Viaggio al termine della “Notte delle edicole”
Tre storie esemplari di giornalai che provano a resistere alla crisi del settore. Il ricambio generazionale, la mano tesa della politica, il compromesso con gli editori e una comunicazione strutturata
I dati dell’Ads (Accertamenti Diffusione Stampa) sulle vendite dei quotidiani arrivano ogni mese puntuali a certificare lo stato comatoso del giornalismo italiano. Una crisi che riguarda tutta la filiera dell’editoria e che ha i suoi effetti pratici nella chiusura di centinaia di edicole lungo la penisola. Restano i chioschi vuoti e le serrande chiuse.
Il calo degli introiti nel 2019 lascia poco spazio alle interpretazioni: secondo Fenagi (Federazione nazionale giornalai) l’anno scorso i ricavi dalla vendita di quotidiani e periodici si sono assestati a poco più di 1,9 miliardi, il 10 per cento in meno rispetto all’anno precedente e il dato peggiore degli ultimi 5 anni. Per sensibilizzare i cittadini sulla crisi delle edicole il Sinagi (Sindacato nazionale giornalai d’Italia) ha promosso tra il 29 e il 30 gennaio scorso la “Notte bianca delle edicole”, un’iniziativa che consiste nell’apertura straordinaria oltre il regolare orario di esercizio. “Edicola è un luogo di incontro sociale. Edicola è presidio territoriale insostituibile”, si legge nel manifesto del Sinagi.
È così ancora oggi? “Certamente”, dice al Foglio Mariangela De Masi, che nella sua edicola in zona Osteria del Curato a Roma resiste con ottimismo alla crisi. “Ho iniziato questo lavoro per passione, cinque anni fa. Prima lavoravo come responsabile del servizio clienti in un’azienda. Ho trasferito le mie conoscenze nel settore delle edicole creando servizi mirati e un approccio personalizzato con il compratore”. La De Masi offre al cliente diversi servizi, dalla giacenza pacchi, alla vendita di biglietti per i mezzi pubblici. Ma la sua vera forza sta nella comunicazione. “Ho i miei canali social dove ogni mattina posto l’’accadde oggi’, un evento del passato che ricorre in una precisa data. Internet è la mia vetrina digitale: lì i clienti possono restare aggiornati sulle novità. Poi c’è Whatsapp: comunico direttamente con il cliente l’arrivo di un pacco o di una rivista. Così attorno all’edicola si crea una rete che unisce l’online all’offline: i risultati sono concreti”.
Il filosofo tedesco-americano Herbert Marcuse a passeggio a Venezia negli anni sessanta (LaPresse)
L’utilizzo dei nuovi mezzi di comunicazione, insomma, può fare la differenza. “Anch’io uso Facebook, Whatsapp e Instagram. Ma non possiamo essere solo noi a farci pubblicità”, dice Liliana Lentricchia, gestore di una storica edicola romana in zona Tiburtina. Sua nonna ha iniziato a vendere giornali negli anni Cinquanta. Lei ha rilevato l’attività nel 2003, quando “si vendevano ancora cinquecento copie del Messaggero al giorno, con punte di un migliaio nel weekend”. Oggi è tanto se si arriva a quota quaranta copie. Ma per fortuna ci sono i servizi a sostenere gli incassi. “Il comune ci ha dato parecchia visibilità grazie ai certificati anagrafici che ora possono essere rilasciati dell’edicolante. Quando la politica collabora si aprono spiragli di ottimismo”.
E così, l’annuncio del sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’editoria, Andrea Martella, del credito di imposta di circa duemila euro annui per esercizio nella legge di bilancio 2020 – provvedimento introdotto per la prima volta nella precedente manovra dall’ex sottosegretario Vito Crimi, ora alla guida del M5s – viene accolto come un atto di fiducia verso gli edicolanti. “Non è molto, ma è un buon punto di partenza”, commenta Lentricchia. Si può fare di più? “Perché non dare ai giovani dei bonus da spendere direttamente in edicola? Bisogna sostenere tutta la filiera: non è possibile concorrere con gli abbonamenti online senza aiuti. Politici ed editori devono venirci incontro”, ribatte De Masi.
E se la crisi strutturale del settore blocca gli investimenti, a volte ad aggravare la situazione ci sono i fattori esterni. A Venezia l’acqua alta si è portata via l’edicola storica di Walter Mutti. Ma un crowdfunding online potrebbe a breve farla tornare in attività già a partire da marzo. “È da più di trentacinque anni che la mia famiglia vende giornali nella nostra edicola; la gestione è passata da mio padre a mio fratello e infine a me”, dice Mutti al Foglio. “Nonostante la crisi abbiamo sempre resistito. La nostra forza è la fedeltà al prodotto editoriale: la gente sa dove cercare il periodico di fiducia e se non lo trova possiamo sempre ordinarlo”. Anche nell’edicola di Mutti si vendono “biglietti per i mezzi, gadget turistici, cartoline, acqua minerale. Bisogna ampliare la merceologia, anche perché molti periodici sono scomparsi”. Se ci si chiede se il web decreterà la fine delle edicole, per Mutti la risposta è no, perché “solo sulla carta c’è lo spazio per approfondire. È una questione di ritmo, di lettura. È un formato che piace anche ai giovani, lo vedo. Ci vuole però una certa educazione a leggere, tutto dipende dalla famiglia”. Eppure, ad oggi, i giornali valgono una minima parte degli introiti delle edicole. “Malgrado le trasformazioni e l’ampliamento dei servizi ci tengo a mantenere la mia identità di edicola. È qualcosa che non può essere trattato. I giornali si trovano solo da noi, e così deve essere”, dice Lentricchia. “Non dimentichiamoci che l’edicola tutela la pluralità dell’informazione – chiosa De Masi –. Noi vendiamo giornali con posizioni politiche diverse tra loro: restiamo un presidio di democrazia. Inoltre le testate traggono la maggior parte delle entrate dalle vendite al dettaglio. Se cadremo noi, cadranno anche i giornali, che sono la base del nostro lavoro e ci permettono di avere la licenza: politici ed editori devono tenerlo a mente”.