Amadeo Peter Giannini, nato a San Jose il 6 maggio 1870, è stato un banchiere statunitense di origine italiana (Bank of America)

La banca del dopo

Michele Masneri

La saga di Amadeo Peter Giannini, l’italiano che dopo il disastro di San Francisco diede soldi ai poveri e fece rinascere la California

La storia magari non è nuovissima, però molto attuale mentre si aspettano ricostruzioni e prestiti e in generale role-model da utilizzare per tirar su lo spirito italico fiaccato. E allora ci vorrebbe un film o un’opera teatrale, tragica o buffa non importa, per la saga di Amadeo Peter Giannini, fondatore della “più grande banca d’America”, che a cavallo dell’Ottocento fece l’impresa con la sua Bank of Italy poi Bank of America, prestando ai poveri senza garanzie dopo le calamità. La saga di Giannini, saga bancaria-eroica, non è certo seconda a quella dei Lehman, anzi. Tocca così ripassarla mentre si avvicina il centocinquantesimo della nascita (6 maggio 1870) di questo personaggione che negli Stati Uniti è celebrato come leggenda e invece da noi è un culto molto di nicchia, forse perché ai banchieri degli uomini si son preferiti almeno sulla pagina e al cinema i banchieri “di Dio” coi caffè al cianuro. Ma adesso ecco l’anniversario, che a San Francisco festeggeranno, compatibilmente con gli avvenimenti, con un “Giannini Day” e un’ala dedicata al costituendo nuovo museo italoamericano che grazie al consolato e all’Istituto di cultura si appresta a diventare il più grosso d’America. E poi un libro, “Amadeo Peter Giannini, il banchiere galantuomo” di Giorgio Chiarva (Brioschi Editore) che ricostruisce romanzescamente la storia.

 

Si avvicina l’anniversario della nascita di un personaggio che negli Stati Uniti è celebrato come leggenda e invece da noi è un culto di nicchia

Amadeo Peter Giannini era nato a San José, California, appunto 150 anni fa, da una coppia di immigrati liguri, Virginia e Luigi, partiti da Favale di Màlvaro, landa allora di urfida povertà montagnosa nei pressi di Genova, la cui unica ricchezza era la produzione di castagne. Il Luigi per sposare la Virginia aveva già dovuto partire per l’America e dopo tre anni era tornato, con una fisarmonica e un sacco di castagne pieni d’oro. Se la sposa e ripartono, questa volta per la California; dove ancor oggi nella comunità italoamericana l’origine ligure è la più numerosa specialmente a San Francisco. E così tornano, in California, in piena corsa all’oro, mettono su una pensione “Hotel de Suisse”, per via di certi precedenti proprietari svizzeri, e va benissimo, finché il Luigi non viene ammazzato da dei balordi messicani che gli vogliono fregare un dollaro. Ma il rampollo, Amadeo Peter, detto A.P. o meglio Appì, consolerà la giovane mamma-vedova con bernoccolo affaristico: mette su una fiorente attività di frutta e verdura – del resto quella parte di California ancor oggi è “the salad bowl of America” – col nuovo patrigno. Si sposa poi la rampolla di un altro emigrato italiano, Clorinda Flores Cuneo, e anche lì c’è un padre guardingo (pensa che il giovane Giannini punti al cash). Guardingo però banchiere, avendo fondato la fiorente Columbus Savings and Loan, che presto passerà sotto la guida del genero. Giannini fin da subito si dimostra però disinteressato alle ricchezze ma più volenteroso di cambiamento, e nello specifico metter su una “banca di sistema” che aiuti gli immigrati arrivati in California per la corsa all’oro, che non trovano nessuno che li finanzi. E lì, lotte con questi austeri banchieri che sponsorizzano invece solo americani da almeno due generazioni, mentre Giannini si chiede: “Dove sono questi americani? Sono chiusi nei loro uffici, hanno grandi aziende, prospere, che danno lavoro a centinaia di messicani, venezuelani, ecuadoregni e italiani, francesi, tedeschi. In altre parole, immigrati. Per strada, invece, vedo solo immigrati, che con grande spirito di sacrificio fanno andare avanti piccole attività commerciali, frutta, verdura, macellerie, lavanderie”, si legge nel libro di Chiarva.

