Canova e Thorvaldsen, due superstar arcirivali del Neoclassicismo (e del mercato) nella Roma tornata capitale dell’arte e del gusto europei. A confronto, per la prima volta, in una mostra a Milano
Fossero esistiti a quel tempo i selfie e le condivisioni su Instagram – così importanti, oggi, nel sistema delle arti – avrebbero saputo farne buonissimo uso. Perché già allora la usavano, non la tecnologia digitale ma la condivisione sociale. Pensiamo al neoclassicismo e pensiamo alla bellezza in chiave sublime, immaginiamo visi austeri e contemplazioni solitarie. Perfezioni antiche. La prima scoperta invece è che le star del neoclassico vivevano in un mondo intenso e contemporaneo, fatto di rapporti personali, omaggi, ritratti incrociati e molti autoritratti: di amici, di committenti, di poeti, di altri artisti. Una comunità vivace, che si conosceva si ammirava o rivaleggiava. I ritratti celebri di Foscolo e di Alfieri di François-Xavier Fabre, o di Giovanni Battista Sommariva, straordinario politico venuto dal volgo che fece fortuna con la Repubblica cisalpina, per poi divenire intelligente mecenate. E gli “scatti” in posa o al lavoro di loro due, protagonisti assoluti dell’epoca e della mostra: Antonio Canova e Bertel Thorvaldsen. Due stelle diverse di prima grandezza che lavorarono, per molto tempo, nella stessa città misurando da vicino le rispettive maestrie. In un momento dell’arte italiana e europea che ha segnato il suo tempo, indicato una strada. Poi certo, appena entrati si scorgono le due vere star (anzi sei) nel magnifico salone centrale che fu di una banca e oggi è delle Gallerie d’Italia: “Le tre grazie di Canova” e accanto la tre di Thorvaldsen, con aggiunto Cupido.
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