La “rieducazione editoriale” di J.K. Rowling
Dal boicottaggio dei correttori alle dimissioni degli scrittori
Roma. “Le donne transgender sono donne. Qualsiasi affermazione contraria cancella l’identità e la dignità delle persone transgender”. Ci mancavano le Nazioni Unite a prendere posizione contro J.K. Rowling, l’autrice di “Harry Potter” accusata di “transfobia” per una serie di tweet e poi un saggio in cui ha sostenuto che “solo il sesso è reale”.
Quattro scrittori rappresentati dall’agenzia letteraria di Rowling, la Blair Partnership, hanno rassegnato le dimissioni dopo avere accusato l’agenzia di essersi rifiutata di rilasciare “una dichiarazione pubblica di sostegno ai diritti transgender”, in pratica di non avere abiurato la propria scrittrice più venduta. Fox Fisher, Drew Davies e Ugla Stefanía Kristjönudóttir Jónsdóttir hanno affermato di non potere più lavorare con l’agenzia. Anche un altro autore ha lasciato il gruppo, ma desidera rimanere anonimo. Un portavoce della Blair Partnership ha detto: “Sosteniamo i diritti di tutti i nostri clienti di esprimere i loro pensieri e le loro convinzioni e crediamo nella libertà di parola. L’editoria e le arti creative dipendono da queste cose. E’ nostro dovere, come agenzia, sostenere tutti i nostri clienti in questa libertà fondamentale e non commentare le loro opinioni individuali. Per ribadire, crediamo nella libertà di parola di tutti; questi clienti hanno deciso di andarsene perché non abbiamo soddisfatto le richieste di rieducazione al loro punto di vista. Rispettiamo il loro diritto a perseguire ciò che ritengono sia il corso d’azione più corretto”. Non bastavano dunque gli attacchi degli attori resi famosi da Rowling – da Daniel Radcliffe a Emma Watson fino a Rupert Grint – né le prese di distanza della Warner e della Universal, che si sono espresse contro la scrittrice.
Una schiera di dipendenti della Hachette, la casa editrice che si occuperà di pubblicare “The Ickabog”, l’ultima opera di Rowling, ha messo su una protesta contro le dichiarazioni della scrittrice, affermando di essere disposti ad abbandonare il progetto, se necessario. I dipendenti di Hachette non sono nuovi a questo tipo di proteste. Qualche mese fa si scontrarono con il direttivo della casa editrice per la pubblicazione delle memorie di Woody Allen e il progetto alla fine fu abbandonato. “Hanno detto di essere contro i commenti dell’autrice e di volere mostrare il loro supporto alla comunità trans. Lo staff è molto attento ai problemi sociali attuali, sono tutti ventenni o trentenni, e a quanto pare hanno dei sentimenti molto forti riguardo alla questione”, avrebbe dichiarato un insider, mentre un’altra fonte avrebbe riportato che “si tratta solo di qualche dipendente, e hanno diritto alle loro opinioni. Se gli venisse chiesto di procedere con l’editing di un libro sulle violenze domestiche, e loro fossero delle vittime di violenze domestiche, ovviamente non verrebbero certo costretti a lavorarci. Ma qui si parla di fiabe per bambini. Non è la fine del mondo”.
Era sicuramente troppo alto il prezzo per sacrificare Rowling, che vale qualcosa come 795 milioni di sterline. I primi due capitoli di “Ickabog”, pubblicati online a maggio, hanno avuto cinque milioni di visualizzazioni nelle prime 24 ore. Ma che ne sarebbe di uno scrittore molto meno famoso e venduto e che si esprimesse contro il gender? La casa editrice avrebbe rivendicato la stessa difesa della libertà di parola e pensiero? Ieri, sul Wall Street Journal, Abigail Shrier raccontava quanto sta succedendo al suo libro, “Irreversible Damage: The Transgender Craze Seducing Our Our Daughters”, un saggio contro la gender theory. Il suo editore, Regnery, ha ricevuto risposta da Amazon che non sarebbe stato autorizzato a pubblicare un annuncio a pagamento per il libro. Il motivo dichiarato di Amazon per bloccare l’annuncio – una semplice immagine della copertina – era questo: “Contiene elementi che mettono in discussione l’orientamento sessuale”. Si dice che la stampa è libera, per chi la possiede. Forse lo stesso vale già per l’editoria.