L'amore vero di Jack London
Anna, Charmian, Mabel, Bessie. Sono tutte le donne che ha sfiorato, adorato, narrato e osservato nei pochi anni che ha trascorso su questa terra. Un libro racconta l’apocalisse privata dello scrittore
L’immagine sulla copertina di Figlio del lupo (Mondadori), il magnifico romanzo in cui Romana Petri racconta la vita di Jack London rendendolo vivo, contemporaneo, come fosse sempre stato accanto a noi, lo ritrae in completo e cravatta, mentre la seconda moglie Charmian, vestita di bianco, indossa un cappello e poggia il mento sulla mano. E’ una foto bellissima e, come ogni cosa bella, è bugiarda: fra i due, invisibili e concreti, sfilano i fantasmi di tutte le donne di Jack. Serve lo sguardo di una scrittrice per vederle tutte, per vederne una in particolare e raccontare la sua assenza martellante: Anna Strunsky, l’amore impossibile e ossessivo nella biografia di quest’uomo coriaceo, avventuroso e avventuriero, visionario e multiforme. Intanto, lo sguardo obliquo di Jack si posa su Charmian come a controllare che sia vera, che non appartenga a un altrove, è uno sguardo incredulo e soddisfatto e ci racconta un altro amore, l’amore coniugale fatto di presenze, di sostegno, della dolcezza offerta dalla possibilità di domare e essere domati. Se vi chiedete quale sia l’amore vero di Jack, se sia stata Anna o Charmian, vi state chiedendo se valga la pena vivere per lo struggimento e il tutto, per l’occasione lasciata andare, oppure per traversare il mare insieme, un viaggio che è anch’esso un tutto, e per onorare la scelta che un tempo si è fatta circa la giusta compagna di nave. La risposta è: vale la pena sempre, e veri lo sono entrambi. L’amore vero di Jack sono tutte le donne che ha sfiorato, adorato, narrato, osservato, nei pochi anni, appena quaranta, che ha trascorso su questa terra.
L’amore vero di Jack è Charmian, la seduttrice, che a ogni difficoltà gli ripete: “Questa è la cosa più bella che possa capitare a un uomo e una donna”; Charmian che lo fomenta nel mitizzare i viaggi e le grandi imprese; Charmian che, quando lo vede cupo e con una bottiglia in mano, gli indica il futuro come si indica l’orizzonte sul mare: “Tutto diverrà nostro in una misura illimitata. I purpurei passaggi, lo spirito romantico, la pura emancipazione da ogni possibile, noiosa mediocrità”. L’amore vero di Jack è Anna, perché ciò che non si è vissuto ci sovrasterà per sempre e “le cose non dette sono sempre le più grandi”; perché un’intellettuale russa emigrata in America a nove anni, una donna che sa usare la dialettica, “forte senza essere dura, intelligente senza essere mascolina, coraggiosa e affascinante, capace di combattere accanto al migliore degli uomini” non poteva che stregare Jack facendolo sentire un invitato alla sua inaccessibile tavola, e lei di contro non poteva che innamorarsi subito e pazzamente di quel giovane che sembrava un dio greco, anche se già gli mancava qualche dente, carismatico e pieno di mito in ogni atomo, ed “era come se accanto a lei fossero apparsi tutti insieme Lassalle, Karl Marx e Byron al culmine della loro giovinezza”. L’amore vero di Jack è Mabel, perché è stato il primo e ha lasciato l’impronta per tutti gli amori a venire; perché un amore trasfigurato in un capolavoro come Martin Eden non potrà mai finire, è chiaro che sarà l’amore di tutta la vita, come si conviene agli amori passati alla storia della letteratura; perché, di quel Jack, la zia di Charmian, redattrice e tra le prime ad essersi accorta del suo talento di narratore, disse: “Da quando lo conosco non ha fatto altro che parlarmi di una certa Mabel Applegarth come l’unica donna al mondo che avrebbe potuto sposare. Raramente ho visto un ragazzo più convinto di lui”. Ma l’amore vero di Jack è Bessie, che invece sposò davvero, la prima moglie, la moglie ragionata della giovinezza, a proposito della quale sempre quella zia aggiunse: “… e adesso invece sai cosa fa? Mi scrive che il prossimo sabato non potrà venire a trovarmi perché sta per sposarsi con una tale Bessie Maddern”. Bessie, ovvero il contrario di Mabel, non bella, non appassionata, non languida; la donna da impalmare all’inizio del nuovo secolo, nell’aprile del 1900, perché quell’altro amore, Mabel, sta prendendo tempo e non si accorge che bisogna divorare la vita, eroderla subito, non sa che gli scrittori sono uomini d’azione, come Jack ha imparato da Joseph Conrad. Bessie è perfetta perché è l’antitesi di un altro amore, come spesso accade ai primi matrimoni, quelli in cui si sceglie in fretta e ci si autoconvince che bisogna scappare dalla sofferenza e dal tormento, perché si è così giovani da credere che bisogna avere accanto qualcuno che ci dia serenità, ignorando che la serenità viene dall’euforia e che il sinonimo di quell’unione diventerà presto: noia. Tuttavia, anche la noia è amore.
