case di carta - 1
Il segreto delle librerie
Perché se ne possono aprire ancora di nuove. Viaggio di una “lettrice fino alla morte”: prima tappa, sotto il Vesuvio
Per più di trent’anni, a Torre Annunziata, in provincia di Napoli, non c’è stata neppure una libreria, dopo che l’unica e ultima aveva chiuso. Da qualche anno, invece, i torresi possono entrare in un negozio che si chiama Libertà e, nell’ordine che preferiscono, sfogliare libri, guardare libri, assistere a presentazioni di libri, fare colazione, prendere un aperitivo, scegliersi un tavolino nell’ultima sala dove leggere, scrivere, studiare. Liber + TA (primo significato del nome della libreria: “libro” in latino più le iniziali di Torre Annunziata) nasce da un’associazione culturale molto ostinata fatta da lettori molto tenaci ed è sorretta da una libraia che si è licenziata da una catena e si è ricostruita un’identità su misura per sé (liberta, senza l’accento, come una schiava che si è comprata la libertà: secondo e terzo significato). Arrivo da Libertà un lunedì pomeriggio, vengo da Roma e, prima, ho fatto sosta da una coppia che fa parte dell’associazione, da casa loro si vede il mare: quella casa di famiglia, cui si accede con un’arrampicata senza ascensore che ti spolmona come l’appartamento di Jane Fonda e Robert Redford in A piedi nudi nel parco, con i suoi finestroni pare la prua di una barca. Più tardi, in libreria, mentre rispondo alle domande dei lettori nello scantinato di Libertà, il mare me lo sento ancora intorno perché la presentazione di Andrea è piena d’acqua, o forse lo è il mio romanzo che fa tutt’uno con gli oggetti, e lui tira fuori da una valigetta cose che le mie righe gli hanno suggerito di portare, compreso un disco di Battiato che mi fa piangere perché, non so come faccia a saperlo (e infatti non lo sa), è l’ultimo che ho ascoltato con mio padre, nell’estate nel 1988. Per tornare al presente, quel pomeriggio ho finito di leggere un romanzo italiano appena uscito e ai lettori finisco per parlare più dei libri degli altri che del mio: nelle librerie di quartiere, con i circoli clandestini di chi esce di casa per andare a sentire gli scrittori, è sempre così, finiamo a scambiarci consigli, a prendere appunti gli uni dagli altri: non sono sicura che avrò sempre storie da raccontare ma dubito che tutta la vita mi basterà per leggere quelle che voglio leggere. Ergo, fino alla morte non so se sarò una scrittrice ma sarò sicuramente una lettrice.
Il giorno dopo Libertà, invece, vado in una libreria di catena, sempre sul mare, in un altro paese vesuviano: Castellammare di Stabia, dove la Mondadori è stata aperta da un ragazzo di Portici, Giuseppe, e all’inizio ci si chiedeva come sarebbe andata perché non era del luogo – così almeno mi racconta Carmen. Anche stavolta c’entra una associazione culturale: è grazie all’invito di lei, professoressa in pensione, che sono lì, e il prodigio stavolta è un altro, la sala è piena di adolescenti. Si accalcano in piedi e sulle sedie, ignari che qualche adulto, là fuori, sta usando Facebook per digitare con gli occhiali da presbite la sua lamentazione sugli adolescenti che non leggono. Quasi nessun adolescente che conosco ha un profilo Facebook e i pochi che ce l’hanno non lo usano; chiedo alla prof se qualcuno li ha costretti a venire in libreria e lei mi assicura di no. Quindi non sono stati minacciati da genitori o insegnanti, non devono studiarmi per un compito in classe, non c’è neppure un compagno bullo all’uscita che gliel’ha dato come punizione, obbligo o verità, “vai in libreria e ascolta la presentazione di una scrittrice” non è il nuovo “ti metto la testa nel water e tiro lo sciacquone”? La mattina dopo mi tocca scrivere, ho qualche ora prima di prendere la Circumvesuviana che mi porterà a Napoli e allora dopo una passeggiata sul lungomare chiedo della biblioteca, subito vengo scoraggiata perché, mi dicono, è piena di ventenni che frequentano l’università. Ci vado subito, magari scatto qualche foto documentaria per gli adulti di Facebook, me compresa. La biblioteca comunale di Castellammare si erge su due piani ed è, in effetti, piena di studenti; arrivo all’ora di pranzo e per miracolo quindi trovo posto, piano piano però si affolla e a un certo punto sento gli sguardi di odio su di me e sul mio ingombrante computer portatile con megaschermo per vecchi miopi; fra i ragazzi c’è tutto un corredo di evidenziatori, fotocopie e libri cui urge il posto sul tavolo, quando infine me ne vado sento un diffuso sollievo nell’aria. Prometto che non mi lagnerò di essere stata messa a disagio in un posto pieno di carta frequentato da gente che ha la metà degli anni miei. Prometto che subirò in silenzio le conseguenze della gita antropologica dai giovani, le merito tutte. Prometto, e vado a comprarmi il biglietto per Napoli.
