Come è successo che Nietzsche ha messo in scacco la cultura di sinistra

Alfonso Berardinelli

Un libro su Colli e Montinari, curatori della storica edizione Adelphi

Consiglio e segnalo (cioè mi limito a segnalare velocemente) un libro di Sossio Giametta intitolato Colli, Montinari e Nietzsche (ed. BookTime, 169 pp., 16 euro). Giametta è stato il collaboratore costante e traduttore che ha vissuto per anni “dentro” quella straordinaria impresa filologica, editoriale, filosofica che ha realizzato l’edizione Colli-Montinari delle opere di Nietzsche pubblicata da Adelphi. Come è noto, si tratta dell’edizione di riferimento in tutto il mondo, la più autorevole e attendibile. Che questa impresa sia stata compiuta in Italia a opera di italiani è un onore e forse un sintomo: al di là delle intenzioni dei curatori ma non dell’editore, con questa edizione Nietzsche è diventato nella cultura europea e italiana il filosofo che ha spodestato Marx e messo in scacco l’intera cultura di sinistra, essendo come Marx e diversamente da Marx un distruttore di miti e un “profeta” interamente occupato a tagliare in due (“prima di me e dopo di me”) la storia della cultura occidentale

 

Anche se Nietzsche non è mai stato, non poteva e non voleva essere “popolare”, né moderno, né democratico, né politicamente influente, la sua influenza è stata vasta e si è fatta sentire tra filosofi professionali, intellettuali militanti e artisti. Si può aggiungere che Nietzsche, paradossalmente, è anche entrato in una certa simbiosi con il suo opposto e antagonista Marx, suggestionando, dagli anni Sessanta in poi, diversi neo-marxisti piuttosto dionisiaci e nichilisti (in senso anche parodistico). La simbiosi Marx-Nietzsche, con l’aggiunta di Heidegger e del suo pseudomisticismo ontologico, ha poi prodotto quella certa pappa estremistica ed estetizzante che propone da tempo una critica del capitalismo così radicale da fondersi e identificarsi (in cifra esoterica) con una finta gnosi metafisica. Così tra rivoluzione sociale (che echeggia Marx) e affermarsi dell’Essere contro le apparenze e le forme del divenire storico (che echeggia Nietzsche e Heidegger) non si riesce più a capire con che cosa si ha a che fare. Se si dice, con Benjamin, che il capitalismo è una religione, non è per affermare che produzione e consumo occupano l’intera vita degli individui e della società, ma per proporre eccitanti “profanazioni” del capitalismo attraverso l’incontro con l’essere al di là e al di qua dell’avere. Una rivoluzione o conversione immaginata sempre alle porte, che dovrebbe risacralizzare il mondo e restituirlo a una specie di originario eden comunitario.

 

Mi scuso per questa incontenibile digressione e torno al libro di Sossio Giametta, che ritrae efficacemente Giorgio Colli e Mazzino Montinari sia nel pensiero e nel carattere che nei loro rapporti con Nietzsche. Studiavano e curavano l’edizione critica del filosofo, ma la loro serietà intellettuale e originalità personale impediva loro di essere nietzschiani come si può essere cristiani o buddhisti.

 

Con Nietzsche, precisa infatti Colli in alcune righe che Giametta pone in epigrafe, bisogna essere severi: “La medesima spietata severità con cui egli ha guardato al suo passato e al suo presente va rivolta contro di lui. Le sue debolezze devono essere scoperte con malvagità, senza indulgenza, perché così lui ha fatto con gli altri. Quello che non è riuscito a vedere non dobbiamo perdonarglielo. Ciò significa avere imparato da lui”. Questa ritorsione critica è anche una beffarda devozione. Caro Nietzsche, vediamo che cosa ti può capitare se qualcuno, severamente, malvagiamente, si comporta con te come tu ti comporti con gli altri.

 

Colli era a sua volta un filosofo: aveva cioè una sua filosofia ispirata dai “sapienti” presocratici (Eraclito, Parmenide, Empedocle, ecc.), filosofia che costeggiava e contemplava Nietzsche senza però annegare nel suo pensiero. Ma d’altra parte Colli si arrende a Nietzsche quando dice che “non ha bisogno di essere interpretato (…) Basta accoglierlo, non secondo frammenti casuali o variamente suggestivi, ma nella sua totalità e unità”. Giustamente Giametta nota che se accogliere significa capire va bene, ma non può essere proibito interpretare filosoficamente e senza indulgenza.

 

Il ritratto che Giametta traccia di Mazzino Montinari (anche del quale si dichiara allievo, oltre che amico) è più vivacemente polemico. In estrema sintesi, secondo Giametta, è accaduto a Montinari di essersi sbagliato a scegliere Nietzsche come suo autore. L’incontro di Montinari con Nietzsche sarebbe stato un errore perché “Nietzsche era una natura eminentemente intellettuale e Montinari una natura istintiva; Nietzsche era complicato, orgoglioso, aristocratico, grave, ascetico, selettivo e facile al disgusto. Montinari era semplice, umile, popolare, impulsivo, epicureo, allegro, con gusti larghi fino al plebeo, democratico, di bocca buona (…). Montinari veniva da Marx, Engels, Kautsky, Mehring, Lukacs, Lenin, Stalin: autori non solo letti e studiati, ma anche tradotti, riveduti e composti per la stampa, in anni e anni di lavoro politico-culturale”. I veri autori a cui Montinari, secondo Giametta, avrebbe dovuto prestare fedeltà erano piuttosto Heinrich Heine e Thomas Mann.

 

Ma nel libro c’è molto altro. Testimone d’eccezione di un’eccezionale avventura culturale, Giametta ci dice anche qualcosa sul rapporto fra cultura e politica: “Il politico e l’intellettuale, come portatori di due visioni inevitabilmente totalizzanti, hanno il dovere di fagocitarsi fra loro. Il che, come ben si sa, è molto più difficile per l’intellettuale che per il politico. Da ciò però deriva anche il particolare e solo valore dell’intellettuale, nella sua resistenza ai poteri esterni”. Non deve abbandonare “la sua trincea”, né cercare la pace.

  

Se l’intellettuale è questo, oggi non si sa dove sia. Forse si nasconde. In scena non c’è posto.

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