L'aiuto di un paradosso di Nietzsche per i nostri tempi tragici ed estremi
Torna in libreria “Lo scriba del caos” di Ferruccio Masini
Viviamo in tempi estremi? Indubbiamente, nel senso che dava al termine Nietzsche quando scriveva profeticamente che “posizioni estreme vengono risolte non da posizioni moderate ma da posizioni di nuovo estreme, però rovesciate”. E’ un brano di frammenti sparsi, risalenti grossomodo a centotrent’anni fa, da cui aveva attinto a piene mani Ferruccio Masini per produrre un classico dell’esegesi nietzschiana, “Lo scriba del caos” (1978): saggio che oggi l’editore Nino Aragno rimanda in libreria in edizione gran lusso, forse per il sentore di disordine incomprensibile che ci circonda. Dalle tribune politiche che contrappongono esponenti speculari e inconciliabili ai tweet autofagici di Trump, che dicono e negano al contempo, giù fino agli aspetti più terragni della contemporaneità – in cui ogni asserzione sensazionale è contradetta dalla sensazionalità dell’asserzione contraria – viviamo in tempi di posizioni estreme rovesciate, che si avvicendano all’infinito.
Viviamo in tempi tragici? Certo che sì, nel senso in cui Nietzsche individuava nella tragedia la radice rinnegata del pensiero occidentale. Aveva anche tentato un saggio apposito rimasto incompiuto, “La filosofia nell’epoca tragica dei greci”, in cui individuava nello spirito ellenico un pessimismo radicale contrapposto alla serena grazia su cui un secolo prima insisteva l’erudito Winckelmann. Questo pessimismo trovava la propria summa nelle parole di Sileno a Re Mida, che Nietzsche compiaciuto citava per esteso nella “Nascita della tragedia”: “Per te il meglio sopra ogni cosa ti è assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, non essere niente. Ma la seconda cosa migliore è per te – morire subito”. Dunque non solo la vocazione verso un abisso assoluto, un buco nero che inghiottisca la stessa possibilità di essere, ma anche la consapevolezza che morte ed estinzione sono solo soluzioni di ripiego, un inadeguato strapiombo; lo sanno i giovani che nelle cronache si giocano la propria vita o l’altrui per un nonnulla, lo sanno gli aedi dell’ambientalismo coi loro mantra apocalittici. La filosofia greca coeva e coerente all’epoca tragica non è quella che è nata con Socrate e ci è giunta tramite Platone e Aristotele, secondo Nietzsche, ma quella uccisa da Socrate e tradita dall’interpretazione di Platone e Aristotele: il pensiero dei presocratici, iniziato con Talete e culminato in Parmenide, il filosofo che vedeva nel rifiuto dell’evidenza del mondo l’unica strada della verità.
Viviamo in tempi di verità o di errore, ora che ogni informazione è immediatamente disponibile e istantaneamente falsificabile? Nietzsche ci giunge in aiuto con un paradosso, lì dove scrive: “E se la verità pervenne alla vittoria, domandatevi con buona diffidenza: quale forte errore ha combattuto per essa?”. In un contesto tragico, in cui la ragionevolezza va travalicata, non è possibile sussumere nella logica il rovesciamento di un estremo nel suo opposto, scrive Masini. Nietzsche è l’araldo del ritorno del pensiero al suo originario nocciolo metaforico. I successori di Socrate sono logici: Platone perché colloca la verità in un iperuranio che non può essere intaccato ma può essere indagato; Aristotele perché vede una perfetta consonanza fra ciascun concetto e la sostanza reale cui si riferisce. I presocratici, invece, sono metaforici: Talete, scrive Nietzsche, “vide l’unità degli essenti: e poiché voleva comunicare, parlò dell’acqua”. Spiega meglio: “Come per il drammaturgo parole e verso sono soltanto un balbettio in una lingua straniera allo scopo di dire in essa quel che ha vissuto e veduto e solo attraverso i gesti e la musica può direttamente rendere noto, così l’espressione di ogni profonda intuizione filosofia attraverso la dialettica e la riflessione scientifica è invero l’unico mezzo per comunicare quanto è stato veduto, ma un mezzo misero, anzi, una trasposizione metaforica del tutto infedele in una sfera e in un linguaggio diversi”.
Nella politica e nella società, oggi, le teorie sono ridotte a contrapposizione di estremi sottratti alla logica e consegnati alla metafora, a un palcoscenico in cui più del discorrere conta il dimenarsi e gesticolare; le parole seguono come inadeguata traduzione e superflua. “Sono venuto troppo presto; non è ancora il mio tempo”, scrisse Nietzsche nella “Gaia Scienza”, ed era il 1882. Rileggendolo si scopre che, intanto, il tempo dello scriba del caos dev’essere arrivato.