 

Sono del resto gli anni del boom sanfranciscano, tutto retto appunto da immigrati e avventurieri da ogni dove: nel 1848 era stato infatti scoperto l’oro, la città che era un borgo abitato soprattutto da missionari francescani nei territori un tempo messicani, passa in due anni da mille a venticinquemila abitanti, le strade vengon fatte il più alla svelta possibile (ecco spiegate le strane salite e discese ardite). Un certo tedesco, Levi Strauss, vorrebbe produrre tende per i cercatori d’oro, ma con una certa tela speciale molto robusta decide di fare dei pantalonacci da lavoro. Tutti vogliono reinvestire i proventi dell’oro, ma il settore bancario è ancora molto indietro. Gli italiani spediscono in Italia le rimesse in monete d’oro, su cui le banche trattengono il 20 per cento di interessi, ci vogliono mesi, e se le rubano (e spesso le rubano) sono affari loro (degli immigrati). Giannini allora prova a convincere la banca del suocero a cambiare, ad aprire a questo nuovo pubblico, ma viene subito imbruttito; quindi scena madre dello scontro in seno al consiglio di amministrazione; la banca è diventata ormai establishment, che presta solo ai Wasp, e lui dà le dimissioni (ma poi anche un altro fuoriuscito da quell’istituto, John Fugazi, fonderà la sua banca popolare, oggi sede di un magnifico teatro). Giannini e i suoi derivati vogliono rendere bancabile l’uomo della strada, il “little fellow” che altrimenti mette i soldi nel materasso (dobbiamo far tirar fuori i soldi dai materassi, è il suo mantra).

 

In Italia torna spesso, va a vedere i suoi parenti, va a Roma da Mussolini, su cui ha grandi aspettative, subito deluse

Dà le dimissioni e finalmente si mette in proprio; la sua si chiamerà Bank of Italy, sarà un credito cooperativo, senza grandi azionisti ma con tanti piccoli investitori. La apre in coabitazione in un saloon (di giorno è banca, di sera si beve). In piena North Beach, ancor oggi il quartiere degli italiani, tra Columbus e Montgomery, appena accanto al bistrot Zoetrope e uffici di Francis Ford Coppola, e sotto la libreria Citylights di Ferlinghetti e il caffè Trieste celebre. E qui, piccola digressione personale, una volta arrivato a San Francisco sembrò d’obbligo, grazie anche alle indicazioni dell’amico Mauro Zanetti, aprire un conto corrente filologico in quella prima “branch” di Bank of Italy, la prima aperta da Giannini, che oggi è di Bank of America come poi si chiamò l’istituto. Ancora in funzione, e fiorente, la filiale riassume, con l’atrio spazioso, le panche di legno, decori liberty poveri, lo spirito del fondatore. Giannini aveva voluto infatti una banca diversa dalle altre, senza tanti decori e legni perché non doveva incutere soggezioni a masse non abituate allo sportello: artigiani, braccianti, piccoli negozianti. Ma anzi, richiamo di impiegati cordialoni per rompere il ghiaccio, e le prime bancarie donne d’America (ma oggi, la clientela e gli impiegati, sono tutti soprattutto cinesi).

