In una palestra l'anima di Cuba
Sull’isola hanno visto invecchiare e morire Fidel ma tutto è ancora immutato, il popolo è allo stremo e qualcosa dovrà pure accadere. Per fortuna c’è la boxe
La strada che faccio di corsa ogni mattina non poteva che chiamarsi Cuba, s’insinua così stretta tra i palazzi che in certi punti devo quasi fermarmi o forse è tutta colpa dei rumori e profumi della vecchia Avana, quel misto di gioia e miseria che resiste prima che l’apertura a occidente lo spazzi via per sempre. Sono già passati trent’anni dalla caduta del Muro, i cubani hanno visto invecchiare e morire l’eroico Fidel ma tutto è ancora immutato, il popolo è allo stremo e qualcosa dovrà pure accadere, di certo c’è una nuova Costituzione e appena alla Casa Bianca tornerà un democratico, allora qui cominceranno i cantieri. “Obama es McDonald’s”, è una scritta sul muro che dice il desiderio di molti. Qualche segno di apertura c’è, passo proprio davanti al convento di Santa Clara che stanno restaurando con fondi Unesco, presto diventerà un centro di restauro per tutti i Caraibi, questo è un quartiere speciale, ci sono scuole di ogni ordine e grado e non è un caso se molti cubani, fin dal Dopoguerra, sono venuti qui a imparare i fondamenti del pugilato. Anche oggi il mio ultimo scatto è davanti alla Iglesia de la Merced, prima della palestra passo a salutare la Vergine Immacolata, tutta coperta di veli bianchi e filo d’argento, saranno i neon alla Dan Flavin ma non ho mai visto nulla di più abbagliante. Qualcuno ha lasciato un guantone con un biglietto, ieri non c’era e chissà se l’ha messo quel Pedro con cui oggi combatterò sul ring della palestra. Sarà il primo incontro della giornata e temo che a proteggermi non mi basti un preghiera, se almeno Maurizio Zennoni fosse vivo gli darei un colpo proprio ora per chiedergli come fare, è stato lui a darmi le basi della boxe ma come fai a iniziare alla mia età, al massimo puoi ridurre la pancetta, mi ha ripetuto mille volte che sembro uno stoccafisso e che mi devo sciogliere, perché per fare il pugilato “devi muoverti come nelle scuole di ballo a Cuba”.
“Obama es McDonald’s”, è una scritta sul muro che dice il desiderio di molti. Qualche segno di apertura comunque c’è
Solo un buon caffè potrebbe darmi il ritmo, me lo prepara Kuki davanti alla palestra, è un patio coi cespugli che escono dai muri, ha un thermos sempre pronto per offrire grandi tazze a tutti quelli che passano, sono cose che qui capitano ancora e io ne approfitto da giorni, ieri almeno le ho dato venti pesos, per lei è una piccola fortuna e infatti si è precipitata in cucina a prendermi una latta coi biscotti, sembravano a forma di orsacchiotto e invece era il profilo del Che. Ognuno ha i suoi eroi, i miei sono pugili ed è il motivo per cui le mie vacanze di Natale ho deciso di passarle qui, vengo ad allenarmi ogni giorno al Gimnasio de Boxeo Rafael Trejo, il luogo dove sono cresciuti i grandi campioni cubani, da Roberto Balado e Félix Savón fino a Teófilo Stevenson, quello che alcuni considerano il più grande della storia, l’unico che avrebbe potuto battere Alì se solo non avesse rifiutato una borsa di 5 milioni di dollari. Scelse di restare dilettante “per otto milioni di cubani” e continuò ad allenarsi qui, anche lui arrivava in palestra di corsa, a Cuba fan tutti così, due chilometri, quattro, dieci, a ognuno la sua distanza. Io sono pure vicino ed è il minimo che possa fare con tutto il rum che mi sono fatto in questi giorni, sei mojito a Capodanno e ieri tre daiquiri eppure non mi sono mai sentito così bene, rischio quasi che mi appaiano gli addominali, all’alba vado a correre sul Malecón e intorno al Forte e poi indietro fino al Vedado e in salita verso Coppelia, la “Cattedrale del gelato”, un edificio modernista tra i più belli di Cuba. Lo disegnò Mario Girona nel 1966 per volere di Castro, ci hanno girato la scena di “Fresa y chocolate” in cui lo studente comunista David viene abbordato da Diego, artista gay, creativo e sognatore. Sarà l’incontro che cambierà la loro vita e non poteva essere altrimenti, il gelato è fantastico, ogni volta ne prendo sei palline e sempre fragola e cioccolato, è il miglior energetico possibile prima di ripartire di corsa lungo la rampa e giù fino al mare e di nuovo attorno al Forte e avanti e indietro altre due volte e così per dieci giorni di fila.
