Ragazzo Gian Arturo
Il romanzo di formazione di Ferrari, il boss dell’editoria che ha trasformato in scienza il pacchetto di voti dello Strega
Abbiamo avuto finora l’autofiction e il legal thriller. Detto altrimenti: l’esordiente Jonathan Bazzi e lo scrittore da classifica Gianrico Carofiglio. Oggi tocca a colui che mai nessuno sarebbe riuscito a immaginare, nella sestina. Gian Arturo Ferrari: una vita nell’editoria, dalla parte di chi decide. I libri da pubblicare, gli scrittori da mettere in scuderia, e il vincitore dello Strega.
In un’intervista, qualche anno fa, Gian Arturo Ferrari aveva dichiarato: “Mi glorio di aver trasformato in scienza il pacchetto di voti”. Aggiungeva come corollario che il tradimento ha la sua parte. Vuol dire: il mondo editoriale è piccolo, ci conosciamo tutti, e oltre a non poter fare la rivoluzione un premio al meritevole non è cosa facile. Problema non di oggi: Cervantes, in una delle “Novelle esemplari”, diceva che il miglior laureato di un’università era il secondo in classifica. Chi arrivava primo era raccomandato.
Saltata la barricata – e serve coraggio, come al critico che diventa scrittore: tutti gli stroncati si coalizzano contro di lui – Gian Arturo Ferrari pubblica da Feltrinelli “Ragazzo italiano”. In copertina, un moccioso dai capelli rossi chino su un quaderno, con la matita in mano. A pagina 69 leggiamo di giochi in una corte di campagna. La nonna provvede al necessario: cassette dell’uva, cavalletti, tende e pali. Diventavano – precisa il narratore per chi è nato con gli occhi su uno schermo – “case e casette, aeroplani, automobili, navi, accampamenti, fortini e barricate”. Nella spianata di cemento, gare di biglie e tollini con i bambini del vicinato e la bambina Leda, figlia di un muratore che gira scalza. Le frasi sono lunghe, come gli orli delle gonne segnano l’epoca.
Controllo, per vedere se il tocco di neorealismo – o di “Novecento”, inteso come film di Bernardo Bertolucci – rimane nelle pagine successive. Non aiuta la pagina 99, breve e zeppa di notizie paesane ascoltate al Gazzettino: “Un vitello a due teste, il salvataggio di un bambino caduto in un canale, il ritorno a casa di un prigioniero che tutti credevano morto…”. Pure un toro scappato dalla stalla che non si riesce a riacchiappare, in un cortocircuito con l’Innamorato fisso Maurizio Milani.
A pagina 169 troviamo la scuola. Anzi, il rito delle ripetizioni a cui anche i primi della classe – il “ragazzo italiano” lo è – sono obbligati in vista di un impegnativo esame di ammissione. Con la lista delle poesie e dei brani in prosa da imparare a memoria. Il maestro divaga, parlando di cinema. Gli piace “Senso”, girato da Luchino Visconti nel 1954. “Ci rimase su per quasi un’intera ora, alquanto confusamente perché, come confessò, di alcune cruciali questioni non poteva parlare – non per niente il film era vietato ai minori di sedici anni”.
Prima le vacanze campagnole, poi la scuola. Saltando di altre cento pagine, alla 269 arriva l’educazione sentimentale – una certa Chicca convoca tre spasimanti contemporaneamente – in quello che ormai si configura come un romanzo di formazione. Quanto il “ragazzo italiano” somigli allo scrittore Gian Arturo Ferrari – lo suggerirebbero gli anni, i luoghi, il doppio nome, altri dettagli noti agli amici e ai nemici – è materia di illazioni. E’ vero che ci conosciamo tutti, ma è altrettanto vero che “Ragazzo italiano” è scritto in terza persona: un romanzo con un narratore che vede e riferisce. Il prossimo 2 luglio – quando il premio Strega verrà assegnato e il liquore giallo sarà tracannato – sapremo se “la scienza del pacchetto di voti” ancora funziona.