 

Quella di Giannini è una San Francisco che pare venir fuori dal film sul terremoto del 1906, con la città brulicante di commerci e la celebre melodia che ancor oggi risuona ogni sera nel cinema teatro del Castro, con Clark Gable impresario burbero dal cuor d’oro, e la mamma del suo rivale, la miglior dama della miglior società sanfranciscana, che abita lassù nell’affluente quartiere di Pacific Heights, e rivela poi origini da lavandaia. Ascensori sociali bestiali, del resto, all’epoca, e soprattutto poi col terremoto. Tremila morti e la città disintegrata, Giannini fa la mossa che lo renderà poi per sempre celebre e adorato tra gli italoamericani e lo avvia a una carriera e statura globale; alle cinque di mattina del 18 aprile 1906 la tremenda scossa che disintegra la città e la banca: la gigantesca cassaforte viene estratta dalle macerie e portata con un carro a buoi fino a casa, dove i soldi dei correntisti vengono stipati nel camino, per evitare gli sciacalli. Ma Giannini, banchiere appunto galantuomo, capisce che la città deve soprattutto riprendere al più presto le sue attività economiche. Le altre banche fan sapere che riapriranno entro sei mesi. Ma entro sei mesi non ci sarà più niente, dice lui. Così tira giù l’insegna dorata di Bank of Italy, che aveva voluto simile nel font all’hotel de Suisse paterno (e la storia dei font richiama l’altra saga, quella dei Lehman, anche lì dorature e memorie), va giù al porto, e sotto scrive: “business as usual”. Siamo aperti, come al solito, e nello stupore generale si mette a prestare soldi così, senza garanzie. Ai poveracci che hanno perduto tutto fa firmare un foglio di carta, perché quelli saranno impegnati a ricostruirsi una vita, non avranno tempo e voglia per imbrogliarci. Se li restituirete bene, sennò avremo perduto il denaro che vi abbiamo prestato. Il primo riluttante cliente è un immigrato originario di Bergamo, tale Emanuele Vinciguerra, allevatore e “procuratore di bordo”, cioè caterer dei grandi bastimenti commerciali che attraccano lì al pier. Rovinato, gli servirebbe un piccolo prestito per dei vitelli da comprare. Prende in prestito 25 dollari “e ce ne restituirà 27” di lì a un anno, dice Giannini. Ovviamente è un trionfo. North Beach, il quartiere italiano, grazie ai prestiti della Bank of Italy, è il primo a essere ricostruito: 542 case vengono tirate su nei primi quattro mesi.

 

Gloria e giro d’affari e trasformazione in idolo e icona dell’immigrazione italiana – a proposito, visto che han cancellato il Columbus Day, si potrebbe fare un Giannini Day permanente.

 

Giannini e i suoi derivati vogliono rendere bancabile l’uomo della strada, il “little fellow” che altrimenti mette i soldi nel materasso

Lui morirà vetusto di onori e anche dolori come si vuole in ogni saga che si rispetti (la morte prematura di un figlio, quella della moglie), a San Mateo nel 1949, in piena di quella Silicon Valley che non osava ancora pronunciare quel nome essendo allora una vasta distesa di campi e frutteti – del resto l’università di Stanford ancor oggi è soprannominata “the farm” perché nasceva su una grande fattoria specializzata in albicocche; e a Stanford come i bravi californiani di ieri e di oggi Giannini aprirà con vaste donazioni un’ala a lui intitolata. Nel campus, oggi, si contano morti e infettati tra professori e studenti – ma l’origine di quell’ateneo era del resto pestilenziale e squisitamente italiana: fu infatti fondata dall’omonima famiglia in memoria del rampollo Leland Stanford, stecchito dal tifo nel 1884 a Napoli, mentre come tutti i gentiluomini del suo tempo era impegnato nel grand tour europeo.

