In morte di Christo, il padre dell'ultimo grande assembramento artistico
Quando nel 2016 tutti volevano essere sul Lago d’Iseo
Verrà certamente ricordato come l’ultimo grande assembramento artistico, un gran finale del secolo breve in cui l’opera non esisteva in assenza di masse a celebrarla. Oggi pare tutto molto lontano, ma quattro anni fa, quando la Lombardia era lanciata verso il suo destino di pesce-pilota, e non ancora sottoposta alle damnatio memoriae rosicone da Covid, Christo impacchettava da par suo un’isoletta minore in un lago minore con l’obiettivo di attrarre genti da tutto il globo (era l’epoca del: più siamo, meglio stiamo). Un milione e mezzo di persone arrivarono a ciondolare su pontili di polistirolo effimeri per due sole settimane. Il grande impacchettatore morto domenica dopo aver avvolto monumenti in ogni dove aveva finalmente intessuto il lago d’Iseo con passatoie di modernissimo tessuto arancio, anzi oro, e sopra marciavano le folle dei grandi happening, turisti forse della domenica ma contenti. Intorno sudore, moto d’acqua tipo Miami Vice, mini-motovedette bianche e verdi con la rosa camuna simbolo della Macroregione, come si diceva allora. Evocava efficienza. Volontari con radioline, in numero quasi esagerato, vegliavano che nessuno cascasse in acqua (un altro successo lombardo).
L’oro arancione di Christo era dunque arrivato sul lago d’Iseo: lago di montagna, lago severo, con odore di melma, di tinca, forse di Coregone, principe dei pescioni riflessivi, campione di lische. Tutto veniva ravvivato dall’arancio, arancio gioioso, niente a che vedere con quello delle nuove milizie incattivite del generale Pappalardo. L’artista bulgaro-newyorchese era arrivato a ingentilire e bollinare la Lombardia arrembante del post Expo – l’evento che aveva rilanciato la Milano nebbiosa e sonnecchiosa degli anni Duemila. I “Floating Piers”, le passerelle galleggianti, stavano proprio nell’epicentro di una landa, Milano-Bergamo-Brescia, che poi sarebbe diventata il cuore nero della pandemia. Che evento: tutti volevano esserci, in quel lontano 2016, sul lago d’Iseo: ingorghi da Milano, pullman e torpedoni pure da Roma. Parcheggi esauriti, turisti pure esauriti appannavano col fiato i finestrini dei pullman verso il centro commerciale “Franciacorta Village”. Era un turismo artistico per tutti, grazie a questo Christo, venerato come un Padre Pio della land art, che trasformava il lago d’Iseo in una Art Basel popolare. C’era un prezzo per tutto: voli in elicottero “Elmast”, costo 50 euro. “Floating Spritz”, si inventava un baretto, 4 euro. “Tutti i progetti di Christo a cura di Germano Celant”, defunto anche lui da poco, in edicola, in offerta a 29 euro. Cartelli informavano sui “Pesci del lago d’Iseo”, ecco appunto il Coregone, “coregonus lavaretus”, pescione malmostoso come le genti bresciane. Però nell’aria una festa: odore di salamella, elmi da vichinghi (dove l’ha comprato? “All’Auchan di Merate”). Erano anche tempi di Lega non ancora sovranista, pre Salvini, con nostalgie invece identitarie-druidiche (a pochi chilometri del resto Umberto Bossi aveva avuto il celebre coccolone). Qualcuno disse che la passerella sul lago era inutile. Ma era bella, e ci si poteva marciare, e questo bastava. La notte il pontile chiudeva, arrivava la manutenzione e arrivavano “i vip”, si diceva, Brad Pitt e altri, ma nessuno li riusciva ad avvistare. Di giorno invece le masse stavano lì sotto il sole a picco a farsi selfie, con moderazione: era del resto il giugno 2016, e le stories di Instagram sarebbero state introdotte solo due mesi dopo. Lui, l’artista, giubbottino e chiome al vento, passava con un battelluccio, all’ora del tramonto, a salutare, bastava vedere di lontano una chioma argentea e la folla acclamava: “E’ Christo! E’ Christo!”. Alcuni, anche: “E’ l’Artista”, maiuscolo nel testo. “Ma cos’avrà quello lì nella testa!”, dicevano signori con accento valligiano, con ammirazione non si sa se per il capello o per l’opera. Cosa c’era del resto di più artistico e sublime di un vecchio dai capelli argento che plana sulle acque dorate al tramonto? Partivano applausi: “uno-due-tre-grazieeee!”, lo ringraziavano, appunto, le masse. Con equivoci incresciosi; Luciano Benetton andò in visita anche lui, e venne subito scambiato per l’Artista, causa simile capigliatura. Iniziarono le ovazioni, e Benetton (ancora icona del made in Italy e non invece vituperato agente autostradale) fu costretto a rifugiarsi in un ristorante inseguito dalle genti che volevano strapazzarlo di coccole. Non si sapeva come farlo uscire, sottraendolo al micidiale abbraccio delle folle che si moltiplicavano fuori. Alla fine lo evacuarono di soppiatto su un motoscafo. Il distanziamento, all’epoca, era vissuto in maniera molto problematica.