Un carnevalesco on the road nell'Europa trasfigurata dalla xenofobia

Marco Archetti

Il nuovo romanzo di Jáchym Topol, parata della felicità narrativa

Si hanno un po’ le vertigini leggendo le prime pagine del nuovo romanzo di Jáchym Topol, “Una persona sensibile” (Keller editore, 460 pp., 19 euro) tanto si viene presi per il bavero, scaraventati in medias res dentro l’abitacolo puteolente di un furgone sgangherato che procede a cazzotti e trabalzi in direzione Bristol, verso l’area di sosta predisposta per il consueto festival dei girovaghi cui i protagonisti, come ogni anno, hanno intenzione di partecipare. Poi si voltano le pagine e la labirintite non molla, anzi, cresce e accompagna il lettore lungo tutto il viaggio, mentre all’esuberante quartetto familiare di papà-attore e mamma-attrice (più due figli) tutto si può rimproverare meno che la verve dialettica.

 

I primi capitoli del romanzo non sono altro che questo: la storia dei continui respingimenti che subisce la ciarliera famiglia, rifiutata di festival in festival, di campeggio in campeggio, di piazzola in piazzola. Non si fa in tempo a parcheggiare e già i funzionari dell’immigrazione cacciano tutti e ci si deve accodare all’ennesima carovana di auto che si dirige verso un altro Paese, in cui ugualmente l’accoglienza non sarà delle più calde: scritte ostili agli stranieri, milizie con gli idranti, e il consueto campo di sosta trasformato in un grande campo profughi sorvegliato a vista. Se si prova a far dietrofront e a rientrare, per esempio, in Francia, gendarmi col mitra e la solita area adibita agli ospiti che ora è riservata ai cittadini francesi. “Tutti gli altri devono fare la carta del nomade,” informa un poliziotto. “Mon capitaine, ci hai preso per zingari? Nu nesompà les ciganes, noi siamo boemi, bohèmes!” tuona il protagonista cercando di portare se stesso e la famiglia sul terreno dei Legittimati. Ma non ci sarà niente da fare se non sloggiare, e via così, di paese in paese, di rifiuto in rifiuto, lungo un’Europa trasfigurata dalla xenofobia, un’Europa in cui non si riesce più a prender parte a un festival perché nulla è come ai bei tempi era, quando la Repubblica ceca stava entrando nella Nato e quel furgone scalcagnato era nuovo di zecca, comprato grazie agli introiti di un’estate a recitar poesie e copioni. “Erano parecchio incuriositi da noi tracagnotti dell’est. Be’, erano i tempi di Havel…”.

 

La scrittura di Jáchym Topol (scrittore e drammaturgo che, a proposito, è stato il più giovane firmatario di Charta77) non riposa un momento. E’ vitale e pullulante, tutta aneddoti, secchi tagli di frasi e battute fulminanti. La storia cavalca i botta e risposta dei personaggi che imperversano in lungo e in largo per tutta questa parata della felicità narrativa, in questo carnevale on the road che non trova mai requie perché, delle due, l’una: o si è inseguiti dal passato, o si è inseguitori del futuro. L’esuberanza narrativa con cui nel corso della storia ci si sintonizza infine perfettamente ricorda i bellissimi racconti di Emir Kusturica in “Lungo la Via Lattea”, non tanto per i temi o la fanghiglia o il nomadismo lirico, ma perché le pagine, qui come là, sfavillano di impudicizia e di invenzioni – bellissima, in tal senso, la sventatissima madre del protagonista. Forse siamo poco abituati ai romanzi “di qualità” che narrano, filano, gioiscono, travalicano e furoreggiano, più spesso leggiamo storie senza storia, procedimenti narrativi elefantiaci in cui impera la squisitissima circollocuzione – “l’immensa scorciatoia per arrivare al sodo” – ma in Topol no, in Topol tutto è sodo, tornito, affilato, e la storia corre via facendosi, anche, solida lezione su come la cosiddetta attualità possa esistere in un romanzo generandolo, e non come mortifero oggetto di speculazioni e geremiadi da parte di un io narrante che non narra altro che le didascalie della propria foga civile.

“Una persona sensibile” ha il coraggio di dirci due cose rilevanti. La prima è che casa non significa pace. La seconda è che pace non significa fine dei guai. E poi ci sussurra: “La vita è meravigliosa. Triste e meravigliosa. E’ l’unica cosa che so”.

Di più su questi argomenti: