Il CR7 dello Strega e la sua Real Madrina
Il bis di Sandro Veronesi al Ninfeo, in una competizione che ormai è un guazzabuglio di regolamenti. Merito anche di Elisabetta Sgarbi, al primo centro dopo solo cinque anni
Nello stadio in lockdown di Villa Giulia (si sentivano gli editori gridare indicazioni dalla panchina, mentre il Colibrì li dribblava tutti come un Garrincha del dolore) ieri il CR7 della letteratura italiana ha vinto il suo secondo Strega, il Pallone d’oro dei libri. Gli altri, comparse (e già si intuiva prima, bastava il carotaggio di Mariarosa Mancuso). E se si sbrigasse a scrivere un altro romanzo al volo, scommetteremmo pure sui siti specializzati che vincerebbe anche l’edizione 2021. Non si arrabbierà Sandro Veronesi se lo paragoniamo a Cristiano Ronaldo, eroe dei nostri tempi e non per niente digiuno di libri. Del resto Veronesi è uno juventino grandissimo, forse apprezzerà. E poi ha scritto un gran tomone intitolandolo al più più piccolo e dribblomane degli uccellini del cielo, e l’ha riempito di dolore però anche no, di tante cose e vite. E poi è un amico del fogliuzzo, e poi combatte sempre sulla nave giusta: non solo quella di Teseo, ma tutte quelle dei migranti da salvare in mezzo al mare. Bravo e ben meritato.
La cosa un po’ più bizzarra da notare è cosa sia diventato il Premio Strega, in mezzo a regolamenti cangianti che manco la Uefa. Hanno trasformato la cinquina in un torneo a sei, per allungare di un turno le votazioni e la suspence di una coppa già assegnata. Pare fosse per lo spettacolo, almeno a sentire quelli di Repubblica: “L’unico a divertirsi dentro questo labirinto di strategie incrociate forse è stato Jonathan Bazzi (Febbre, Fandango), sesto con 50 preferenze, l’Achille Lauro del Ninfeo, l’outsider ripescato all’ultimo momento, il più glamour nel suo vestito nero brillante di paillettes”. Chissà che ne direbbe Maria Bellonci.
L’altra trionfatrice dello Strega edizione Covid 2020 è l’editore di CR7 Veronesi, la Real Madrina Elisabetta Sgarbi, regina di assi nel settore librario di fascia chic. Lei che – come giustamente si vanta dal Twitter istituzionale – solo cinque anni fa ha varato la sua Nave, a battezzarla niente meno che Umberto Eco, e in cinque anni è già arrivata là dove dozzine di editori-di-qualità non sono arrivati mai. Alla Divina Bottiglia. Ha svaligiato il magazzino di Bompiani, lasciando a chi se l’è presa soltanto il guscio vuoto, ha infilato un colpaccio dopo l’altro, compreso il Woody Allen, si è portata con sé una crème dei migliori scrittori italiani, non solo Veronesi. Mischiando a qualche operazione più da supermercato, tipo ripubblicare in new edition Il nome della rosa, facendo finta che non ce l’abbiano già in casa tutti gli italiano che abbiano fatto la prima liceo, in edizione paperback. E infilando, nel luccicante catalogo, anche qualche sòla di rilievo, tipo il Picketty, tipo un Roberto Napolitano, La grande balla (sic transit gloria mundi). Da molti anni, pre Teseo, Elisabetta Sgarbi è anche la regina delle anime (belle) e colte di Milano, con gran corte e con le sue pervasive e delocalizzanti serate estive della Milanesiana, tutto uno sciamare di autori suoi, di amici suoi e amici degli amici che intasano l’aria afosa più delle zanzare i chiostri dell’Umanitaria. Quest’anno è dedicata ai “colori”, ma desolantemente prevale il bianco e nero. Però lei è ormai meritatamente la editore-influencer più rabdomantica d’Italia, regina di fiuto e di rapporti che determina le mode letterarie e i sentimenti, sempre elevati, del pubblico. E gli altri, i big, quelli che spendono tanto sul mercato e poi non vincono, possono stare a guardare. E meritatamente col suo Cristiano Veronesi ha vinto la Champions (pardon, lo Strega).