La Circumvesuviana mi piace, è cugina della Circumetnea, vecchi trenini che fanno il girotondo attorno a un vulcano senza scordarsi il mare. Resisto alla tentazione di scendere a Pompei (da quanti anni non vado agli scavi?) e arrivo ligia a Napoli, dove al Vomero ha aperto da qualche anno la libreria Raffaello; anche qui c’è un gruppo di lettura, coordinato da Enza che è una giornalista e una scrittrice, anche qui c’è un bar di sostegno, qui si vende anche molto materiale di cartoleria e mentre teniamo l’incontro entrano famiglie che cercano quaderni, penne, cartelle, zainetti, bambini che indicano astucci, madri e padri che comunque buttano un’occhiata ai cospiratori seduti a parlare di personaggi e trame che non esistono. Con tante librerie che qui hanno chiuso, questa ha aperto – mi dice Enza prima di mettermi su un taxi che mi riporterà in stazione, allora vedo i fantasmi delle librerie passate come i Natali di Scrooge, invisibili dietro i negozi di mutande, di scommesse, di telefoni, oppure più gotici ancora: fantasmi rinsecchiti, spaesati, spodestati ed esanimi dietro alle saracinesche chiuse. Comunque e in ogni dove, fantasmi. Sarà per questa ragione che parteggio d’ufficio per le librerie neonate, perché, a ogni passo indietro che fa la carta e a ogni mio rigurgito o argomentazione contro quel passo indietro, rivedo contro di me la terribile scena di The Social Network: “Un momento, Sean, Napster non ha vinto: le case discografiche hanno vinto” “In tribunale. Vuoi aprire un negozio di dischi, Eduardo?”.
Ecco, chi oggi apre una libreria risponde sì a quella domanda. Quindi, chi apre una libreria ha un segreto che dobbiamo scoprire e analizzare, dobbiamo metterci tutti dalla sua parte, ascoltarlo, spiarlo, fargli molte domande e sostenerlo. Senza spaventarlo, magari. Una libraia mi ha detto: sai, sono anni che chiudiamo il bilancio in attivo, pure il 2019 è andato così. Me lo ha sussurrato come se non sapesse a chi altri dirlo, era imbarazzata: siamo piccoli, vendiamo, non siamo in crisi, però non so se si può dire a voce alta, è come dirsi bravi da soli, e allora quelli che chiudono non lo sono?
Le discussioni sulle leggi che riguardano il libro sono giungle, sono guerre civili; per i profani e per gli addetti ai lavori non sempre è facilissimo prendere posizione. Invece è facilissimo entrare in una stanza piena di scaffali e toccare pagine a caso o mirandole, è lo stesso gesto che si ripete da qualche centinaio di anni, io credo che sia un gesto politico ma preferirei dirlo piano, imbarazzata come la mia amica libraia. Più che altro, preferisco farlo. Di rado esco da una libreria senza aver comprato, infatti dopo il giro delle tre librerie campane la borsa mi pesa assai; sul treno di ritorno posso scegliere fra i libri nuovi e quelli che mi ero portata dietro (per tre giorni mi ero infilata in valigia la biblioteca di Alessandria, non sapendo in anticipo cosa avessi voglia di leggere). Invece mi distraggo a pensare a questa cosa delle librerie, a come posso raccontare perché sono più felice se una apre e più triste se una chiude, a come posso descrivere quanto sono diverse e come lavora ciascuna, a cosa posso ribattere a quel tipo che in una libreria non c’è mai entrato e non ne vede l’importanza e a quell’altro tipo che tanto compra online e scambia la sua autosufficienza per l’autosufficienza di tutti. Allora, come gliela racconto senza scrivere mai mai mai, neppure una volta giuro, “profumo della carta”?
“Vedrai che confuso problema è adoprare la propria esperienza”, cantava quello. In effetti, la ragione per cui preferisco i libri ai social network è che mi piace leggere senza la fretta di rispondere, senza l’asfissiante necessità di indignarmi, senza la paura di trovarmi davanti un brano tagliuzzato per dileggio, leggere con tutta la libertà di sentirmi allegramente sbagliata oppure disperata e infelice senza lo sgradevole inevitabile corollario dei commenti altrui, leggere perché quello è il mio regno e “a culo tutto il resto”, sempre come cantava quello; allora, da qualche parte nei paraggi della risposta sui libri, ci saranno anche le risposte che riguardano le case dei libri. Per qualche magia, le persone che le abitano difficilmente si vestono da moralizzatori o analfabeti funzionali dell’internet – non so se lì dentro diventiamo davvero un po’ migliori, se c’è un segreto a fare la differenza anche solo per poche ore. So però, con assoluta certezza, che più di frequente va così: se apro un social network lo richiudo con l’umore peggiorato, se entro in una libreria esco con l’umore aggiustato, e forse si potrebbe comunicare questo nelle campagne di promozione della lettura. No, non in quelle per i ragazzi, in quelle per i genitori.