Il dolore troppo umano di Beckett che faceva paura all'Accademia svedese
Il nichilismo dello scrittore irlandese, nobel nel 1969
Prima di morire Samuel Beckett chiese due cose. Di essere sepolto assieme a Suzanne, sua moglie, e che la lapide fosse senza colori, lunga e grigia. E nel cimitero parigino di Montparnasse, la sua tomba è così, essenziale e fredda, grigia e lunga. L’Accademia di Svezia non sapeva ancora quali fossero le ultime volontà dello scrittore, ma prima di assegnargli il Nobel per la Letteratura nel 1969, guardava con un po' di terrore a quel drammaturgo dallo sguardo lontano, i lineamenti duri e quel ciuffo di capelli grigi dritti verso l’alto. Beckett era conosciuto e apprezzato, ma quando il suo nome iniziò a circolare a Stoccolma provocò molte divisioni tra i membri del comitato.
A raccontarlo sono gli archivi del Nobel, resi pubblici da poco, che concedono di lanciare uno sguardo dentro alle faide che non hanno mai abbandonato il comitato. Con Beckett non si trattava di motivi politici, era il suo nichilismo a far paura, era il suo sguardo insistente sempre pronto a descrivere quanto l’umanità fosse sola, ferita, distratta, straziata, a far paura. I suoi uomini senza gambe (Finale di partita), condannati ad attendere (Aspettando Godot), immobili e interrati per metà (Giorni felici) erano sicuramente opere letterarie di grande talento, ma dietro sembrava quasi esserci “del disprezzo nei confronti della condizione umana”. Il Guardian racconta che l’assegnazione del premio a Beckett fu una vera lotta. Altri giurati avrebbero preferito il francese André Malraux, o Simone de Beauvoir (che con Beckett condivide anche l’illustre biografa, Deirdre Bair), o Jorge Luis Borges, o Pablo Neruda (che poi il Nobel lo vinse ma nel 1971), o Graham Greene. Ma quattro membri si intestardirono: Beckett a ogni costo, nonostante l’obiezione del presidente del comitato, Andres Österling. Il principale sostenitore dello scrittore irlandese era Karl Ragnar Gierow che per assegnare il premio a Beckett cercò di prendere tutto il racconto di esistenze sofferenti e di mostrarle al resto dei giurati come una strada verso la luce. La visione nera del drammaturgo non era “espressione di animosità e nichilismo”, ma era il tentativo riuscito di ritrarre l’umanità “come l’abbiamo vista tutti, nel momento della più grave violazione”. Lo sguardo di Beckett non sarebbe stato così senza le due guerre, senza la violenza di quel mondo che gli si puntò nell’anima e non lo lasciò più in pace. Troppa violenza per trovare un senso e la mancanza di senso era il modo di descrivere quell’umanità. I personaggi di Beckett soffrono, ridono per il dolore, e piangono per la gioia che non arriva, guardano il mondo, troppo vuoto e troppo pieno, con le palpebre spalancate, come avessero spine puntate negli occhi. Quelle stesse spine le aveva anche Beckett, erano sue e quegli uomini a metà che si trascinano per vivere, a volte vecchi come Hamm, a volte vecchissimi come i genitori di Hamm, erano l’umanità che aveva visto vivere.
Gierow, pronto a tutto pur di vedere il Nobel assegnato a Beckett, lo fa presente e dice che in quel degrado profondo che tanto spaventava i giurati esisteva la possibilità di riabilitazione. L’obiezione principale di Österling era che “la natura manifestamente nichilista e negativa” del drammaturgo non rispondesse alle volontà di Alfred Nobel, secondo il quale il premio doveva essere assegnato alla “persona che, nel campo della letteratura, ha prodotto un lavoro eccezionale verso una direzione idealistica”. Österling si convinse che dietro ai “motivi deprimenti” di Beckett potesse esserci una “difesa segreta dell’umanità”. Il pessimismo, l’orrore che il mondo aveva vissuto pochi anni prima, facevano paura all’Accademia svedese.
Gierow riuscì ad averla vinta, tra le sue argomentazioni disse che il lavoro di Beckett “va in profondità perché è soltanto lì che il pensiero pessimista e la poesia possono fare miracoli. Cosa si ottiene quando viene stampato un negativo? Un positivo”. Nelle motivazioni del premio, l’Accademia scrisse per “la sua scrittura che, nelle nuove forme del romanzo del dramma, nell’abbandono dell’uomo acquista la sua altezza”. Beckett accettò il premio, ma non andò a ritirarlo. Al posto del presidente Österling, a consegnarglielo avrebbe trovato Gierow.