Roald Dahl

Le avventure di Roald Dahl, il gigante gentile che volava alto e solo

Davide Bartoccini

Un articolo anonimo su un incidente aereo pubblicato su un giornale del 1942 parla di una piccola bugia e di una grande storia

“Mi hanno appeso un'etichetta al collo che diceva Flying officer. Possibile frattura alla base del cranio. Commozione cerebrale e lesioni facciali. Lo sapevo perché il medico aveva letto ad alta voce mentre ero nell’ospedale della base”. Inizia così il racconto di un pilota inglese senza nome, pubblicato dal Saturday Evening Post nell’agosto del 1942. Il titolo scelto dall’editore americano fu “Abbattuto in Libia”.

  

Alla fine non vi era alcuna firma, nemmeno una sigla, ma la penna era quella di Roald Dahl; allora un giovane gallese con discendenze nordiche, altissimo e fascinoso, che si era arruolato nella Royal Air Force e che sarebbe diventato, di lì a pochi anni, il più apprezzato scrittore di favole per bambini del Secolo breve. La storia era avvincente, l’anonimato necessario per due ragioni: quella fondamentale era che quel giovane, non più pilota, allora lavorava per l’intelligence, l’altra era la presenza di una piccola bugia.

 

Non tutti sanno che Dahl, il celebre autore del "GGG", della "Fabbrica di Cioccolato", di "Fantastic Mr. Fox" e tanti altri libri per ragazzi, dopo avere lavorato per una compagnia petrolifera nelle colonie britanniche, la Shell, era stato anche aviatore e pilota di guerra - proprio come il suo collega francese Antoine de Saint-Exupery. Lo racconta in due libri, “Over to You” (1946) e “Going solo” (1986), una breve biografia dove le avventure nei cieli d’Africa, Grecia e medio oriente vengono narrate nel suo stile chiaro ed efficace; lo stesso che si poteva apprezzare già in quell’articolo un po’ romanzato che decise di scrivere - dicendo una bugia bianca - quando il famoso “incidente” lo portò al ritiro dalla prima linea per ricoprire un ruolo differente alle dipendenze di Sua Maestà, quello di attaché presso il governo alleato di Washington, dove svolgeva più che altro compiti di propaganda e “spionaggio” - un ruolo spesso riservato per le loro qualità a intellettuali e scrittori in tempo di guerra. Fu allora del resto, tra la degenza e il viaggio, che Dahl appena ventenne iniziò a cimentarsi seriamente nella scrittura. Una scrittura “disinibita”.

 

Il giorno in cui l’aereo di Dahl cadde in missione nel deserto della Libia, secondo il racconto doveva essere "A piece of cake”: un pezzo di torta - che nel gergo dei piloti inglesi stava a significare “qualcosa di molto facile da sbrigare”. Il giovane pilota, dopo aver avvistato il nemico e aver gridato alla radio “Tally-ho” - espressione che i gentlemen usavano indistintamente nella caccia alla volpe come nella caccia agli aerei avversari - si era trovato senza avere neanche il tempo di accorgersene faccia a terra, ferito e insanguinato, senza naso e con il suo aereo in fiamme accanto che scoppiettava. Perso da qualche parte nel deserto vicino ad un posto chiamato Mersa Matruh. Soccorso in tempo, verrà ricoverato in ospedale, e nella degenza troverà modo - prima di tornare a combattere nei cieli della Grecia, 10 contro 100, fianco a fianco con l’asso Marmaduke Pattle - di mettere mano al suo primo grande racconto: “Gremlins”, gli spiritelli a cui i piloti inglesi davano la colpa per i guasti meccanici dei loro aerei prima che cadessero nel vuoto. “Have a fit of the gremlins”, dicevano sovente alla radio. Poi il silenzio.

 

La storia avrà così tanto successo da divenire un lungometraggio del filone propagandistico prodotto dal padre dell’animazione, Walt Disney, e anche un libro pubblicato dalla Random House. Ma quel racconto folcloristico, seguito da dozzine di altre favole di medesimo o maggiore successo, verrà partorito dalla mente dell’autore proprio per merito dell’attacco degli spiritelli (non di un nemico) che fecero precipitare il suo aereo in Libia, secondo qualcuno. Il neurologo di Roald, Tom Solomon, sostenne infatti la tesi che il "danno al lobo frontale" inferto dallo schianto nel deserto libico nel 1940, avesse portato l’autore a essere estrosamente “disinibito”, osando storie e personaggi che altrimenti non avrebbe mai pensato. L’impossibilità di sostenere lo stress gravitazionale nei duelli aerei, sopraggiunta mentre era in servizio ad Haifa contro gli aerei della Francia di Vichy, lo costrinse a essere riformato e rispedito sono e salvo nel Regno Unito prima, e negli Stati Uniti per svolgere le sue “missioni di propaganda” poi. Là scriverà il primo definitivo successo letterario: “James e la pesca gigante”.

 

Tornato in Inghilterra solo negli anni ‘50, trascorrerà la maggior parte della sua vita in un rifugio a misura d’uomo, costruito nel suo giardino del Buckinghamshire. Il “piccolo nido” delle sue idee. Lì Roald investiva intere giornate. Scrivendo le sue storie a matita, su grandi fogli gialli. Seduto su una comoda poltrona. Contornato da foto e cimeli. Due ore al mattino e due ore al pomeriggio. Solo, a rimuginare nei ricordi di bambino, per trovare ancora una volta l’ispirazione che lo avrebbe portato a firmare un nuovo successo. Saranno decine i racconti per ragazzi che si ritaglieranno un posto d’onore nell’infanzia di milioni di uomini e donne; che a loro volta passeranno le preziose pagine ai loro figli per forgiarne la fantasia. Tutti a sua firma. Prima della morte, sopraggiunta nel 1990, Dahl troverà addirittura il tempo per co-inventare la valvola WDT, un dispositivo utilizzato per contrastare gli effetti dell’idrocefalia. Il giovane gigante gentile che volava alto e solo, era davvero uno di quegli uomini dalle vite d'altri tempi. Uomini straordinari.

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