Supremazia ti vedo
Due storici spiegano che le statue dei confederati sono un trucco suprematista e molto attuale
New York. Alla domanda se questa furia distruttiva arriverà ad abbattere anche le statue di Cesare, lo storico Kirk Savage strabuzza gli occhi via Zoom: “Ma davvero c’è chi fa questi paragoni? Eppure non mi risulta che Cesare sia ancora un oppressore”. Basterebbe questo a dirimere la questione: le statue dei generali della Confederazione che rischiano l’abbattimento non rappresentano il passato, ma un presente di violenza e supremazia bianca. Nel suo libro Standing Soldiers, Kneeling Slaves Savage esplora esattamente questo, il modo in cui la storia della schiavitù e la sua fine violenta sono state raccontate nello spazio pubblico. “La domanda da farsi è perché furono erette in primo luogo, anni dopo la fine della Guerra civile, e perché un paese deve dedicare statue a una manciata di generali che imbracciarono le armi contro quel paese stesso. Non solo, la loro presenza è un rimando alla continua oppressione che le persone di colore subiscono in America oggi, non ieri, non cento anni fa”.
Se la Guerra civile sfidò gli Stati Uniti a riesaminare il significato di libertà, anni dopo la sua fine gli americani iniziarono a erigere monumenti pubblici come mai prima, dando avvio alla più grande èra della costruzione di monumenti nella storia americana. “Mentre uomini e donne, Nord e Sud, combattevano per definire l'eredità della guerra, nell’arte monumentale avveniva il rimodellamento del panorama culturale del nazionalismo americano”, spiega Savage nel suo libro. È quel periodo chiamato Ricostruzione in cui c’è un enorme avanzamento nei diritti degli afroamericani: di voto, di cittadinanza, di poter ricoprire cariche pubbliche. Per alcuni una minaccia. “L’establishment bianco che aveva beneficiato della schiavitù prima della guerra, quel potere si aspetta di mantenerlo anche dopo. Poco per volta il potere bianco si riafferma e uno dei modi è la campagna di commemorazione della Confederazione, una maniera per ristabilire simbolicamente il dominio, giustificare il passato storico e stabilire una continuità con il presente. I monumenti iniziano a essere eretti nell’epoca delle cosiddette ‘leggi Jim Crow’ (le leggi statali di separazione razziale, successive al 1876) con preciso scopo politico: privare gli afroamericani di qualsiasi potere reale”.
Sulla copertina di Standing Soldiers, Kneeling Slaves c’è l’Emancipation Memorial: Abraham Lincoln in piedi che rende libero uno schiavo inginocchiato, mezzo nudo, senza denti. Fu eretto nel 1876. Il Lincoln Memorial che conosciamo oggi – il tempio di ispirazione greca e l’enorme statua del Presidente seduto – fu costruito negli Anni Venti. “Per quasi cinquant’anni quello è stato il principale monumento a Lincoln a Washington DC e anche l’unico con una persona di colore. Ovviamente la narrazione qui è di celebrazione del leader bianco: Lincoln sta dando caritatevolmente la libertà a un uomo nero incivile e non vestito, lo aiuta a sollevarsi nel suo ruolo di cittadino. Questa narrazione di beneficenza è molto problematica. Primo, perché è storicamente inesatta dal momento che i neri sono stati in gran parte agenti della propria liberazione. Secondo, distorce la storia per rafforzare l’idea del potere bianco che decide di liberare gli afroamericani attraverso un atto di carità”. Una copia dell’Emancipation Memorial è ancora visibile oggi in un parco di Boston. Una petizione è già partita per farla rimuovere e il sindaco della città Martin Walsh si è detto favorevole.
“I monumenti confederati furono eretti in omaggio alla cosiddetta Lost Cause”, aggiunge Matthew Delleck, professore alla George Washington University. “Nel 1890 gran parte del paese entrò in un periodo di ‘imbiancatura’ storica. Il momento in cui le statue dei generali confederati sono erette coincide con il tentativo di ristabilire la supremazia bianca e l’ascesa del Klu Klux Klan, e con il fallimento della Ricostruzione”. Che siano da rimuovere, è il fulcro della discussione di oggi, con sempre maggiori consensi accademici e pubblici. Altro problema è dove metterle. “Sono in sintonia con i manifestanti che vogliono liberarsi delle statue dei confederati o cambiare il nome alle basi militari”, conclude Savage. “Il fatto che occupino spazio pubblico significa che occupano un posto di orgoglio e di onore, ma non si può celebrare la supremazia bianca. Metterli nei musei è un’ottima idea. In termini pratici è estremamente difficile e non credo accadrà. Penso che molti di questi generali finiranno per essere sepolti in qualche scantinato, dimenticati”.