Questi, dunque, gli amori di Jack, tutti solidi ed essenziali, tutti imprescindibili, tutti causati dall’infanzia con una stramba donna, la madre. Flora Wellman aveva avuto Jack da un astrologo ambulante, William Chaney, che aveva il dono della preveggenza e il talento della letteratura: scriveva benissimo e non sbagliava mai una visione. Anche Chaney amava andare per mare e Jack, non avendolo mai conosciuto, nell’assenza se lo figurava come un modello, eccitato dai racconti di Flora, che esagerava e accendeva in lui fantasie e megalomanie. Di padre e figlio, Romana Petri scrive: “In comune avevano anche la stessa bella e volitiva faccia degli irlandesi. Occhi trasparenti, mascella squadrata e labbra carnose”. Forse Chaney è una leggenda, tanto è evanescente la sua figura, forse lo è addirittura la sua storia con Flora Wellman, una spiritista eccellente nell’arte di abbindolare le persone, che aveva tentato il suicidio sparandosi in testa. Pare fosse un gesto di rifiuto per la richiesta dell’astrologo, che dopo averla messa incinta voleva che abortisse. Anzi no, era stato lui a spararle, con l’intenzione di togliersela di mezzo. Anzi addirittura quel bambino non era neppure figlio suo, anche se Flora andava a dire in giro che erano sposati, e costruiva per i vicini finte storie credibili sulla sua vita sentimentale. D’altra parte, è questo che fanno gli scrittori, mescolare le verità, crearne più d’una, e più sono piene di fascino più si devono moltiplicare: quando la tua origine si perde nelle stelle, in tarocchi tutti veri e tutti sbagliati, come puoi non essere un grande scrittore prima ancora di nascere? Non puoi tradire il destino, e Jack sentì dentro di lui il dovere di creare storie prima ancora di saperle scrivere. Le vedeva da quando era bambino, e appena poté cominciò ad attingere a quelle trame, a quei lampi, per costruire i suoi romanzi e il romanzo della sua vita; gli fu possibile perché tutto, nella sua infanzia pazza, era andato a incastrarsi nel modo giusto: una madre incosciente, un padre sparito, un patrigno mite e pieno di accudimento. Da lui prese il cognome, e la consapevolezza che una come Flora poteva solo essere amata e assecondata, che per donne così valeva la pena farsi uccidere, anche perché altrimenti c’era la possibilità che ti uccidessero loro.
Resta da chiedersi come abbia fatto Romana Petri a entrare con esemplare, vertiginosa precisione nell’apocalisse privata di London, con la grazia incosciente che hanno gli scrittori che decidono di dedicare un libro a un altro scrittore, al quale si sentono grati, al quale sono devoti e del quale sono in segreto innamorati, mettendoci dentro tutto il fascino che subiamo da chi abbiamo conosciuto attraverso le parole. Figlio del lupo ha in esergo una frase di Mario Petri, pugile, cantante, attore, ragazzo in cerca di fortuna e cazzotti, nonché padre di Romana, che qualche anno fa gli ha dedicato un altro libro magnifico e pluripremiato, Le serenate del ciclone, a tutti gli effetti un prequel del romanzo su London, come prequel erano Il mio cane del Klondike o Devo scegliere chi sognerà per me, dedicato ai bambini e con protagonista un Jack bambino. “Sapevo che Jack London ti sarebbe piaciuto. È un autore dal quale si impara molto, un personaggio che induce all’identificazione. Forse solo per vanità”, scrive Petri alla figlia, e anche noi, insieme a Romana, sovrapponiamo Mario e Jack, ma anche Mario e Romana, e ancora Romana e Jack. Si scrive così, con la foga e la forza che ritroviamo in Figlio del lupo, quando si è innamorati, e in quell’amore coesistono un’alterità assoluta e un io possibile. Si può scrivere così dopo aver molto amato, molto vissuto, molto osservato e molto perso, dopo essere stati Flora, Mabel, Bessie, Anna, Charmian e Jack che le amava tutte; Romana Petri c’è riuscita e la forza del romanzo è la sua autenticità appassionata, insieme all’indiscussa eternità di una biografia, quella di London, piena di amore e avventura, di audaci consapevolezze e serissime sconsideratezze. Tra queste pagine, la vita di Jack London emerge nitida in ogni paradosso, la vita di un uomo che ha scelto di diventare scrittore quando era ancora analfabeta, che ha sposato due donne continuando ad amarne una terza.
Anna, la splendida Anna vive negli epistolari e nell’inafferrabilità, non si concede a Jack prima perché lui ha troppa paura e poi perché è lei a non aver più voglia di togliergliela; Anna resta l’occhio nascosto, innominato, che non si vede in copertina ma determina la storia, con la potenza degli amori che non muoiono perché non sono stati vissuti, e nessuno potrà mai scriverne bassezze e miserie. Dopo aver prodotto svariati capolavori, Jack London muore a soli quarant’anni, e solo alla fine capiamo le parole di Romana Petri quando, raccontando come Anna fu stordita dalla sua bellezza, dal suo ardore, dalle sue idee socialiste, dalla sua somiglianza con le statue classiche, al loro primo incontro “sentì che quel ragazzo apparteneva ai pochi che non muoiono.”
Un romanzo in cui Romana Petri racconta la vita di Jack London rendendolo vivo, contemporaneo, come fosse sempre stato accanto a noi
Non puoi tradire il destino, e Jack sentì dentro di lui il dovere di creare storie prima ancora di saperle scrivere. Le vedeva da quando era bambino
“Questa è la cosa più bella che possa capitare a un uomo e una donna”; Charmian lo fomenta nel mitizzare i viaggi e le grandi imprese
Anna resta l’occhio nascosto, innominato, che non si vede in copertina ma determina la storia, con la potenza degli amori che non muoiono