paradosso, quella spaccatura che Giorgio Gaber espresse così bene dicendo che non temeva Berlusconi in sé, ma “il Berlusconi in me”. La BdS è in noi? Lo è, e se siamo nati prima noi o prima lei è facile da dire: prima noi, perché è osservando noi, e poi massimizzando e deformando quello che siamo, che è stata messa a punto. La BdS non è un punto di non ritorno, ma un punto di non creazione, cioè di generazione. Questo conta nella misura in cui ci permette di vedere e poi ammettere che i movimenti tra la Bestia e noi sono la continuità, la contiguità, la sconfitta, l’assorbimento. Conta per capire per l’ennesima volta, quindi confermare, che le origini del male sono sempre molto, molto plurali e molto, molto condivise. Conta perché dimostra che, in definitiva, l’allarme mostro non funziona che in un senso: rende il cacciatore identico alla cacciagione, e se non identico, senz’altro speculare, che è anche peggio.
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