Il polemista incandescente che voleva guardare il nemico negli occhi
Scrittore di maestosa illeggibilità, campione del libero pensiero, ma scanzonato, Franco Cordero era proprio un bel tipo. Non si era mai berlusconiani tanto come quando si leggevano i suoi colpi di bazooka contro il Caimano
Tutto in Franco Cordero era monumentale, compresi il suo ferrigno fare timido e le sue scarpette da ginnastica sotto un corpo esile e atletico, e a Berlusconi eresse un monumento aere perennius. Lo scalpello era la lingua sua esfoliante, scintillante, incisiva, ermetica q.b., come nelle migliori ricette aristocratiche. Non si era mai berlusconiani tanto come quando si frequentava quest’uomo rannicchiato nel suo antro bibliofilo di via Palermo, quando si leggevano i suoi colpi di bazooka (lui avrebbe scritto bazzucca, la lezione del Migliorini) contro il Caimano. Era antropologicamente innamorato del nemico, lo idolatrava, ne aveva bisogno, una necessità sarcastica e disperata. Senza quel Mercante in fiera o bagalun d’l luster, senza quel piazzista di lucido da scarpe in un’Italia gaglioffa e decerebrata, Cordero si sarebbe annoiato a morte. Va bene San Paolo, un altro ontoteologo ermetico che per la verità fu capace di resistere al suo assalto, vanno bene inquisitori piccini e cattedratici, va bene l’universo fantastico della sua opera letteraria, ma volete mettere il sorriso dentato del Cav.?
Cordero, come prima di lui era avvenuto con gli scritti corsari, rovesciò il paradigma stanco dell’Italia alle vongole. Per lui questo paese era infingardo, finto, goloso di credulità, ma era un affare serio. Il che è in larga misura vero, è il suo bello, e questo secondo aspetto della faccenda nella sua rettitudine piemontese non lo capiva. Il rigore del proceduralista che non esercitava, ma insegnava dall’alto della Sapienza, era incompatibile con l’informalità un po’ mafiosa, come si dice mafioso di un bel cavallo, dell’ambiente circostante. Aveva dedicato quattro tomi tosti a fra’ Gerolamo Savonarola, il moralista che parlava con l’Altissimo, perché voleva salire con lui sul rogo, in fondo in fondo, oppure accenderlo. Contro la Cattolica o la Cattolicissima di padre Gemelli, aveva perso all’alta corte di giustizia che è la Consulta. Dopo la Risposta a Monsignore, si era ritrovato in una penisola laica uniforme e conformista, alle prese con il libero pensiero di cui era un campione sì, ma scanzonato e di illustre non osservanza.
Cordero era proprio un bel tipo. Non avrebbe sacrificato le sue convinzioni all’intelligenza, questo mai, ma nemmeno la sua intelligenza alle convinzioni. La politica gli stava estremamente antipatica, questa perdita di tempo così remota dal sapere e dal sacro, e infatti non la capiva perché non aveva intenzione alcuna di fare sforzi inutili. Nuotatore, passeggiatore, lettore e scrittore incandescente, voleva essere apprezzato solo il giusto dai suoi compagni di cordata, ma la vetta voleva raggiungerla per guardare il nemico negli occhi, questa era la sua vera caratura, questo il suo eroismo da scrittore autobiografico e saggista pazzo e noncurante. Ha detto infine a Antonio Gnoli, in un colloquio e-mail, che con la moglie si erano “monacati”. Guardava in viso la fine, e il mondo gli è scomparso davanti agli occhi, si era monacato anche lui nella crisi epidemica. Così ci ha lasciati, questo scrittore di maestosa illeggibilità, questo Joyce del polemismo intrattabile scambiato per banale passione civile, e siamo qui addolorati e delusi per il dispiacere e la gioia di rimpiangere un nemico chimico non sintetizzabile.