Bambola di carta
Il guardaroba da ritagliare della signora Dalloway, raccontato da Julia Berick
"Organizzo feste per la Paris Review”. Niente male come inizio. Sulla rivista pubblica un sacco di gente che vale la pena conoscere. Non è escluso che si facciano vedere ai party, dopo le lunghe interviste sul mestiere di scrivere. Siccome per tradizione ognuno lascia un manoscritto da fotografare a futura memoria, Gay Talese lasciò un cartoncino da camicia, quelli attorno a cui le piegano in negozio, tutta piena di appunti multicolori.
Julia Berick organizza le feste per la Paris Review (oltre a scrivere anche per un gustoso Saveur Magazine). Sa esattamente quanti bicchieri stanno in una bottiglia di vino, e quanto gli scrittori, gli editor, i giornalisti in media bevono. Sono anglosassoni perlopiù, gente che beve regolarmente a casa propria, non solo quando è gratis. Ha i conteggi e le liste stagionali, potrebbe mandare qualcun altro a fare la spesa. Invece compra le bottiglie personalmente, aggiungendo le arance italiane con le foglie intorno che vengono tanto bene nelle fotografie.
Ecco perché considera una gemella in spirito Clarissa Dalloway di Virginia Woolf. La signora Dalloway che sta per dare una festa, nel 1923. Il lettore sa una cosa, subito: “Mrs Dalloway disse che i fiori li avrebbe comprati lei”. Scatta, non c’è altra parola possibile, una lettura del romanzo in chiave festaiola che spingerebbe all’applauso anche il più riottoso lettore (e noi per anni avremmo voluto far scrivere sulla nostra tomba “Più Colette, meno Virginia Woolf”).
Pare una congiura: celebra la causa di Mrs Woolf – nata Adeline Virginia Stephen – anche Francesco Pacifico. In un libretto della collana Passaparola (l’editore è Marsilio) ruba alla scrittrice di che compilare una “Nuova educazione sentimentale per ragazzi”. Lui ha fatto la cavia, si è trovato contento e soddisfatto, e rinunciando al precedente istruttore, che era Stendhal con “Il rosso e il nero”.
Parlando di letteratura, Francesco Pacifico tenta un audace paragone con Maurizio Milani nel libro “Animale da fosso” (mai più ristampato da Bompiani, follia). Si parla di una ragazza che in ufficio non deve “prendere coscienza dei suoi mezzi”. Sennò poi vuole andare a Milano a lavorare, e “mi finisce pacificata senza ritegno dal capufficio sulla scrivania”. Sottoposta la pagina wolfiana, su mucche appena sgravate, a fan di Milani, la secca risposta fu che “l’Innamorato Fisso non somiglia a nessuno”.
Ma non divaghiamo. Julia Berick scrive sul sito della Paris Review dedicato alle “Literary Paper Dolls” (per forza poi uno muore di noia a leggere Nuovi Argomenti): la bambola di carta Clarissa Dalloway, con il suo guardaroba da ritagliare (lo ha disegnato Jenny Kroik). L’abito da sera verde indossato alla festa, un abito bianco che Clarissa ricorda ripensando alla giovinezza (era meglio il marito? Sarebbe stato meglio sposare l’altro corteggiatore? Meglio sarebbe stato essere una ragazza ricca di suo, conclude saggiamente). Julia Berick ci lascia con il rumore che fanno le feste: un brusio, come una radio quando le stazioni si cercavano girando la manopola.