Roma. Walt Rostow tornò al Massachusetts Institute of Technology di Cambridge nel 1969. Era uno di quegli studiosi che Noam Chomsky aveva denunciato nel suo saggio sulla “Responsabilità degli intellettuali”. Come consigliere di Kennedy e Johnson, Rostow era stato l’architetto del bombardamento a tappeto del nord Vietnam. Nessuno si sorprese che quando Rostow riapparve al Mit le sue lezioni fossero interrotte da studenti furiosi per la sua presenza nel campus. Anziché associarsi alla rivolta studentesca, Chomsky, che al Mit aveva organizzato le proteste per il ritiro dal Vietnam, difese la nomina di Rostow. E quando venne a sapere che l’università era pronta a respingerne la domanda di reintegro per paura di proteste, Chomsky andò dal rettore Howard Johnson e minacciò di far marciare gli studenti non contro la nomina di Rostow, ma a suo favore. “Abbiamo due scelte: fare come Stalin e Hitler o difendere la libertà di parola, inclusa la libertà accademica”, dice oggi al Foglio Chomsky, novantaduenne guru radical, socialista e libertario, il pacifista antimperialista che entrò di ruolo al Mit ad appena trent’anni, che nel 1957 con “Syntactic Structures” rivoluzionò la linguistica e ora è firmatario dell’appello su Harper’s per la libertà di espressione. “E io ho scelto di non fare come Stalin e Hitler. Dobbiamo difendere la libertà di parola per le opinioni che non approviamo. La ‘tendenza attuale’ non è affatto ‘attuale’. E’ costante”.
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