 

Altre pesti colpiscono nel lungo periodo la vita di Giannini e della California: c’è la “cinese”, una specie di pre-corona che scoppia nel 1900 a San Francisco, così chiamata perché lo “spillover” è subito intestato alla locale Chinatown. Questa cinese (corsi e ricorsi) verrà tenuta nascosta per oltre due anni dal governatore californiano di allora, Henry Gage, che voleva evitare l’onta in un momento in cui la Costa Ovest americana cercava di rivaleggiare per prestigio e lifestyle con New York. Dunque “i panni sporchi si lavano in famiglia”, si fecero sgomberi e si quarantinò tutta la popolazione cinese, ma poi fu il turno della micidiale ondata di spagnola del 1918: altri tremila morti in città, e polemiche molto moderne sull’uso della mascherina; la città fu la più rapida nel costringere tutti ad adottarla, ma i giornali segnalavano l’utilità soprattutto simbolica di quei manufatti di stoffa. Qualcuno si ribellava; lo stesso sindaco James Rolph venne multato di 50 dollari per essere stato fotografato senza. Levi Strauss, il tedesco, riconvertì la produzione in mascherine. Ci fu persino una “anti-mask league”, un partito anti mascherina. E vari virologi improvvisati, come un certo dottor Timothy Leary che proponeva un vaccino poi distribuito in 17.000 dosi, rivelatosi del tutto inutile (più utile e dilettevole l’invenzione del pronipote e omonimo, divulgatore dell’Lsd). Dopo tre settimane di quella quarantena, la città annunciò felice che la peste era finita, e arrivò quello che tutti si teme oggi, il ritorno di fiamma e giù altri morti (totale, tremila).

 

Alle cinque di mattina del 18 aprile 1906 la tremenda scossa di terremoto che disintegra la città. Giannini riapre subito ai prestiti

Giannini intanto compiva il suo romanzo di formazione: si sposta sulla costa est, dove si scontra col razzismo doppio (anti-California e anti-italiani) di Jp Morgan, che tenta di scippargli la sua Bank of Italy; alla fine Giannini vince, e la banca si chiamerà però Bank of America (c’è pure uno spinoff, una Banca d’America e d’Italia che opererà soprattutto per aiutare la ricostruzione italiana nei due Dopoguerra). In Italia, Giannini torna spesso, va a vedere i suoi parenti che improvvisamente si moltiplicano in Liguria, va a Roma da Mussolini, su cui ha grandi aspettative, subito deluse; il Duce durante un lunch al Viminale gli chiede subito soldi e pubblicità della sua banca sul suo giornale “Il Popolo d’Italia”. Soprattutto a Roma all’Excelsior gli viene un primo coccolone (e poi in clinica per settimane).

 

Muore, appunto, nel 1949, con gran cerimonia nella cattedrale di St. Mary a San Francisco (quella vecchia, non quella nuova poi edificata da Nervi). Ma nel mezzo fa a tempo a conoscere e finanziare due squinternati che hanno idee strambe su un’invenzione effimera, il cinema. Il signor Walt Disney gli sottopone dei cartoni di una mezz’ora un po’ senza senso, e Giannini gli consiglia: prenda una fiaba, così non paga i diritti. Lui arriva con Biancaneve. “Ottimo. Ma mi raccomando, i nani devono cantare!”; poi un omino con la bombetta, rimbalzato da tutti perché il suo progetto fumoso di un film molto neorealista che dovrebbe chiamarsi “il Monello” è molto in contrasto con gli standard dell’epoca di telefoni bianchi e amorazzi (Giannini lo finanzia con 50.000 dollari, senza quel 20 per cento di interessi annui che le altre banche richiedono al povero Chaplin, trattato come una partita Iva del triveneto). E naturalmente Giannini finanzia anche l’ingegner Joseph Strauss, che gli propone un avveniristico ponte tutto d’acciaio sulla baia di San Francisco, considerato molto avventato (mentre i sanfranciscani per andare di qua e di là fanno file mostruose ingrassando le società dei traghetti, ricorda qualcosa?). Giannini metterà a segno uno dei più redditizi investimenti della sua vita, basta pensare che il Golden Gate Bridge, coi suoi pedaggi, in questi giorni di coronavirus, sta molto sotto il suo incasso medio, che è di 300.000 dollari al giorno (mentre il tradizionale colore rosso pare fosse stato scelto per risparmiare qualche dollaro, essendo l’unica vernice disponibile. Ma forse questa è solo una leggenda).

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