E' l'anno zero del clima. I “Khmer Verdi” e la nostra “civiltà del vuoto”
“Il collasso globale è vicino”. I libri di Debray e Melun
Roma. Non passa giorno senza il suo bravo titolo apocalittico sul clima, la pubblicazione del prossimo discorso di Greta Thunberg e la trasmissione di un nuovo programma televisivo con ghiacciai che si sciolgono e ciminiere che sputano fumo. Ieri il titolo sui giornali anglofoni era questo: “Il collasso globale è vicino”. Duecento scienziati hanno dichiarato che la sovrapposizione di crisi sta per portare il pianeta a un “collasso sistemico globale”.
Cambiamenti climatici, eventi meteorologici estremi (dagli uragani alle ondate di calore), il declino degli ecosistemi vitali, la sicurezza alimentare e la diminuzione delle riserve di acqua dolce starebbero per concorrere alla fine del mondo. Lo dice Future Earth, un’organizzazione di ricerca internazionale che ha affidato il rapporto a Maria Ivanova, docente del Center for Governance and Sustainability dell’Università del Massachusetts. “Il 2020 è l’anno critico per affrontare questi problemi”, ha dichiarato Amy Luers di Future Earth.
Come si è arrivati a credere a simili geremiadi che si ripetono pressoché uguali (cambia solo la data) da almeno trent’anni? Lo spiega il filosofo francese Régis Debray, l’uomo che ha abbracciato Fidel Castro, che fu compagno di lotta di Che Guevara, che fu consigliere di François Mitterrand e prima ancora amico di Jean-Paul Sartre. Debray lo spiega nel suo nuovo libro in uscita per Gallimard, “Le Siècle vert. Un changement de civilisation”.
Un uomo nuovo vaga nel cuore delle nostre città europee: “Va in bicicletta ad Amsterdam, fa sci di fondo a Helsinki, prende il congedo di paternità a Copenaghen e si tuffa nell’acqua ghiacciata a Oslo. Quest’uomo nuovo è ovviamente una donna”. Il cambiamento di civiltà di cui parla Debray è questo: “L’occidentale cercava se stesso in cielo; poi ha cercato se stesso nel prossimo; ora si cerca nello scimpanzé. Avevamo vissuto sotto la campana della Storia. Vivremo sotto la campana della Natura”.
E’ un “feticismo rinvigorito”, dove “la vita segreta degli alberi” e “le sofferenze della Terra” fanno come da balsamo alla nostra angoscia. Invece di passare dall’adolescenza alla mezza età, è come se stessimo ripiegando nell’infanzia. Debray fa la parodia alla famosa apertura del “Manifesto” di Karl Marx: “Uno spettro si aggira in occidente: il collasso del sistema terrestre”. Si è passati da sognare “una società senza classi e sfruttatori a una società senza carbone e rifiuti alla deriva. Il nemico principale non è più il padrone, ma il fumo della fabbrica”.
Debray non nega l’apprensione per il clima. “Siamo tutti d’accordo sul fatto che dobbiamo limitare i gas serra o usare l’acqua con parsimonia quando ci laviamo i denti. Ma il culto del verde è un’altra cosa. Non puoi farne un terrore. Non dovremmo farne una religione”. “Ieri le Guardie Rosse, oggi e domani i Khmer Verdi?”. Il secolo verde succede dunque al secolo rosso. E c’è un filo rosso, anzi verde, che lega questa utopia ecologista alle vecchie utopie sessantottine.
Chi sono i rivoluzionari verdi? Lo spiega Paul Melun in un altro libro appena uscito in Francia, “Les enfants de la déconstruction”, e di cui ha parlato il Figaro. E’ una società “costruita sul disprezzo per il passato”. E’ la generazione nata negli anni Novanta. “La filosofia postmoderna degli anni Sessanta incarna una genitorialità intellettuale evidente nella vita della nostra generazione. Senza accorgersene, con il conforto di credersi liberi, questa generazione avanza in un vuoto gelido. E siamo alla ricerca di palliativi, come Tinder”. Melun la chiama “civiltà del vuoto”.