Luis non è un taxista vero, se ci ferma la polizia sono guai. E’ nato il giorno in cui Fidel entrò vincitore all’Avana: “Sesenta años de mierda”
Mi sono messo in buona forma anche grazie ai consigli di Noel Hernandez, il mio maestro per questa avventura, ha vinto la medaglia d’oro ai mondiali di Liverpool e anche oggi indossa la solita maglia con una memorabile frase di Mike Tyson, Everyone has a plan, until they get punched on the mouth. Forse è un presagio in vista del mio incontro, per fortuna manca un’ora e Noel mi sta aspettando sul ring. Ha intorno al collo le mie fasce, una gialla e l’altra blu, la scorsa settimana erano appese a un chiodo e chissà quante volte le hanno usate, questa è la palestra meno tecnologica del mondo, più che altro è un cortile coi balconi e i panni stesi e solo una stanza in fondo, uno specchio rigato, una sbarra, due pesi e la gomma di un camion, meno Technogym di così si muore, non per niente vanno tutti su e giù dalle scale, rinforzare le gambe è necessario, nella boxe alla cubana devi essere agile e scattante e girare attorno all’avversario e cercare di stancarlo e colpirlo non appena si scopre, meglio se al fegato per togliergli il fiato. Dice Noel che è la mia unica speranza per provare a sconfiggere Pedro, sedici anni, trenta esatti meno di me e una forza devastante, me lo ricorda mentre infila le palette e inizia a riscaldarmi. “Recto, crusado, gancio y gancio”. Guarda i dettagli, le gambe e come giro i fianchi, se sbaglio fa una smorfia ma quando faccio bene grida “estaaa!”, risponde a sorpresa e allora mi devo coprire, è meglio concentrarsi perché di certo quel Pedro non fa sconti. “El boxeo es un baile”. Nöel vorrebbe trasformarmi in una specie di Nino Benvenuti ma ho le gambe che sembrano dei pali, se solo potessi muovermi come quei bimbi che si allenano in fondo. Sono tecnici e rapidissimi. Saranno loro a portare avanti il nome di questa storica palestra dedicata a Rafael Trejo González, uno studente ucciso durante la dittatura di Machado ed entrato come José Martí tra i martiri che giustificano la Revolución e ogni sua conseguenza. Fortuna che proprio ieri la mia amica Tania Bruguera mi ha dato una botta di ottimismo, molte statue di Martí nella notte sono state coperte di vernice rossa, nessuno sa chi è stato ma la protesta si allarga, gli spiriti creativi si sentono più liberi e lei stessa presto in casa ospiterà residenze per artisti, dibattiti e proiezioni, i giovani usano Facebook e hanno meno paura, una svolta rispetto a quando fu fermata e interrogata per ore, discusse a lungo con l’agente di polizia de Le origini del totalitarismo di Hannah Arendt e una volta ai domiciliari si mise a leggerlo col microfono dalla porta di casa per farsi sentire da tutto il quartiere e andò avanti anche quando una squadra di operai fu mandata a spaccare la strada di fronte col martello pneumatico per coprire le sue parole, tipico esempio di attenzione del governo cubano per le opinioni discordanti.
