“Togliamo Omero e Virgilio in nome della diversità”. A Oxford sono impazziti

Giulio Meotti

L’odissea dei classici nella più importante università al mondo

Roma. Le università occidentali da un po’ stanno delirando. In realtà è da un bel po’. Allan Bloom in un libro famoso del 1987 l’aveva appena chiamata “La chiusura della mente americana” quando l’Università di Stanford pensò di escludere dai programmi Dante, Omero, Platone, Aristotele, Shakespeare e gli altri grandi della cultura occidentale. Il motivo? Secondo il comitato di professori che stabiliva i piani di studio, quei classici erano “razzisti, sessisti, reazionari” e andavano bilanciati da autori esponenti delle minoranze. Cinque anni fa, il comitato che si occupa di vigilare sul multiculturalismo della Columbia University chiese di introdurre la lettura delle Metamorfosi di Ovidio con un “trigger warning”, un avvertimento agli studenti, perché il testo di Ovidio “contiene materiale offensivo e violento che marginalizza le identità degli studenti nella classe”. Qualche giorno fa, Yale ha annunciato che avrebbe mandato in pensione il suo famoso corso di “Introduzione alla Storia dell’arte, dal Rinascimento a oggi”. Insegnato per decenni da Vincent Scully, uno dei più celebri professori di Yale, il corso era una delle più riverite introduzioni all’arte occidentale nell’accademia americana. È stato annullato per tutti i soliti motivi: troppo bianco, troppo europeo, troppo maschile, troppo “problematico”, come ha detto Tim Barringer, presidente del dipartimento di Storia dell’arte, che vuole una prospettiva “globale” nell’arte. E naturalmente, scrive Barringer, il nuovo corso prenderà in considerazione l’arte in relazione a “ genere, classe e razza”.

 

 

Rivedere il corso che si tiene da 900 anni

Adesso Oxford, da qualche anno al primo posto del World University Ranking delle migliori università, vuole rivedere lo studio dell’Iliade e dell’Odissea di Omero e dell’Eneide di Virgilio per facilitare la “diversity” nei litterae humaniores, uno dei corsi più antichi dell’università, insegnato da 900 anni e che ha visto tanti allievi illustri come Oscar Wilde e C. S. Lewis. Si tratta di rendere lo studio dei classici greci opzionale e non obbligatorio, come è ora. Racconta il Telegraph che la facoltà è divisa e che centinaia di studenti hanno firmato una petizione per sollecitare gli accademici a mantenere al loro posto Omero e Virgilio. Sarebbe l’ultima di una serie di “aperture” che la facoltà ha fatto per colmare il divario nei risultati tra i diversi gruppi di studenti. Rimuovere Omero e Virgilio aiuterebbe così ad “affrontare la disparità di genere”. La studiosa di classicità nonché laureata a Oxford, Daisy Dunn, si è rivolta così ai professori di Oxford: “Non vedo come togliere Omero e Virgilio possa servire a colmare il divario tra studenti di diversa provenienza”. Il compianto filosofo conservatore Roger Scruton in un articolo per il Times un anno fa aveva definito quanto sta accadendo a Oxford come un “indottrinamento senza dottrina”. Oxford aveva già ceduto alle pressioni della campagna “Perché il mio curriculum è bianco?” contro il presunto “eurocentrismo” dell’insegnamento della storia. “L’educazione che riceviamo è stata ampiamente modellata dal colonialismo”, afferma la campagna sostenuta dall’Unione nazionale degli studenti. “E pone scrittori e pensatori bianchi eurocentrici al di sopra degli altri senza molta preoccupazione”. Così Oxford ha imposto un esame obbligatorio incentrato sulla storia africana, mediorientale, indiana e asiatica.

 

Quando Stanford pensò di rimuovere Omero, il Premio Nobel per la Letteratura Saul Bellow intervenne sostenendo di ignorare “l’esistenza di un Tolstoi tra gli zulù o di un Proust in Papuasia”. Oggi non abbiamo più neanche uno di quei grandi spiriti liberi della cultura in grado di dare un ceffone morale ai vandali accademici. O tempora, o mores...

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