È giusto considerare Houellebecq il più grande intellettuale conservatore vivente
“Cahier” è un monumento di carta all’epocale scrittore francese
Che Michel Houellebecq fosse un reazionario e un nostalgico lo sapevo come lo sanno tutti i suoi lettori antichi, quelli che lo seguono almeno da Il senso della lotta: “Mi sarebbe piaciuta una patria / qualcosa di forte e di grande”. Ma che fosse il più importante intellettuale conservatore vivente l’ho pensato dopo la morte di Roger Scruton e la lettura delle 390 pagine grande formato di Cahier (La nave di Teseo). Questo volume è proprio un grosso monumento all’epocale scrittore francese, composto da molti testi di amici e colleghi e da molti interventi (per lo più articoli, prefazioni, interviste) del personaggio monumentato. Materiale tutto o quasi tutto inedito in Italia, siccome non narrativo e dunque ben poco commerciale: pane per i miei denti antiromanzeschi. Tralasciando le chiacchiere dei sodali anche illustri, che al suo cospetto fanno la figura dei chihuahua (e sto parlando di Emmanuel Carrère, Bret Easton Ellis, Bernard-Henri Lévy, Salman Rushdie…), virgoletto le frasi che mi hanno spinto alla considerazione di cui sopra.
“Lo scambio culturale è una cosa eccellente, a condizione di avere qualcosa da scambiare. E’ molto interessante viaggiare, a condizione che ci sia una differenza tra i paesi visitati”. Qui il grande indagatore del turismo come nichilismo si avvicina ai critici del multiculturalismo omologante, ossia René Girard, appunto Scruton, ovviamente Renaud Camus e Richard Millet perché i monoculturalisti sono spesso francesi, della nazione europea forse più invasa.
“Invoco semplicemente il mantenimento di spazi umani variati; invoco anche il diritto di parlare la mia lingua e di non parlarne nessun’altra se la cosa mi secca”. Stavolta mi sovvengono addirittura Heidegger, il linguaggio come casa dell’essere, e lo Jünger del Trattato del ribelle. Poi anche Churchill che non sopportava le parole francesi e Finkielkraut che deplora i nomi arabi in Francia.
“Il Rinascimento è un periodo detestabile, soprattutto sul piano estetico. In pittura, è una catastrofe rispetto al Medioevo”. In Cahier, Houellebecq si scaglia più e più volte contro l’epoca presuntuosa dei Leonardo e dei Pico della Mirandola, svelandosi: il conservatore consapevole è sempre un poco antirinascimentale (vedi Oscar Wilde, Domenico Giuliotti, Cristina Campo, Balthu…) o almeno filomedievale (da John Ruskin a Rémi Brague passando per Papa Giovanni Paolo II).
“Non mi piacciono il desiderio né il movimento. Non solo non mi piacciono, ma effettivamente auspico la loro scomparsa”. Fantastica affermazione che colloco in un luogo dello spazio a metà strada fra il Sinai del Decalogo e la Parigi di Fuoco fatuo, dove Pierre Drieu La Rochelle fa dire al protagonista “Avrei voluto che non si muovesse più nulla intorno a me”. In quel tempo senza tempo in cui il conservatore sogna di vivere, sapendo perfettamente (è un realista) che invece non può sfuggire a questo presente accelerato.
“La rima consente di scrivere ciò che non si era pensato che si sarebbe scritto. Sono le parole a chiamare altre parole, non il pensiero”. Dietro queste parole antiavanguardiste, antispontaneiste intravedo Eliot e, ancor più nitidamente, Robert Frost, il poeta che si definiva “un cristiano da Vecchio Testamento” e che scrisse “le buone recinzioni rendono buoni i vicini”, insomma un sapiente. “Più ci sono governi di sinistra, più c’è controllo sociale”. Certo, non ti fanno parlare liberamente, non ti fanno fumare liberamente, non ti lasciano usare liberamente neanche i pochi contanti sopravvissuti alle loro tasse, i progressisti. L’Houellebecq anarco-conservatore ha qualcosa di Ida Magli e, più indietro nel tempo, di Giuseppe Prezzolini.
“Amo la Francia! Visito tutti i musei regionali. Il turismo con l’auto è quello che preferisco!”. L’autore de La carta e il territorio batte il territorio nazionale e lo fa in macchina, magari diesel, perché odia gli ambientalisti e il trasporto collettivo lo lascia volentieri ai collettivisti. Ammiratore delle tradizioni, sostenitore della provincia, è un patriota sebbene senza eccessi perché altrimenti non sarebbe un conservatore bensì il suo contrario, un fanatico.
E se per caso resistesse qualche dubbio si apra Cahier a pagina 99 dove Houellebecq fa un elogio del tipo umano conservatore degno di Gómez-Dávila.