Anche il più socialista intuirà gli effetti della sovietizzazione del paese che ha messo fine alle architetture visionarie degli anni Sessanta
Per il mio amico Marcello non esiste un paese più democratico al mondo perché il potere è davvero in mano al popolo. Visto che manca mezz’ora all’incontro vado a prendergli una copia della Costituzione, di fronte alla palestra c’è un ufficio del Partido comunista, mi costa tre pesos e lo sguardo sospettoso di un funzionario. Almeno Marcello sarà contento, lui è di quelli che alla Revolución ci credono ancora, anche se la produzione di canna da zucchero è crollata da sette a due milioni di tonnellate e anche il più socialista potrà intuire gli effetti sui salari dei campesinos, per non parlare della sovietizzazione del paese che ha messo fine, tra le tante cose, alle architetture visionarie degli anni Sessanta. Almeno le palestre di boxe resistono, anche grazie ai maestri come Nöel, è sempre sul pezzo, appena torno mi chiede come vanno le nocche, sono più forti grazie ai suoi esercizi, stringere i pugni cento volte in una bacinella d’acqua fredda e poi una serie di diretti leggeri a una spugna sul muro e così in alternata per un’ora, dopo tre giorni avevo dei gran calli e un’altra sensazione nelle mani. Anche la direttrice se n’è accorta, si chiama Lucia Gonzalez Perez, è sulla sessantina e mi chiama per darmi la tessera sociale, ha una scrivania rabberciata e passa tutto il tempo al telefono, una sigaretta via l’altra, sotto una foto di Fidel coi guantoni. Sono di quelle immagini che fan venire il nervoso a mia cugina Rosa De La Cruz, dovette fuggire da Cuba quando aveva sei anni e la sua casa di famiglia fu requisita dal governo e ora ospita l’Istituto per l’Amicizia tra i Popoli, sul fronte c’è una gigantografia di Hugo Chávez, direbbe Marcello che l’hanno fatto per una buona causa.
Molte statue del martire José Martí nella notte sono state coperte di vernice rossa, nessuno sa chi è stato ma la protesta si allarga
Il cortile nel frattempo si è riempito, sugli spalti saranno in cento e vorrei sedermi a guardare gli incontri ma purtroppo tocca a me. Nöel mi stringe i guantoni e proviamo due combinazioni proprio mentre arriva Pedro, ha i muscoli gonfi e m’incanto a guardarlo, se va bene mi stende in un minuto. Nöel invece ci crede, continua a menarla col movimento e mi fa provare la combinazione di Mike Tyson, “gancio, gancio, cruzado”. Mi viene e tira un urlo, appare una signora alla finestra, l’abbiamo svegliata, saluta, chiude le imposte e torna a dormire. Anch’io stamattina sarei stato volentieri a letto, in questi giorni ho trovato la casa ideale, la camera è spaziosa e c’è un bel pavimento in cotto, un letto morbido e uno specchio appoggiato a terra, dal tetto si vede tutta l’Avana e pure l’Hotel Nacional dove il mitico Fred Kaufman, mescolando rum, maraschino, succo d’ananas e granatina, inventò per Mary Pickford il cocktail che porta il suo nome e certo l’attrice, sorseggiandolo in terrazza, non avrebbe mai potuto immaginare che tutta quella meraviglia un giorno sarebbe diventata un cumulo di palazzi scrostati. Speriamo almeno che il suo spirito mi aiuti nei prossimi tre round, sempre che io riesca a stare in piedi, manca poco e Nöel mi fa fare due giri dell’isolato e un po’ di corda, poi mi allunga una canotta azzurra e mi spalma uno strato di vaselina sugli zigomi e sul naso, mentre Pedro sale sul ring accolto da una piccola ovazione e l’arbitro e tre giudici si preparano al match. Nöel non smette di parlarmi, “un baile, Conrado!”, dovrò girare tutto il tempo e non sarebbe difficile se al gong quel Pedro non mi chiudesse subito nell’angolo, è partito incazzato e non riesco a tenerlo lontano. Ci provo col jab, Nöel urla cose che non riesco a capire, già sento il fiatone ma a un tratto mi ricordo, “gancio, gancio, cruzado”, mi lancio e sento il suo “Estaa”. Funziona, Pedro è sorpreso, il primo colpo in due minuti. Provo ancora. Lo prendo. Cambio giro. Mi assale, sguscio via. Un’altra volta. Per fortuna arriva il gong. Qualcuno si mette a urlare “baila, Italia!”, all’angolo Nöel mi ripete le solite cose, di muovermi e usare il piede perno e stare attento e provare a sorprenderlo ma all’inizio del round Pedro è ancora più aggressivo, cerco di girargli intorno ma ho il cuore che batte al massimo, non so se chiudermi o fuggire. Mi spinge nell’angolo e inizia a colpirmi ai fianchi. Riesco a uscire ma sento le gambe che cedono. Schivo due diretti. Prendo un gancio. Per fortuna mi salva il gong. Nöel mi passa una borraccia, ha uno strano sapore, speriamo sia una bomba tipo Ddr. Ho ancora tre minuti, dice che sono avanti ma non ci credo, Pedro mi avrà colpito dieci volte, io nemmeno due. Gong! Ancora. Stavolta mi ha preso al fegato, mi sento mancare, mi appoggio alle corde, l’arbitro chiama il break. Resto in piedi per miracolo. Manca poco, devo resistere. Pedro rallenta, non vuole infierire, in effetti me ne ha dati abbastanza, mi lascia qualche spazio e tiro come vorrei, lo centro sul naso ma non fa una piega, mi lascia fare, recuperare ormai è impossibile, lo prendo ancora, la seconda sulla sirena. Cado a terra tra gli applausi. Sono esausto e non riesco a rialzarmi. Mi solleva Nöel giusto in tempo per la lettura del punteggio. L’arbitro parla nel megafono. Verdetto unanime. Pedro mi ha stracciato. Il braccio alzato è il suo. Mi abbraccia. Non ho più neppure un briciolo di energia.
Vorrei restare agli altri nove incontri della mattina ma non posso resistere, devo andare da Coppelia che apre tra poco, Nöel mi lascia la sua felpa e mi ricorda l’allenamento di domani, l’ultimo prima di tornarmene a casa. Fuori dal portone c’è Luis, è il marito di Kuki, gli passo dieci pesos per portarmi al Vedado, non è un taxista vero, se ci ferma la polizia sono guai ma la fame è più forte della paura, a ogni posto di blocco sputa fuori “socialismo es mierda”. E’ nato il giorno in cui Castro entrò vincitore all’Avana, “sesenta años de mierda!”, la sua vecchia Lada butta una nuvola di fumo nero, i giornali dissertano sul rapporto inevitabile tra giustizia sociale e transizione ecologica ma la Revolución si è fermata al catalizzatore, non ce n’è uno in tutta l’isola e questo traffico è come una camera a gas. Mi salva un fazzoletto sulla bocca. Arriviamo in un baleno ma all’entrata c’è già una coda pazzesca, arriva un uomo con lo sguardo serio, mi chiede se sono l’ultimo, gli faccio un cenno e mi siedo sul muretto ad aspettare, quando è il mio turno mi segue, svolto nella prima sala e lui mi viene dietro. Sarà l’agente di polizia che ha interrogato Tania? Mi fermo, giro a destra e torno indietro, in fondo vedo due tavolini vuoti, le sedie potrebbero essere di Harry Bertoia, scelgo il primo, lui arriva e si siede di fianco a me. Ora siamo soli. Non dico una parola, gioca col cellulare, arriva il cameriere, c’è un problema coi gusti, non capisco e allora lui interviene, è gentile e mi aiuta, è rimasta soltanto la crema. Mi stringe il braccio. Sorride. “No te preocupeees”. Altro che polizia, sono stato abbordato ed è pure carino. Ha solo sbagliato persona, gli spiego quanto amo la mia pupa. Gli dispiace. Scoppiamo a ridere. Gli chiedo come riesce a campare. Lavora da un editore. “Se llama Impresora Carlo Marx!”. Ridiamo ancora. Mi parla dei suoi sogni, l’isola è bella ma lui vorrebbe poter viaggiare e magari vedere Pamplona e Berlino e ovviamente a Ibiza e poi “la Itàliaaa!”. Gli parlo del mio incontro, conosce la Trejo, è una delle cose migliori rimaste sull’isola, “también el helado de Coppelia”, mi guarda, lo guardo, fossi gay mi sarei già innamorato di lui. Forse dovrei aiutarlo a fuggire, mi dice che in Europa non saprebbe che fare, parla il russo e lo legge bene, il suo libro preferito è Il maestro e Margherita, qui l’hanno pubblicato soltanto l’anno scorso perché Bulgakov è stato a lungo censurato e allora ci viene un gran magone a ricordare le pagine più belle, fino a quando finalmente arriva il gelato e in effetti è delizioso, volevamo fragola e cioccolato ma non importa, a volte basta solo la pazienza, d’altra parte “i manoscritti non bruciano”, ne ordiniamo un’altra coppa, stavolta ne prendiamo una in due, l’incontro di pugilato l’ho anche perso ma a Cuba ho trovato un nuovo amico.